"SANTITA', AIUTI QUESTA TERRA!": LETTERA A PAPA FRANCESCO CHE SARA' IN VISITA IL 22 SETTEMBRE A CAGLIARI


di Emiliano Deiana *

Santità, il 22 sarà a Cagliari, in Sardegna, per ricercare le radici della sua fede, per ricercare le radici che legano una terra messa al centro del Mediterraneo e una città alla fine del mondo. Non è il primo Papa che viene nella nostra terra: prima di lei vennero Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. I problemi di ieri sono i problemi di oggi, su questa terra. Solo più gravi perché la carne viva delle persone si è infetta dall’incuria, dalla capacità di immaginarsi un futuro di verso: migliore e pulito. La miopia di chi ha governato i processi economici, sociali e politici è diventata oggi vera a propria cecità; lei, Santità, viene in una terra vecchia, stanca, impaurita. Una terra dove non c’è lavoro e tutto il lavoro che c’è è legato, da un giogo, alle dinamiche pubbliche che non costruiscono cittadini, ma schiavi. Schiavi di se stessi, prima di tutto. La Sardegna non è più capace di produrre quel che le serve per la propria sussistenza, abbiamo disimparato a lavorare la terra, a riconoscere il ciclo della terra, ad allevare con cura gli animali e le piante, a trarre – nel rispetto del creato – il sostentamento necessario per vivere, per vivere bene, con un’economia solidale. I pastori, su questa terra, sono stati abbandonati al loro destino. Assediati dalle malattie che assalgono le greggi, piegati dalla forza degli elementi naturali, fiaccati dalle inefficienze della burocrazia e da un modello che ha inoculato il peggiore dei morbi: la vergogna di lavorare la terra, di sporcarsi le mani, di odorare dell’odore del proprio sudore, della propria fatica. E la vergogna di usare la propria lingua per raccontare il ciclo della terra, il nome dei luoghi, per narrare un altro universo che si dischiude nelle parole di una lingua dura, con le parole che crepitano – come pietre masticate – in bocca. Gli operai, su questa terra, sono stati abbandonati al loro destino. Uccisi nella dignità dai licenziamenti, dai tagli, dalle riorganizzazioni aziendali fatti da predatori senza scrupoli che, intascato il bottino del finanziamento pubblico, se ne sono scappati lasciando disoccupazione, miseria e devastazione ambientale. Quei predatori hanno preso tutto e lasciato niente: capannoni vuoti, macchinari arrugginiti, padri di famiglia che non hanno più la forza di impararne un altro di mestiere, di inventarsi un futuro dove futuro non c’è. Gli imprenditori, quelli veri, sono stati abbandonati al loro destino. Quelli che si sono immaginati l’azienda come una famiglia, quelli che sono i primi fra gli operai: i primi ad arrivare nello stabilimento e gli ultimi ad andarsene inseguendo una burocrazia feroce con i piccoli, una burocrazia che si trasforma in sanguisuga, che ruba il tempo al lavoro, che ruba il tempo alla dignità di un lavoro onesto. Gli imprenditori veri quelli che davvero producono ricchezza e lavoro, legati alla terra, alle produzioni locali, alla interpretazione nuova del sapere antico, Santità, sono stati abbandonati. La Sardegna, Santità, è la terra dell’abbandono e degli abbandonati. C’è una canzone argentina, la Sua terra, cantata da AtahualpaYupanqui che attraverso il cigolare stanco delle ruote di un carretto racconta la fatica degli abbandoni, di chi si abbandona a una strada, di chi viene abbandonato nel tempo e nella storia. Ecco, oggi la Sardegna è, si, una terra abbandonata, ma è una terra che non si rassegna all’abbandono. Una terra che però, di continuo, per tutto il ‘900 fino ad oggi, in maniera incessante, viene abbandonata – per necessità – dai suoi figli più belli, dalla gioventù che non trova lavoro. Abbandonano i paesi piccoli per le città e poi le città per altri altrove, lontani da casa, spinti dal bisogno. E in una terra che viene abbandonata bisogna far crescere la voglia di accogliere, di accogliere chi viene considerato diverso per provenienza geografica, per diversità religiosa, per diversa inclinazione sessuale: gli uomini accolgono altri uomini, i popoli altri popoli, nella solidarietà, nella comune volontà di costruire un futuro solidale. E per fare questo c’è però bisogno che la comunità sarda si fortifichi e fortificandosi si apra al confronto con le altre genti che si spostano dall’Africa verso l’Europa, con altri idiomi, altre culture, altre tradizioni. La Sardegna, nell’intimo, è una terra che vuole interpretare, nel centro del Mediterraneo tutte le ragioni umane, civili e democratiche della pace, della collaborazione fra i popoli, mettendo al bando l’ignominia dei Poligoni Militari nei quali vengono testate, offendendo ancora la terra e le comunità, le armi più pericolose e devastanti, armi che portano qui malattie nuove e innominabili ed altrove morte e distruzione. Aiuti questa terra, Santità, a ritrovare le ragioni vere della Pace e dell’armonia, aiuti a far crescere la consapevolezza che è la pace a creare ricchezza e non la guerra, che le economie solidali si fortificano nella pace e nella collaborazione. Ed aiuti, Santità, la Sardegna a ritrovare la voglia di bellezza, nelle case, nei paesi, nelle montagne, davanti al mare, nelle periferie delle città; ci aiuti ad innalzare questa voglia di bellezza e di armonia che aiuta a stare meglio, che aiuta la pace, che restituisce ai luoghi il senso del passato e il respiro del futuro. Santità, siano le sue parole, ancora, non racconto ma esempio, non oscure ma chiare, non chiuse ma aperte. Perché, qui, nessuno si aspetta promesse, ma uno sguardo nuovo, parole nuove con sapore antico che dicano di pace, di solidarietà, di armonia, di bellezza, di grazia: per chi ha la fortuna della fede e per chi si agita nel mare del dubbio; per chi non crede e, come Ella ha scritto, ma che specchiandosi nella propria coscienza può sorridere a una vita, comunque, giusta. E scacci, Santità, i nuovi mercanti dal Tempio; li scacci davvero, quelli che l’hanno saccheggiata, la Sardegna; coloro che l’hanno offesa, dilaniata, che hanno predicato attraverso anni e anni l’inutilità dell’istruzione, della conoscenza, che si sono sbranati la scuola, che l’hanno abbandonata all’incuria, che hanno fatto perdere l’autorità ai maestri, che hanno costruito alunni sordi. Li scacci via, dal Tempio. Basterà una Parola, per descrivere un mondo nuovo. E sguardi d’altrove, incessanti, per capire che forse non saremo, finita la visita, di nuovo soli.

* cagliari.globalist.it

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2 commenti

  1. l’avevamo chiesto anche agli altri pontefici venuti in Sardegna ma il potere risiede in parlamento, perchè fino a quando ci abbasseremo le braghe non ci sarà pontefice che tenga

  2. Santìtà..aiuti questa terra. .inizi a non accettare i 600.000. .dia una lezione. di vita a capellacci. .anziché pigliare sti il soldi…li faccia distribuire presso le famiglie povere in Sardegna. .

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