SARDEGNA, SUGGESTIONI DI STORIA

foto di Salvatore Serra


di Massimiliano Perlato

Sempre ritorna

la nostalgia della mia terra adottiva

che invoca l’azzurro orizzonte

e stende al sole il sudario

dei giorni per rinascere vergine

in fruscianti giacigli.

La mia breve eternità

è un concerto di onde

racchiuse nel manto di greggi belanti.

Sogni delusi coperti di luna

alzano il sipario su tutto il mio mondo straniero che vivo.

Datemi la terra adottiva:

è la che scendono le stelle

e si allontanano le ombre.

Situata nel cuore del Mediterraneo occidentale, la Sardegna, immenso museo all’aperto, ha conosciuto numerosissime culture e civiltà che, spesso rielaborate in forme autonome e originali, hanno lasciato segni e tracce indelebili. La storia singolare dell’isola inizia circa 500.000 anni fa, quando, nel paleolitico inferiore, antiche genti abitano le rive del fiume Altana, presso Perfugas, e lasciano come testimonianza manufatti in selce. Ma la cultura che più caratterizza la preistoria dell’isola è indubbiamente quella di Ozieri o di San Michele che risale alla metà del IV millennio a.C., perdura sino al 2700 a.C., e si diffonde in modo capillare in tutta l’isola. Le genti di questa cultura coltivano la terra, praticano la caccia e la pesca, allevano il bestiame, conoscono l’uso del telaio e sono particolarmente abili nel forgiare strumenti in pietra e nel produrre vasi e recipienti ad uso domestico e rituale dalle belle forme e spesso arricchiti da decorazioni. È un popolo che cerca luoghi favorevoli per l’insediamento e costruisce villaggi di capanne presso i corsi d’acqua o le sorgenti; a quest’epoca risale lo straordinario sviluppo delle necropoli (scavate nella roccia semplicemente con accette di pietra dura) denominate nella tradizione popolare “domus de janas”, case delle fate, che ci offrono l’immagine più completa di questa cultura. Il defunto aveva con sé un significativo corredo funebre, testimonianza di antiche credenze, dove la magia e la religione si fondono e dove i simboli di una continuità della vita, oltre quella terrena, accompagnavano i rituali funebri legati al mistero della morte. Esiti finali della cultura di Ozieri perdurano sino al calcolitico (età del rame: 2700 – 1800 a.C.) quando la Sardegna conosce altri popoli portatori di nuove culture finché, con l’affermarsi e lo svilupparsi dell’era dei metalli, l’isola conosce la civiltà dei nuraghi (XVI–VI secolo a.C.). Quest’epoca, eccezionale e singolare espressione protostorica del Mediterraneo, è caratterizzata appunto dalla straordinaria edificazione di torri realizzate in pietra, spesso a più piani e unite da cortine murarie, che rappresentano talvolta veri e propri esempi di alta ingegneria militare. Accanto a monumenti religiosi come i templi a pozzo, legati al culto delle acque, e a singolari sepolture collettive, quali le tombe dei giganti, si conoscono eccezionali esempi di ingegneria idraulica legati all’uso e allo sfruttamento delle acque.

I monumenti dell’età nuragica testimoniano di un popolo con una organizzazione sociale ben codificata, la cui economia di base era la pastorizia e l’allevamento del bestiame. Già dal bronzo medio, poi, si verificano intensi scambi commerciali che stimolano una ricca produzione di manufatti locali e, in particolare, una produzione metallurgica che raggiunge ora alti livelli artistici. Provengono infatti dagli insediamenti nuragici, dai luoghi del culto, delle feste, o delle riunioni collettive delle diverse comunità, oggetti in bronzo che offrono un significativo spaccato dell’epoca: sacerdoti, oranti, capi tribù, lottatori, guerrieri, figure femminili, eroi divinizzati, oggetti d’uso comune, armi, ecc. Già dal IX secolo a.C. i sardi hanno contatti commerciali con i Fenici che nell’VIII secolo si insediano stabilmente nell’isola, fondano approdi e colonie lungo le coste e ne sfruttano le risorse agricole e minerarie, finché nel VI secolo a.C. la Sardegna viene conquistata da Cartagine.

