IL TRENINO VERDE DELLA SARDEGNA: L'AVVENTURA FERROVIARIA DI UN VIAGGIO MOZZAFIATO IN MEZZO ALLA NATURA


di Barbara C.

Il trenino verde percorre la Sardegna in lungo e in largo per 600 km. Decidiamo di viaggiare lungo la tratta Arbatax – Mandas, in totale 159 km. Per comodità saliamo ad Arzana, località montana ad 800 metri s.l.m. in Ogliastra. L’aria, fresca e profumata, predispone bene dopo tanti giorni bollenti sotto l’ombrellone.

La stazioncina è l’ex casa cantoniera adibita a sala d’aspetto-bar. Quando raccontiamo al giovane dietro al banco l’intenzione di arrivare fino a Mandas, subito ci scoraggia, facendoci notare le sei ore di viaggio tra andata e ritorno. I turisti, racconta, preferiscono fermarsi a Niala o a Sadali per dedicarsi ad escursioni naturalistiche nei boschi e nelle grotte dei dintorni. Nella nostra comitiva c’è chi è deluso, chi sollevato. Tutti siamo quasi convinti di dare retta ai saggi consigli del barista.

Il trenino arriva con leggero ritardo nemmeno notato dato che siamo di buon umore e in vacanza. I binari lillipuziani a scartamento ridotto (950 mm invece di 1435 mm) e due vecchie carrozze di legno mezze sfasciate ci strappano il primo moto di simpatia e diverse foto.

Con nostra sorpresa, il treno Diesel scarica per una breve sosta una gran numero di persone. Noi cinque siamo gli unici a salire, cercando ansiosamente dove sederci, tra zaini ed opuscoli informativi lasciati sui sedili ad occupare il posto.

Senza essere dei giocatori di basket, lo spazio tra passeggeri è molto ristretto: le mie ginocchia sono appiccicate alle ginocchia di un signore francese con la faccia da Charles Aznavour, elegante e composto nella sua camicia di lino alla coreana.

Il capotreno ci interpella per sapere la destinazione da scrivere sul biglietto ferroviario. Regnano l’indecisione e la confusione. Ci conferma la fatica del viaggio e ci raccomanda le soste intermedie. Io spingo per arrivare fino a Mandas, visto che è la nostra prima volta sul trenino verde. Il capotreno, da una parte pentendosi del suo catastrofismo dall’altra mosso a compassione di fronte alla nostra incoscienza, compone un numero sul suo telefono di servizio. Prenota il nostro pranzo a Mandas, presso un agriturismo. Verranno a prelevarci alla stazione all’arrivo previsto per l’una e un quarto. Là, dice, non c’è niente, non trovereste da mangiare nemmeno un panino.

Intanto il treno procede placido, a 40 km orari, lambendo il Parco regionale del Gennargentu e, facilmente, si intuisce il motivo per cui l’abbiano chiamato “verde”. Da ambo i lati siamo avvolti da castagni, roverelle e lecci secolari. A tratti il bosco si allontana e lo sguardo si posa, con una punta di apprensione, su scoscesi dirupi ricoperti di macchia mediterranea. Riconosciamo, da inesperti botanici quali siamo, almeno il corbezzolo.

Oltrepassiamo le prime stazioncine intermedie di Villagrande, Gairo e Ussassai. Frastornata dalla novità, con il costante rollio del treno in sottofondo, faccio appena in tempo a registrare la presenza di pini sul Monte Arbo che, quasi leggendomi nel pensiero, il capotreno si avvicina. Racconta che dopo gli incendi verificatisi negli anni ’80, la Regione decise di piantare pini con l’intento di rimboschire velocemente la terra bruciata e di fornire legno alla Cartiera di Arbatax, attiva fino all’anno passato, compromettendo però, in tal modo, la crescita spontanea della macchia mediterranea.

Lo sfruttamento del legname, per l’appunto, costituì la ragione primaria per cui si volle tracciare questa linea ferroviaria, inaugurata alla fine dell’800, precisamente nel 1894, dopo sette anni di lavori scanditi dallo scoppio di mine, dallo scavo di gallerie e dalla costruzione di ponti di ferro sospesi nel vuoto. Leccio e roverella, infatti, sono legni ottimali da utilizzare per le traversine dei binari. Il legname, col treno, arrivava al porto di Arbatax e veniva caricato sulle navi per incrementare lo sviluppo della rete ferroviaria del giovane Regno d’Italia.

La funzione primaria fu, quindi, di trasporto legname e ciò spiega come il tracciato si sviluppi lontano dai centri abitati. Il capotreno a questo punto si lascia sfuggire un commento pungente: “La ferrovia ha deturpato il paesaggio per fregarci il legname”. Noi, i continentali, rimaniamo nell’inconscio collettivo sardo, i “predatori dell’isola vergine”. Gli alberi erano una risorsa importante di certo per i carbonai che ne ricavavano carbone bruciando a fuoco lento per una settimana il legno in fosse profondissime, tanto da rendere “spelacchiati” i monti attorno fino a settant’anni fa.

A Seui scendo per scattare una foto ad una littorina Diesel elettrica del 1958 rimessa a nuovo. Questi vettori, impiegati sulla linea Circumvesuviana, furono donati alla Sardegna e dovettero essere abbassati per poter entrare nelle anguste gallerie ottocentesche. Possono trasportare un carico di 144 tonnellate, consentendo anche il trasporto merci. Non a caso, fino agli anni ’80, su rotaia, transitavano materiale enologico, come botti e bottiglie, patate e tabacco. Seui contava 4000 abitanti ed era un centro importante in cui il legname, la pastorizia e l’agricoltura permettevano alla gente locale di risiedere nel loro territorio senza dover inurbarsi. Era anche attiva fino agli anni ’50 una miniera di antracite, di cui ancor oggi si possono vedere le cosiddette “laviere”, delle vasche di depurazione del minerale. A Seui poteva cadere anche 1 m di neve, come testimoniano gli spazzaneve ancora visibili appesi al muro di una rimessa ed il treno era l’unico mezzo di trasporto funzionante. La ferrovia complementare, cioè a scartamento ridotto per inerpicarsi nell’interno selvaggio dell’isola, nata ai primi del ‘900, ha trasportato anche pendolari fino al 1996, in particolare sulla tratta Isili – Cagliari. Maestri, professori, veterinari si servivano giornalmente del treno.

L’importanza delle linee ferroviarie secondarie o complementari richiedeva una continua manutenzione dei binari. Fino agli anni ’80 le case cantoniere erano abitate. Il caposquadra con cinque/sei cantonieri aveva l’obbligo di controllare il suo “cantone” di circa 1 km e mezzo. Doveva eseguire perlustrazioni quotidiane, comunicare la presenza di frane, provvedere alla sostituzione delle traversine danneggiate. Esisteva anche una casa cantoniera “punitiva”, in località Palarana per i cantonieri indisciplinati. Per evitare il licenziamento, dovevano risiedere alla casa cantoniera n° 73, tra due gallerie, dove il sole non batteva mai, a 12 km dal paese più vicini.

A Sadali, come previsto, il treno si svuota. Ad aspettare i turisti ci sono le guide naturalistiche e ben quattro pullman per i trasferimenti più lunghi. Veniamo a sapere che ci sono pacchetti offerti dalle agenzie di viaggio, che comprendono viaggio sul trenino, passeggiata e sosta per il pranzo presso un agriturismo della zona.

Abbandonata la Barbagia di Seulo, sotto i nostri occhi ecco comparire in tutta la sua bellezza il Lago del Flumendosa con i suoi 11 km di lunghezza. Grazie ai canali d’irrigazione, fornisce di acqua tutto il Campidano. Per regolarne la portata esso è collegato per mezzo di tunnel al lago Mulargia. Lo attraversiamo sul ponte nuovo della ferrovia dopo che, con la costruzione della strada, venne abbattuto il vecchio, detto ponte “romano” per via delle arcate. I due tronconi del vecchio ponte sono tuttora visibili con un lato che si inabissa nelle acque del lago.

