PER CHI COME NOI, SARDOS DISTERRAUS … "UNA VITA ALTROVE" E' L'ULTIMO ROMANZO FIRMATO DA NINO NONNIS

lo scrittore Nino Nonnis


di Valentina Usala

Parlare con lui è sinonimo di grande diletto, persona semplice di quelle che stringono la mano ancora con una presa stretta. Pronto alla battuta e alla risata. Ma Nino Nonnis è anche maestro di vita, di conoscenza e di apprendimento. Nino Nonnis è nato a Sindia (NU). Ex insegnante e giornalista pubblicista. Autore teatrale. Come attore e autore ha messo in scena molti monologhi umoristici. Ha partecipato al film “Tutto torna” di E. Pitzianti, collaborando alla sceneggiatura e ai dialoghi. Ha interpretato il corto “Benvenuto Khalid” di Peter Marcias. Ha scritto 7 libri, l’ultimo dei quali è appunto “La vita altrove”, edito da Arkadia Editore.

Diversi suoi racconti sono stati inseriti in “NeroCagliari” e “Cartas De logu”; dedito all’arte teatrale,  ha scritto molti lavori, rappresentati anche nella penisola, in italiano e anche in lingua sarda.

Ad oggi impegnato con L’università di Aristan: un grandioso e rivoluzionario ateneo, dove il piacere della conoscenza e le passioni, sentimenti ormai perduti, sfidano le mode malate.

Essa sarà condivisione, con gli altri docenti e i discenti, sarà scambio e confidenza, per una laurea non legale ma onorifica del nostro spirito curioso e libero.

 

Parlando dell’ultimo romanzo, possiamo dire quanto segue. Ed è proprio Nino Nonnis a parlarne:

“Il primo richiamo che viene in mente leggendo “La vita altrove”, edito da Arkadia, va a “Cent’anni di solitudine”. Macondo qui si chiama Banzu ed è luogo di memoria, di trasformazioni, di oggetti simbolici e trattenimenti di nostalgìa non nostalgica. Uomini e animali, parenti e amicizie, nuovi mondi, aperture e chiusure. Il tono è intimo e lirico, descrittivo e introspettivo, e lo stile lo accompagna come in movenze di ballo, ora poetico e ora ironico, divagante e profondo. All’interno si sviluppano più storie, dalla stessa matrice dei luoghi, nello sviluppo che le varie sorti trovano. Storie d’amore e di rinuncia ad esso, di amicizia e di odio, vissuti visceralmente, come sentimenti primordiali. Il destino è un labirinto che somiglia al caso e come tale lo si accetta. La storia è forte, intensa, complessa, come sono complesse le spiegazioni della vita. Che spesso ci costringe a vivere altrove, lasciando luoghi e conservando da un lato sentimenti. Il libro lo si legge nel suo sviluppo articolato senza mai cadute di interesse, i personaggi sono tanti, ma ognuno è come disegnato nei suoi tratti minimi, una caratteristica, una particolarità che lo distingue e lo impone. In questo l’autore dimostra una capacità di immediatezza comunicativa, pochi cenni gli bastano per connottare un personaggio e muovere il nostro interesse umano, non solo letterario verso di lui. Il tema della memoria è importante, concettualmente e come sviluppo graduale della storia. La memoria che è inseguimento di come la nostra storia si snoda, come la riportiamo e come la distorciamo, segnalando bisogni e carenze, punti d’importanza e censure, cristallizzazioni e rimozioni. Un libro da consigliare a chiunque, perché è un luogo di atmosfere e di felice scrittura, che può avvincere e convincere, chi non legge e non ha mai letto, e chi pretende da un libro e da come una storia viene scavata in profondità. Un libro che si può anche rileggere, come è capitato a me, per trovare nuove emozioni e provare il gusto del riandare a scavare nei nostri ricordi.”

 

Nino, vorrei farti alcune domande in merito al tuo ultimo romanzo:

“…l’antico scompare per lasciar spazio al progresso…”: parallelismo con la società attuale. Quanto c’è di inutile nel tripudio di progresso che ci viene proposto? La situazione che viviamo è di certo preoccupante:  pensare però ai tempi in cui la crisi economica non esisteva, ma portava il solo nome di miseria, dovrebbe far riflettere. Con ciò, mi chiedo se ci sarà una riscoperta dell’antico… o meglio il progresso scomparirà per lasciar spazio all’antico?

Pasolini diceva che esiste lo sviluppo, migliorano le macchine, i cellulari, i modi di costruire, ma il progresso è altra cosa. Appartiene all’uomo nella sua piena accezione, compresa quella della socialità e quindi difficile da raggiungere come tale. Un tempo funzionava la sanzione sociale: chi si comportava male veniva messo al bando dalla comunità e la morte sociale è anche una morte peggiore, perché scontata giorno per giorno, presenti ad essa. Mio nonno andava a Nuoro a cavallo, si fermava in un paese sulla strada per far riposare anche l’animale, bussava a una casa e quello l’accoglieva, gli dava da mangiare e dormire. Gli bastava sapere da quale paese veniva. Non l’avesse fatto avrebbe dato cattiva fama a tutto il suo paese. Allora non c’erano alberghi. I miei nonni e zii pastori non miravano ad accumulare e anche sos riccos non avevano soldi contanti. Il tempo passato è una nostalgia non nostalgica, perché si deve vivere il presente. Però mi piace sempre ricordare il passato che è legato a episodi, odori, suoni, sapore, parole che mi danno evocazioni diverse. Io inseguo ancora l’antico sapore della salsiccia di Sindia, tagliata a pezzi grandi senza coltello.

 

Michele e Caterina i protagonisti de “La vita altrove”: i loro ruoli tra fantasia e realtà, orgoglio e rinunce.

C’è fantasia e anche uno spunto di realtà, di tante realtà, vere e possibili. In un amore nascosto, lento e poi improvviso, negato e combattuto. Dentro un ambiente che sembra dormire e porta avanti le sue storie ritualizzate. C’è realtà possibile e fantasia. Unite da tanti spunti e da tante storie convergenti. In una società fatta di regole ferree, immobili.

 

“La vita altrove”: la scelta del titolo non credo sia casuale. Questo è un periodico di emigrazione sarda (e il paragone mi viene spontaneo, ma correggimi se sbaglio) la vita altrove si è tramutata in destino per molti disterraus. La memoria è ciò che li ancora alla nostra Terra. Tema sempre attuale, che si può intendere come una sorta di utopia: consapevoli, o forse no, che una vita altrove non sarà mai perfetta e migliore di quella abbandonata, perché i ricordi e le memorie si intrufoleranno nel bagaglio col quale sono partiti.

E’ un immagine figurata proiettabile al tuo libro?

In pieno. L’emigrazione è un tema che sento perché i parenti di mia madre sono andati in Venezuela, vissuti e lì morti, dove è morta anche la mia nonna materna. Ci sono tutti in questo libro, dove ci sono anch’io, che aspettavo il loro ritorno definitivo da un momento all’altro, che ricordo i loro pochi arrivi e le loro ripartenze. So di loro perché ho voluto sapere, in una sorta di claustrofobia impotente della vita e mi commuovo ancora a piccoli gesti, al ricordo di mio zio Pietrino che prende in mano una chitarra e intona un canto in re, affrontando una commozione che solo lui poteva dire, ma non ha voluto mai esporre. Troppo forte ed estesa per lasciarla andare in una emozione. O mio zio Bachisio, gliel’ho fatto dire uguale nel libro, che dice “Quando mi chiedono di dove sono nella grande cartina del mondo, punto il mio dito vicino all’Italia, in un punto al centro di un’isola. Io sono di lì, nato e formato, sotto il mio dito”. O mio zio Tigheddu, che torna dopo 40 anni e parla il dialetto antico e la gente lo ascolta come si può ascoltare Mozart, come si guarda un reperto, una pietra antica coperta da sa lana ‘e pedra. C’è gente che dice “Voglio farmi due risate”. Io qualche volta dico “Voglio farmi un bel pianto”.

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2 commenti

  1. Bonos Printzipios e Menzus Fines per il 2012 a te ai collaboratori di Tottus in Pari.

  2. Grazie Vale e a sos atteros de tottus in pari.

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