AL COLIBRI’ PER LA PRESENTAZIONE DI “1000 E UNA NOTTE”: LA NUOVA CASA EDITRICE A MILANO DI ROBERTO CASALINI E ALDO TANCHIS, DUE “SARDI-LOMBARDI”

di SERGIO PORTAS

Per arrivare al Colibrì libri di via Laghetto passando da San Babila tocca fendere la folla dei presidenzialisti agli “eventi” del fuori salone del mobile, hanno quasi tutti un loro cliché che li contraddistingue, un loro “look” fatto di calzoni stretti e giacca scura peri maschi e tubino e tacchi alti per le ragazze ,  ce ne fosse una non dico grassoccia  ma neppure vagamente sovrappeso, vado dicendo fra me che non riuscirei proprio a spacciarmi per invitato e scroccare un qualche bicchiere di prosecco, ma chissà forse nella ressa basterebbe solo tendere la mano al cameriere di turno. E poi in fondo anche il “Colibrì” è libreria “alcolica”, abbinata com’è all’annesso locale-bar che consta di tre mini spazi, l’ultimo dei quali ti consente di bere la tua birra seduto a un tavolino all’aperto di un cortiletto ricco di verde, sulla parete di fondo un lavabo anni cinquanta sormontato da uno specchio a cornice preziosa. Se gli compri un libro hai diritto a una consumazione, che come incitamento alla letteratura trovo che sia un modo molto dignitoso. Vi è qui la nascita, la presentazione di una nuova casa editrice: “1000 e una notte” l’hanno voluta titolare e il richiamo alle storie che Shéhérazade doveva raccontare al sultano ogni sera per avere salva la vita è ovviamente del tutto voluto. Autori di tanto osare imprenditoriale, in questi tempi bui dove l’acquisto di libri e giornali, almeno nella nostra Italietta, continua a inseguire record negativi che paiono non avere fine, sono due sardi-lombari (la definizione è tutta loro): Roberto Casalini e Aldo Tanchis. Roberto, pure nato a Cagliari, ci tiene a sottolineare che è venuto su in quel di Sassari, liceo Azuni con compagni che avrebbero fatto carriera nella politica e nel giornalismo, uno per tutti quel Luigi Manconi che allora , fine anni ’60, lo aveva coinvolto persino a suonare in una improvvisata band musicale dal nome “Gruppo Canzone Nuova”. Poi l’iscrizione a “Scienze politiche”, la partecipazione alle lotte studentesche del ’68, il trasferimento a Milano dove ha percorso una carriera giornalistica di tutto rispetto, culminata da caporedattore a “Io donna” per il “Corriere della sera”, e caporedattore a “Wired”, mensile di tecnologia e innovazione, dopo aver lavorato anche all’”Ora” e ad “Amica”. Amante di cinema (ne ha scritto in un libro: “L’avventurosa storia degli Oscar”, Rizzoli 2002, e anche : “Suonala ancora Sam. Le più belle battute del grande cinema”. Bompiani 1999) nonché di canzoni e fumetti, anche in questo campo ha lasciato un segno nel suo: “Rock: 500 album da collezione”, Mondadori ’89.