Nell’isola, che si trova al centro di intensi traffici commerciali con l’Etruria, la Sicilia, la Grecia e la Spagna, si assiste alla fondazione e successivamente alla fortificazione delle città costiere: Nora, Bithia, Sulci, Tharros, Caralis. Delle città puniche si conservano tratti della cinta muraria, della rete viaria, quartieri di abitazione, edifici termali, aree di culto e funerarie e, naturalmente, il “tophet”, luogo di culto dove si praticava il “molk”: sacrificio dedicato ai bambini nati morti o deceduti poco dopo la nascita. Le città vengono frequentate e abitate in epoca successiva, quando la Sardegna dal 238 a.C. passa sotto il controllo di Roma. Dal 227 a.C. l’isola è ordinata in provincia e vive intense e frequenti rivolte contro la dominazione romana che, con la sua conquista, si assicura il dominio del Mediterraneo. Le nuove città, quindi, si sovrappongono con i nuovi quartieri e i nuovi edifici a quelli precedenti nascondendo i resti più antichi. Vengono inoltre fondati nuovi abitati come Turris Libissonis (Porto Torres) e Gurulis Vetus (Padria), e tutti sono collegati, attraverso una fitta rete viaria, con l’interno e le coste dell’isola. L’impianto urbanistico romano si conserva ancora nelle città di Nora e Tharros che, abbandonate in età alto medioevale, non hanno conosciuto successive sovrapposizioni.

Nel 534 la Sardegna, dopo una breve dominazione vandalica, passa sotto l’orbita di Bisanzio che ne influenza per lungo tempo la cultura, la religione e l’arte. Del periodo bizantino restano significativi esempi di architettura religiosa con impianto centrale cupolato (San Saturno a Cagliari, Sant’Antioco nella città omonima e San Giovanni di Sinis a Cabras). A partire dall’VIII secolo il controllo arabo sul Mediterraneo occidentale favorisce una trasformazione nell’isola: nascono nuovi centri di carattere rurale mentre vengono abbandonati gli insediamenti costieri e di conseguenza ogni attività marittima. Nasce ora un nuovo modello di organizzazione politica basato sulla istituzione di 4 regni autonomi chiamati “Giudicati” – di Cagliari, Arborea, Torres e Gallura -, governati da un giudice e divisi a loro volta in curatorie. Nel 1100, a seguito di più intensi traffici col continente italiano, le città di Genova e Pisa si inseriscono nella storia dell’isola che diviene oggetto di contesa e così, dal 1258, a seguito della spartizione delle terre già dei Giudicati, la Sardegna è dominio delle ricche famiglie pisane o genovesi ad eccezione del Giudicato di Arborea. Durante il periodo dei Giudicati e delle influenze pisane e genovesi, l’isola è caratterizzata da una produzione artistica e culturale di impronta italica, vi si insediano ordini monastici quali i Benedettini e i Camoldesi che ricevono donazioni di terre da parte dei Giudici sardi e che contribuiscono alla costruzione di splendidi monasteri ed edifici chiesastici che caratterizzano tutt’ora in modo incisivo il paesaggio isolano.

Nel 1297 Papa Bonifacio VIII, incurante del fatto che l’isola fosse spartita tra le due città di Genova e Pisa e il Regno di Arborea, intitola alla Confederazione Catalano-Aragonese il Regno di Sardegna e di Corsica e lo infeuda a Giacomo II re d’Aragona che, in pochi anni, occupa i territori pisani di Cagliari e di Gallura e la città di Sassari. Si susseguono scontri, lotte e battaglie, tra gli Aragonesi e i Giudici di Arborea, ultimo baluardo della resistenza sarda, finché, dal 1410, l’intero territorio isolano passa sotto la corona d’Aragona, ad eccezione del marchesato di Oristano, incluso successivamente. Inizia così una dominazione che prosegue poi con la nascita nel 1479 del Regno di Spagna e dura circa quattro secoli imprimendo un segno profondo nella storia, nella civiltà, nella cultura e nelle espressioni linguistiche e di vita dell’isola. A questo periodo risale la realizzazione di chiese in stile gotico-catalano caratterizzate peraltro da singolari decorazioni scultoree che denotano rielaborazioni locali e autonome mentre, nella produzione artistica, accanto a notevoli sculture lignee, si ha la forma pittorica più diffusa e rilevante nei “retables”, dipinti di origine catalana, realizzati su grandi tavole verticali, che ornavano gli altari di molte chiese. Nel 1708, durante la guerra di successione spagnola, la Sardegna passa agli austriaci e nel 1718 viene ceduta a Vittorio Amedeo di Savoia. Si verifica così la definitiva fine dell’influenza iberica e l’inserimento dell’isola nella sfera italiana. 

 

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