"CABUDANNE DE SOS POETAS" A SENEGHE: DOVE LA CULTURA NEL MESE DI AGOSTO FA ANCORA NOTIZIA


di Sergio Portas

La cupola dell’Immacolata Concezione, la parrocchiale di Seneghe, svetta come un cane pastore in mezzo a un gregge di case fin da Solarussa e agisce come fosse un faro pei trecento metri scarsi che ti tocca scalare il Montiferru prima di arrivare in paese. Per questa settima edizione di “Cabudanne de sos poetas” (25-28 agosto) la “partza de sos ballos” (pei continentali: è qui che tutta la gente del posto impazza di danze durante il carnevale) è strapiena di gente il giovedì sera dell’inaugurazione: c’è Michela Murgia. Cabrarissa di Sinis assurta oramai a icona letteraria nazionale, impegnata col suo “Ave Mary”, uscito da poco per Einaudi, nell’impossibile tentativo di ripetere il successo extragalattico dell’Accabadora. Qui parlerà di poesia, una piccola lezione recita il pieghevole che cita i numerosi ospiti che si alterneranno questi giorni, e sere, e notti. La poesia di Michela è quella che lei ricava dai modi di dire che regolavano la convivenza delle famiglie sarde di una volta. Quel modo aspro di intercalare che di fronte a una bimba di tre anni che si permetteva un qualche capriccio di troppo fa gridare il congiunto più vicino con termini non proprio amicali tipo: “squartarada” o “unfrada”, “fastimus” (maledizioni) che le augurano un destino capace di essere squartata nel migliore dei casi, fatta a pezzettini, nel peggiore. Di queste chicche Michela ne sfoggia una decina, mandando in delirio di risa l’auditorio, più ancora forse con la traduzione che segue ad ogni detto, ogni modo di dire, traduzione invariabilmente interlocutoria e circostanziata di fonemi assolutamente incapaci di rendere l’originale sardo che colpisce, il più delle volte, come una rasoiata pattadese affilata di fresco. E sono duetti tra moglie e marito, tra fratello e sorella, con risposte secche ad attacchi di provocazione, che nella loro asprezza paradossalmente sono capaci di regolare il bisticcio, di metterlo tra parentesi con regole dettate dalla tradizione: ci si insulta, a fastimus, e poi ci si vuole bene come prima. Impareggiabile per intelligenza oratoria, per arguzia di ragionamento, per simpatia istintiva Michela Murgia apre alla grande quest’edizione di “Cabudanne” e Flavio Soriga che la presenta dal palco, alla sua maniera di sregolato imbonitore, giustamente le concede titolo di regina. L’indomani mattina a “Sa prentza de Murone”, sotto un pergolato d’acini d’uva gialla che ti chiedi come possa ancora essere incolta, per la serie “parolieri e poeti” Pino Martini Obinu incontra Michele Pio Ledda, Ambra Pintore, Anna Cristina Serra e Andrea Appino. Ognuno di questi si meriterebbe lo spazio di un articolo (e non sarebbe bastevole). Con Pino ho “conflitto d’interessi”, che mi dirige in “Sa Oghe de su Coro”, coro meticcio-sardo nato in quel di Milano. Quindi null’altro dirò di lui. Michele Pio Ledda ha scritto testi di canzone per un numero di artisti sardi e non praticamente infinito, autore anche di romanzi e racconti, i suoi testi viaggiano nei teatri e nelle piazze dell’isola da sempre. Ambra Pintore incidendo (con Pino) il suo primo disco in sardo: “Mùriga” fa una dichiarazione d’amore al suo essere, provenire, da una unione di nazionalità tanto diverse quanto meravigliose nel risultato  cromosomico, canta con una voce le cui sonorità rievocano echi di perduti paradisi che improvvisamente si ripalesano, lasciando tutti stupiti per la possibilità del loro pur effimero ritorno. Di Anna Cristina Serra, finalmente, si può dire che è poetessa (lo sono anche gli altri di prima in verità) lei lo è per produzione letteraria, per numero di premi vinti, è poetessa sarda, che in questa lingua sa esprimere naturalmente sentimenti e meraviglie che fanno di questa vita l’intrico di sensazioni che ognuno di noi sa, ma non sa, come lei, cantare e descrivere. Di Andrea Appino basterebbe dire che nasce a Pisa e vive a Livorno (una contraddizione non sanabile mai), musicista e compositore, cinque dischi in inglese , l’ultimo in italiano del 2009: “Andate tutti affanculo”. Da questa miscela di caratteri nasce un “format” accattivante più che mai, le problematiche di un paroliere, stretto tra i confini della melodia e della metrica, sono diverse da quelle del poeta puro. Anche se Pio Ledda ci tiene a ricordare che i sardi, dei loro componimenti, hanno sempre parlato di canzoni, mai di poesie. E naturalmente spuntano le problematiche del cantare, poetare, in limba piuttosto che in italiano o inglese. A intervalli non regolamentati Ambra Pintore ci regala una cantata come fosse una sirena di Ulisse, tocca legarsi alla sedia per contenere l’emozione. Pino è proprio bravo a tenere il filo del discorso che non è banale mai. Andrea Appino prende una chitarra e lì per lì urla alla sua maniera una canzone che crea sbigottimento salutare almeno nella metà del pubblico sopra i sessanta. Insomma un incontro tra addetti ai lavori si rivela pieno di spunti che richiedono una riflessione ulteriore. In questi tempi informatici viene da dire il peccato che non si sia tutto filmato e messo in rete, per la condivisione dei sardi che non c’erano, a questo cabudanne di Seneghe.

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2 commenti

  1. Complimenti per l’articolo. Proporrò all’associazione di segnalarlo sul sito ufficiale. Un solo appunto: tutti gli eventi sono stati registrati. Aspettiamo solo che il nostro operatore video finisca il montaggio del girato per metterlo online.

  2. Graziella Onnis

    Belle come sempre le parole di Sergio: anche a chi non c’era, come me, purtroppo, fanno vivere l’atmosfera e i momenti magici di quel fine agosto a Seneghe. Complimenti a tutti e aspettiamo impazienti il filmato on line.
    Grazie,Graziella

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