La sua figura si sposa bene con quella di Aldo Tanchis, che è nato a Lei, paesino del Marghine di poche centinaia d’abitanti, in verità l’ha lasciato da piccolo, liceo a Oristano e laurea in lettere moderne a Cagliari, ma come ha avuto modo di dire a Natalino Piras in un articolo per la “Nuova Sardegna”: “Se è vero che i primi tre anni di vita sono il nucleo del tempo in cui l’essere umano si forma, Lei e io siamo la stessa cosa. Quel suo essere sospeso ( è a 500 metri d’altezza n.d.r.), una terrazza che dà sulla pianura, mi ha forse dato la costante sensazione di sentirsi sempre uno che si sporge a contemplare un immenso perché. Dalle montagne alle spalle del paese, forse viene la sensazione di sentirsi con le spalle coperte, qualsiasi cosa succeda. Ma c’è Lei, il paese con le sue coordinate geografiche e sociali- e c’è Lei, un paese-nuvola, fatto della materia di cui sono fatti i sogni, e che vivrà finché vivrò io…”. A Lei poi si ritorna sempre a trovare zii e cugini, in numero di quarantasei, lui rimarrà per i leiesi il “figlio di Eolo”, orfano di padre a nove anni ,è nato nel ’55, il maggiore dei suoi sette fratelli era venuto al mondo nel ’44 nell’azienda agricola che dirigeva il babbo, di proprietà di una nobildonna inglese : Vera Percy, con cui ebbe epici scontri e che lasciò vendicandosi  nel dare il nome di lei ad una delle sue vacche: donna Vera. Di Aldo Tanchis Wikipedia dice che è uno scrittore e sceneggiatore italiano, poi elenca tutta una serie di attività che vanno dalle realizzazioni di poesie visive con Enrico Pau e Cicci Borghi a Cagliari, di quel periodo anche la scrittura per diverse trasmissioni radiofoniche per la Rai, alla pubblicazione di una serie di libri e romanzi, il primo presso Laterza è dell’81: “L’arte anomala di Bruno Munari”, il primo romanzo “Pesi leggeri” è del 2001, nel 2004 esce : “L’anno senza estate”, nel 2008: “Una luce passeggera” sempre per il Maestrale. Ma anche la collaborazione con Enrico Pau per il “Brutto anatroccolo”, operetta musicata da Giorgio Gaslini e tradotta in jazz da Paolo Fresu. E con Nicola Urru il video “Nos, Elianora” mini balletto dedicato a Eleonora d’Arborea. “La vita tiepida” , Carlo Delfino editore 2014 prefazione di Antonella Anedda, ha segnato il suo esordio nella poesia. Trasferitosi prima a Parma per proseguire gli studi in storia dell’arte, poi è a Milano dove si è sempre occupato di comunicazione e progetti culturali. Nel locale di mezzo del “Colibrì” stipati tra i tavolini e un vecchio pianoforte, i due si passano il microfono per raccontare agli astanti di questa loro nuova “follia”, che inizia coi primi sette titoli e con tirature non proprio esagerate. L’idea è quella di creare una piccola comunità di lettori (fare una app?), una sorta di circolo di lettura mobile che sviluppi una socialità vera, e che si coaguli intorno ad una serie di titoli interessanti.  Magari di libri che si sono persi o che sono stati dimenticati. Quindi l’intento è di recuperarli alla vita e inoltre che siano molto comunicabili. Entro la fine dell’anno verranno proposti anche inediti di classici e di russi contemporanei, nonché alcuni libri di poesia. Tra i primi sette i “500 pezzi facili” di Roberto Casalini: “Le schede di quasi tutti i libri che ho letto, io che nella mia vita ho scritto poco, le ho montate aggiungendo spezzoni narrativi (confesso che molto ha spinto mia figlia), ne è venuta fuori una sorta di autobiografia reticente. Io e Aldo siamo, nel profondo , scrittori che si sentono un po’ apolidi, sappiamo che Milano,  dove siamo approdati, non è fino in fondo il nostro posto”. Tocca a Paola Casalini parlare della sua traduzione di “Livinstong, Coast to coast con Jack London”, l’autore di “Zanna Bianca” aveva solo 18 anni quando intraprese questa avventura insieme al re degli “hobo” (vagabondi)  americani Leon Ray Livingston, si trattava di andare da New York a Okland, attraversando l’America in crisi del 1983, tra i quartieri “hobo” di Chicago, saltando su dei treni a vapore, inseguiti da banditi-sceriffi. Marco Bacci, che firma un altro dei sette: “Gli artificiali”, racconti che vedono un frigorifero, una lavatrice, parlare con un umano che vive in una casa troppo stretta e dipende dall’energia della Cina, dice che il libro su London è anche ricco di fotografie, di una mappa del percorso fatto dai due ragazzi, e vi è un pezzo sulla semantica degli “hobos”, oltre alle vecchie illustrazioni del libro originale (è del 1917) restaurate e reinserite.

“Ma dove sono gli uomini?” (Mizora, una profezia) fa parte dell’agenzia dei viaggi visionari, illustrato da una serie di professionisti tra cui Beppe Giacobbe e Antonella Ficarra, delle cui illustrazioni si sono già fatte tre mostre, in Sardegna e a Brera. L’autrice Mary E. Bradley è alquanto misteriosa, lo scrisse nel 1881, un mondo al centro della terra, una comunità di sole donne, dove compaiono strumenti di video-chiamata (telefonini?) e una sorta di vetro morbido che ricorda lo schermo dei moderni cellulari. “Un lento battello per la Cina” dell’ogliastrino Beppi Vigna ha un ritmo incalzante (Moebius, Dylan Dog), pieno di poliziotti scomodi (indagini di pedofilia), parallelamente un serial-killer uccide tutti i sospettati. Ha un cuore sardo nascosto, poco esibito. E ancora Cicci Borghi, body-artist, cagliaritano, da 15 anni cieco, ha fatto un post-romanzo “Visualizza altro”, ai tempi della crisi greca, una voce che interroga: “dammi l’anima e ti ridarò la vista”. Ultimo dei sette che danno l’abbrivio alla nuova casa editrice è “Una luce passeggera”,   già uscito dieci anni fa per il Maestrale, Aldo Tanchis lo definisce “una specie di western”, “la storia di due personaggi, i miei genitori, che ebbero una vita avventurosa e si incontrarono nel ’38 in quella che allora era l’Africa Orientale Italiana. Mamma veniva da Parma e si sposò che aveva 18 anni. Immaginate il trauma di finire in un paesino del centro Sardegna quando gli italiani vennero spazzati via dopo la fine della guerra e il Negus rientrò nella sua Addis Abeba”. Casalini lo definisce come “il meglio della Sardegna che non ha paura di confrontarsi con la storia. Un’isola che finalmente esce dai piagnistei. Il libro di Aldo è bello e insolito, e che sa confrontarsi con la realtà sarda del passato. Non il solito romanzo chiuso in un paese di dieci case”. Confermo, 10 euro per libro e un calice di bianco: la storia si dipana su più piani narrativi,  che si intersecano senza disturbare il ritmo della narrazione. Non fa sconti all’atteggiamento francamente razzista con cui i maschi colonizzatori si muovono nelle colonie. Si corteggiano le “bianche” italiane ma ognuno ha la sua “madama”, magari di sedici anni: “Ci andavano tutti con le abissine. Eolo aveva dovuto chiedere a suo fratello (è avvocato n.d.r.) di intervenire a favore di un capitano di Bonorva sposato a Ilbono – sei mesi con la condizionale per madamismo. Poveraccio, come poteva tornare dalla moglie con quella condanna addosso? Chissà che urla” (pag.34). L’aspetto “western” del libro è racchiuso nella rincorsa, a cavallo, che Eolo fa ai ladri di bestiame che gli hanno rubato tre vacche,  si tramuta in una rincorsa ai fantasmi che gli si agitano nell’animo, cosa che per gli uomini ha fine col termine della vita . La Sardegna che incombe è quella innevata e solitaria del soprammonte, fredda, le dita così intirizzite che non sentono più le briglie. Il cavaliere che parla tra sé prefigurando scenari che forse si avvereranno nonostante il destino avverso: “I ladri dovranno passare accanto alla capanna di Gonario, sotto lo sguardo insonne della neve. Trenta erano le mie pecore prima, trenta sono adesso, penserà Gonario. Che passino pura come fantasmi, circondati e nascosti da nevischio e folate di vento, che se ne vadano pure sino al più lontano corno della forca” (pag.58). A lettura ultimata ti rimane dentro una sorta di angoscia sottile, ce l’hai con quella Sardegna che non ti permette mai di essere altro, diverso da quello che lei vuole, salvo abbandonarla per sempre e continuare la vita altrove, condannato a sognarla ogni notte.

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