LA CAPACITA' DI ASCOLTARE! L'ASSOCIAZIONE "CASA SARDEGNA" DI PARIGI, INTERVISTA LA SCRITTRICE MARIA GIACOBBE

da sinistra: Giusy Porru, Presidente di "Casa Sardegna" a Parigi; l'autrice dell'intervista Carla Cristofoli e la scrittrice Maria Giacobbe

da sinistra: Giusy Porru, Presidente di "Casa Sardegna" a Parigi; l'autrice dell'intervista Carla Cristofoli e la scrittrice Maria Giacobbe


di Carla Cristofoli

Maria Giacobbe, scrittrice sarda, nata a Nuoro, vive in Danimarca dal 1957, dello stesso anno é il suo “Diario di una maestrina”, per il quale ottiene il premio Viareggio. Al suo attivo ha una ventina di titoli, in italiano e danese. I suoi libri hanno ricevuto i maggiori premi letterari danesi. Noi dell’associazione ‘Casa della Sardegna’ l’abbiamo incontrata qui a Parigi, e con lei abbiamo parlato del ruolo della donna nella società sarda e italiana

Scopro in Maria Giacobbe una dote che sento sempre più rara nella società: la capacità di ascoltare. Maria risponde solo dopo aver ascoltato e quando lo fa, pesa le parole, le sceglie con cura, vuol essere sicura che il suo pensiero sia chiaro. Parla con un tono di voce basso e il ritmo dell’accento, mai perso. Guarda spesso la televisione italiana e sebbene ci siano ancora dei dibattiti interessanti, sono comunque troppo urlati, non c’é confronto ma scontro. L’impressione che ho, infatti, di Maria Giacobbe é quella dell’intellettuale aperta all’incontro, al confronto, al dibattito.

La cultura sarda é definita matriarcale: la donna gestisce i rapporti sociali e familiari. Lo é mai stata veramente? C’era una forma di dominio femminile dentro le pareti domestiche e non c’era sottomissione, nelle famiglie pastorali la donna restava sola per molto tempo e amministrava i beni materiali e culturali, l’educazione dei figli ad esempio, ma fuori di casa era l’uomo che decideva. Bisogna stare attenti a non ragionare per schemi. Quando, più di 50 anni fa, sono andata in Danimarca ho trovato donne emancipate, almeno in confronto all’Italia, alla Sardegna e ancor di più a Nuoro. Le danesi avevano una libertà sessuale maggiore ma non l’indipendenza sociale ed economica. Mia nonna che era rimasta vedova giovane e che aveva un certo patrimonio aveva un’autorità economica che mia suocera, danese appunto, non aveva affatto.

Nel tuo ‘Diario di una maestrina’ mi ha colpito la tua considerazione sull’ ‘impossibilità in Sardegna, di essere cio’ che veramente (i sardi) vogliono essere’. Mi ha colpito la modernità di questo tuo pensiero, tu ne parli in una realtà di 50 anni fa ma io lo ritrovo ancora oggi Quella era una mia interpretazione di cio’ che la gente sentiva in quella particolare realtà e io sottolineavo l’importanza che la scuola ha nel ridurre questa rassegnazione al destino, alla quale io istintivamente mi sono sempre ribellata. Questo pensiero lo riprendo anche negli ‘Arcipelaghi’: la madre del veterinario che è un personaggio del romanzo, andata a vivere a Milano, si sente finalmente libera perché li non c’é ‘la critica’. Ti diro’ che in Danimarca c’é un modo di dire che riguarda appunto ‘la critica’ e che condanna tutti quelli che alzano la testa o che si ribellano, e i Danesi credono che questo sia tipico di una certa provincia danese. In realtà é un fenomeno tipico della provincia e che manca nella grande città, sebbene qui si presenti il problema opposto, che è quello dell’indifferenza. In ogni caso io preferisco quest’indifferenza all’ossessivo controllo.

Sempre di più le donne scrivono, scrivono di donne e per le donne, come lo spieghi? Le donne scrivono e leggono sempre di più perché sempre di più hanno accesso alla cultura e agli studi. Ma non dimentichiamo che già nei secoli scorsi l’Europa e l’America avevano avuto molte e validissime scrittrici. Se e quando le donne scrivono di donne è certo perché ne conoscono meglio la psicologia e i problemi e forse perché molta scrittura é anche una forma di auto-analisi. Se si scrive (anche) per capirsi, è quasi naturale proiettarsi in personaggi del proprio sesso e spesso, ma non sempre, scrivere del proprio vissuto. Non necessariamente però in forma autobiografica né chiusi/e asfitticamente nella propria realtà fattuale. Generalmente, in tutto il mondo, le donne leggono più  degli uomini, e c’é chi scrive pensando all’eventuale lettrice. Ma c’è anche chi, egoisticamente, scrive per se stesso/a. Io, francamente, quando scrivo non penso mai a chi mi leggerà, e tanto meno se sarà un pubblico maschile o femminile. C’é un problema, un’immagine, una storia di cui mi interessa scrivere e lo faccio.

Le scrittrici scrivono di donne alle prese con la loro quotidianità, ma il modello di donna proposto dai media é fuori da ogni realtà. Come giustifichi la presenza di due fenomeni cosi diversi? Quando io guardo la televisone italiana, che vedo spesso, vedo delle donne con le quali io non ho nulla in comune. E non conosco neanche altre donne che abbiano qualcosa in comune con loro, forse perché faccio una selezione o forse perché quelle donne dal fisico perfetto e il sorriso stereotipato non esistono nella realtá e sono fabbricate più o meno artificialmente per vendere il sogno, l’evasione, e dei concreti prodotti commerciali ai quali la loro immagine automaticamente si collega.

Il 13 febbraio le donne italiane sono scese in piazza al grido di “Se non ora quando?” Come hai vissuto questa manifestazione? A dispetto della giornata freddissima, insieme ad altri amici italiani, uomini e donne, per fare numero siamo andati da Copenaghen in Svezia e abbiamo manifestato insieme alle donne italiane di Malmö, la più vicina grande città svedese. Tornata a casa ho visto alla televisione le bellissime manifestazioni di Roma, di Milano, i discorsi bellissimi. Emozionante vedere unite nello stesso desiderio una Suora e una dirigente sindacale, un’artista e una donna che fa politica. E sono d’accordo: ‘se non ora quando’? Io sono per la speranza, pero’ questa non dobbiamo aspettare che ci arrivi come la pioggia dal cielo, dobbiamo agire per realizzarla. Dobbiamo agire oggi per i giovani che non hanno un futuro: in Italia c’é ormai un 19% di disoccupazione giovanile. Fra vent’anni che cosa sarà della società italiana? É una cosa che mi fa star male. Allora egoisticamente penso: ‘meno male che me ne sono andata e che i miei figli lavorano’.

Consigli una fuga?  No, la fuga mai, sarei l’ultima a dire ‘devi lasciare l’Italia’. Auguro un rientro nella realtà, nella lotta. Non posso dire a nessuno ‘non devi lasciare l’italia, devi restare li a combattere’ così come non posso dire ‘dovete scappare via tutti’. Ma so che bisogna combattere per avere delle alternative. E io non mi sono mai sottratta: anche partendo ho continuato a scrivere articoli critici, in giornali e riviste, su come la società si stesse evolvendo o regredendo. E questo l’ho fatto sino a pochi anni fa. Ora meno, perché ci sono meno canali aperti: molti giornali per cui prima scrivevo oggi si manifestano in un modo che non mi piace e con loro io non mi sento più una voce libera.

Che cosa ti auguri? Una reazione popolare e soprattutto giovanile. Mi auguro che ci sia finalmente una presa di coscienza, che la gente capisca il pericolo di questa società consumistica che la sta consumando.

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Un commento

  1. Maria Giacobbe (Danimarca)

    Caro Massimiliano Perlato,
    complimenti per il gran lavoro che Tottus in pari fa per i Sardi nel mondo. Sappia che, nei limiti delle mie possibilità, sarei contenta di partecipare a quest’utilissima opera d’informazione e aggregazione.
    Molti cordiali saluti e auguri

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