GLI SPAGNOLI, I SAVOIA E GIORGIA MELONI: L’INUTILE DIBATTITO SUI SOTTOSEGRETARI SARDI

“Carlo Felice munifico protettore delle Belle Arti in Sardegna”, Giovanni Marghinotti, 1830

di VITO BIOLCHINI

Gira e rigira, anche se il termine ormai è scomparso dal nostro glossario politico, tutto il dibattito pubblico isolano verte sulla famosa “questione sarda”, ovvero la riflessione sugli strumenti di cui la Sardegna debba disporre per poter colmare il gap di sviluppo che la divide dal resto dell’Italia e dell’Europa. Ma come ha spiegato bene recentemente Paolo Maninchedda, la questione sarda non può esser interpretata, sulla falsariga della famosa “Questione meridionale”, solo in termini di sottosviluppo ma deve essere declinata anche ragionando sui poteri di cui la nostra isola dovrebbe disporre per poter essere protagonista del suo riscatto.

Da queste due linee di pensiero (sottosviluppo, e quindi più risorse economiche per la Sardegna; poteri, e dunque statuto di autonomia prima e istanze di autodeterminazione poi) si inquadrano tutti i tentativi che la classe dirigente sarda ha fatto sostanzialmente dal Seicento ad oggi, con interessanti commistioni tra le due richieste. Perché anche chi ha provato a risolvere la questione sarda chiedendo banalmente più soldi (e magari ottenendoli, basti pensare alla “Legge del miliardo” negli anni del fascismo), non ha dimenticato la questione dei poteri. 

Ma come è stata declinata questa richiesta? Certamente non pretendendo più poteri per le istituzioni che rappresentano il popolo sardo, ma banalmente chiedendo che i sardi potessero accedere ai posti di comando delle istituzioni centrali, o di rappresentare in Sardegna le istituzioni centrali stesse.

Era questa la richiesta dei nobili sardi alla corona spagnola durante la crisi che precedette l’’assassinio del viceré marchese di Camarassa nel 1668; era questa tra le richieste che nel 1793 le élite isolane avanzarono ai Savoia, intendendo in questo modo di essere ricompensati dall’avere difeso la Sardegna dall’assalto francese. Non poteri alla Sardegna dunque, ma posti di potere per i singoli sardi.

Come un’onda elettromagnetica che dallo spazio profondo arriva fino a noi, allo stesso modo l’eco di questa impostazione si avverte nei giorni nostri quando, ad ogni cambio di governo, nell’isola si apre il dibattito “Ci sarà un ministro sardo? Ci saranno sottosegretari sardi?”, intendendo in questo modo riaffermare l’antica richiesta che torna: posti di potere per le élite isolane.

I sardi posti di potere ne hanno avuti e questo non ha cambiato per nulla i termini del discorso. Quindi è ozioso chiedersi se ci sarà un ministro sardo o meno, un sottosegretario sardo o meno. Perché basta anche solo aver fatto un giro dei palazzi del potere romano per rendersi conto che la Sardegna con i suoi problemi letteralmente non esiste, ed è ridicolo pensare che un singolo da solo possa interpretare la complessità della questione sarda e imporla all’attenzione della politica italiana.

Ciò che serve è invece un governo regionale innanzitutto credibile, e poi capace di entrare in una dimensione dialettica con il governo e lo stato italiano. La giunta Solinas ha queste caratteristiche? Ha le carte in regola per entrare in conflitto con il governo Meloni? Direi di no. Ieri l’ex presidente della Regione Mauro Pili sull’Unione Sarda ha elencato quelle che per lui sono questioni aperte tra il governo e la Regione: dei tredici punti, a mio avviso non ce n’è neanche uno per il quale la Sardegna (anche quella governata a suo tempo dallo stesso Pili, allora fedelissimo berlusconiano) ha fatto negli ultimi decenni quello che avrebbe dovuto fare. 

Al netto del disinteresse italiano, siamo inadempienti Quando si governa seguendo solo la bussola del potere, il risultato è quello che vediamo ogni giorno. 

Il presidente Solinas ha minato il sistema Sardegna, indebolendolo drammaticamente. L’esempio è la sanità dove l’attuale disastro non è dato solo, come ipocritamente afferma oggi sull’Unione Sarda l’assessore Nieddu, dalla mancanza di medici e infermieri, ma soprattutto dalla disorganizzazione che nasce dalle decisioni strumentali della politica, dalla sua non volontà di decidere se non quando i giochi di potere si possono chiudere. Le Asl sono rimaste per mesi senza atto aziendale e senza direttori amministrativi e sanitari: questo ha indebolito il sistema molto più della carenza dei medici.

Servirebbe poi una classe dirigente coesa e mediamente responsabile di ciò che dice e ciò che fa, perché non tutto può essere scaricato sulle spalle dei politici. 

Ma il dibattito pubblico nella nostra isola ormai è ridotto al lumicino, con una politica senza visione e un giornalismo che si limita a certificare l’ovvio, a non scavare, a non promuovere ragionamenti, se non quando a occultare le notizie, a voltare la faccia. Così non si va molto lontano.

Conclusione: la Sardegna non la salva un sottosegretario sardo (magari alla difesa, l’ennesimo) in un governo italiano: la Sardegna la salvano i sardi. Se ragionano assieme, se si uniscono, se hanno consapevolezza del loro stare nella storia. Altre strade purtroppo non ce ne sono.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *