UN VIAGGIO PERPETUO. TERRA SARDA, TERRA MADRE, OVUNQUE


di Manola Bacchis

Un giorno mi venne chiesto: “raccontaci la tua vita da emigrata”.

Ora rifletto e dico, a me stessa, che ‘non sono emigrata’, o meglio, lo sono stata e oggi sono più nomade che stanziale, una gitana con nome spagnoleggiante, sangue Sardo misto campidanese sulcitano, con un conte Ugolino come origini e un’adozione italo-sarda tra la Toscana, il Lazio e la Mia Sardegna.

Sì perché se sono cittadina del mondo, lo sono perché innanzitutto sono cittadina della Mia Terra Madre, Ichnusa, “bionda Sardegna” come recitava uno spot pubblicitario.

E, in effetti, bionda lo è! Soprattutto oggi.

Guardare dal finestrino. Qualunque esso sia. Dalla macchina, dal treno, dal trenino delle ferrovie della Sardegna, o dall’aereo.

Lo scenario che si offre ai miei occhi è differente, pur nel suo ripetersi.

Il sole illumina le campagne, il giallo regalato dalle spighe di grano e di avena pare uscire da un quadro di Monet o, forse, è lui che magistralmente vi entra di soppiatto rendendo eterna la stagione massima per espressività della vita che esplode.

E, sempre come un artista, una mano disegna fazzoletti di terra, alterna rocce, colline, montagne, laghi, fiumi e dimore dell’uomo.

Piccoli e grandi centri abitati emergono qua e là, distanti tra loro, a volte in zone impervie, quasi impossibili e improbabili. Eppure, l’uomo, mattone dopo mattone, ha eretto e creato il luogo. Non un luogo qualunque.

Ogni pietra ha il suo senso.

La chiesa, la piazza, le corti, la scuola, le case, le strade … rimani incantato, e se la notte è complice del tuo viaggio le luci ti guidano e formano la mappatura.

Sembrano tante stelle. O tanti soli. Che poi è la stessa cosa. I raggi illuminano le strade e le strade sono i raggi con al loro centro il cuore della comunità, del paese: la piazza. Tutto verte e si riversa in un’aerea semplice, eppure basilare: l’ombra di alberi secolari o meno offre riverbero ai pensieri e alla condivisione di diverse generazioni sedute su panchine in pietra. Uno scambio veloce di saluti, o lunghi discorsi, sguardi, sorrisi o salate gocce lungo il viso segnano il passaggio, insieme al rintocco delle campane, di espressioni e di storie.

Mentre penso e rivedo queste scene di vita, viaggio lungo la via della mia Terra, l’attraverso e, assorta nei pensieri lusingati dalle note di una radio e dalle pagine di un libro, ascolto e sorrido: un bambino, gioioso e spensierato, seduto dietro al mio posto, rigorosamente nella fila ‘finestrino’, si interroga con un fare adulto ciò che ormai i mass media rimbalzano nella mente.

“Babbo, babbo, e se l’aereo cade?”. Io, forse, anzi sicuramente, più curiosa del bimbo sulla risposta del suo babbo, attendo con il fiato sospeso. Sul mio volto un altro sorriso nell’udire il babbo: “tranquillo, non ti preoccupare, tanto l’aereo non è nostro”.

Un sospiro di sollievo, il mio. Rassicurante direi. Sia per il tono, sia per la presenza del bimbo alle mie spalle. Perché, si sa, se in volo ci sono bimbi, non può accadere nulla di ché!!

Ma non era solo il bimbo a tenermi compagnia in questi innumerevoli viaggi tra Terra Madre e ‘continente’.

Ogni settimana, la compagnia si ripeteva.

Gruppi di pastori, di operai e di taglialegna, di impiegati, di studenti pendolari, di Sardi che, il fine settimana, avevano il trolley carico di un unico sogno: sentire, anche per due sole notti, il sapore unico e inspiegabile delle proprie radici. E, magari, la domenica successiva, o per i più fortunati il lunedì mattina (come capitava a me), riempire il trolley di altri sogni, come se il confine non esistesse, tanto da rischiare il sovraccarico e la super multa della compagnia low cost nella fase del peso del bagaglio!

Impossibile rinunciare a quel sapore di casa nostra, fatto di pane carasau (tra l’altro venduto anche oltre mare! Però quello di casa nostra è “più saporito!”, con un senso identitario marcato ovunque coi quattro mori) e di formaggio.

Ecco perché, dico e ripeto che, in fondo, è proprio vero che occorre incitare “lunga vita alla mosca!”.

E, sì!,perché, come dissero alcuni miei compagni di avventure – in un momento di lunga attesa e ‘travaso’ da un aeroporto all’altro, sotto la neve, la pioggia, o avvolti da una coltre di nebbia fitta stile Dario Argento -, “se ci muore la mosca, ci muore il formaggio!”

E, così, dopo quasi dodici ore di ritardo del volo, infreddoliti, sballottati in un bus alle tre del mattino, per poi essere imbarcati su un nuovo velivolo – che attende parco sulla pista buia e ventosa di Genova -, beh, direi che nell’udire “svelti svelti, che altrimenti si decolla in ritardo!”, solo l’idea dell’inimitabile casu marzu, il formaggio con i vermi, può essere stata l’unica ragione di vita di noi, passeggeri (e dell’hostess!!), in viaggio, perpetuo.

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4 commenti

  1. Che bello! Complimenti, Manola.

  2. Brava Manola, vuol dire che la prox cena con l’autore sarà a base ‘e casu marzu.

  3. Ma che bellino Manola. Sembra di essere con te a guardare il mondo

  4. LEGGENDOTI, mi sono sentito tuo compagno di viaggio: viaggio intrapreso da tempo antico e rivissuto a tempi alterni, che’ la voce della madre e del pater bucava il cielo e calamitava la mia anima…
    Ora sono qui’ per godermi il calore e il profumo della terra sarda, della mia terra e nulla voce sara’ cosi’ melodiosa da farmela dimenticare e incantare il mio cuore. Molto cammino ho percorso seminando sudore e orgoglio e civilta’. Ora ho diritto di riprendermi quegli anni che avevo ipotecato con il segreto impegno di ritornare per poter vivere davvero .
    Un bel racconto il tuo, cara Mano: sei entrata dentro il tunnel dei ricordi con nostalgia e sensibilita’ che profumano di rosa e di “non ti scordar di me.” cit.

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