Siamo nella regione del Sarcidano e tocchiamo il minimo di altitudine a Villanova Tulo a poco meno di 300 m s.l.m.. il verde lascia il posto a colline di un giallo intenso, arse dal sole cocente e a rari vigneti. Qualche sparuto gregge di capre bruca indisturbato a lato della ferrovia, le mucche pascolano placide accompagnate dal suono lento dei campanacci.

A movimentare l’ultima parte del viaggio ci pensa il nostro ormai amico capotreno, che ci autorizza a salire sul locomotore Diesel elettrico. Facciamo la conoscenza dei due macchinisti cagliaritani, i quali ci spiegano che per la legge regionale antincendio in estate il trenino verde non può essere trainato da locomotive a vapore alimentate a carbone. Il trenino dal 16 giugno al 16 settembre viaggia tutti i giorni tranne il martedì trasportando al massimo un centinaio di persone. In autunno ed in primavera, invece, viene prenotato su richiesta da scolaresche o gruppi di turisti. È prevista un’abilitazione speciale per guidare le locomotive a vapore. I nostri due macchinisti non la possiedono, ma il capotreno, che è un po’ più anziano, sì. La locomotiva a vapore ha una cisterna di 5000 l di acqua e un carico di 4 – 5 quintali di carbone, più un carrello con una riserva di carbone. Il caricamento avviene ancora oggi con la pala a mano, tenendo costantemente sotto controllo la pressione del vapore. Si possono ammirare i mezzi d’epoca a Monserrato, alla periferia di Cagliari, al Museo delle Ferrovie inaugurato nel 1996.

Il macchinista ci concede il privilegio di tirare la leva che fa emettere il fischio caratteristico al treno. Si ritorna bambini e con gioia infantile tiriamo e tiriamo, facendo fischiettare allegramente la locomotiva all’approssimarsi dei passaggi a livello. La maggior parte sono incustoditi e provvede a chiuderli con una catena, per il tempo strettamente necessario al passaggio del treno, un addetto dell’ARST (Azienda Regionale Sarda Trasporti).

Ci congediamo dai macchinisti, ringraziandoli per la gentilezza e per la disponibilità e salutiamo con una forte stretta di mano che racchiude tutta la nostra simpatia il capotreno. Scesi dal treno, Mandas ci accoglie alle due meno un quarto, con mezz’ora di ritardo sulla tabella di marcia. La banchina si riempie di una decina di umani, noi, una coppia di anziani inglesi ed una famiglia. I signori inglesi vanno a visitare il Museo di Is Iollasa de is Aiaiusu (delle Stanze dei nonni), un museo delle arti e dei mestieri tradizionali, per nulla turbati dai 37° e dal fatto di doversi spostare a piedi.

Noi saliamo sull’auto dell’agriturismo “Le vigne ducali” di Ezio Carta, il quale, prima di condurci a pranzo, ci porta a vedere la bella chiesa di San Giacomo del XVI secolo e l’annesso ben conservato convento di frati francescani, ormai deserto. Nel ‘600 Mandas fu un importante Ducato spagnolo. Oggi si può visitare il Museo d’arte sacra Peregrinatio fidei e a breve è previsto un “Cammino di Santiago sardo” che collega tutti i Comuni che hanno come patrono S. Giacomo.

Ezio ci racconta che nella cartografia antica della Sardegna Mandas è sempre presente sulle carte. Il toponimo deriva probabilmente da “mandria”, che connota il territorio come terra di allevatori. Terra abitata dalla preistoria, con i suoi dolmen e menhir, le domus de janas e il grande e famoso villaggio nuragico di Barumini poco distante.

La dinamica padrona dell’agriturismo si augura che vi siano in futuro pacchetti turistici che prevedano un pernottamento di una o due notti a Mandas per poi risalire sul trenino verde. Perché no?

Antipasto di verdure sott’olio, formaggio e prosciutto prodotti in casa; ravioli con ricotta di pecora e capra conditi con pomodoro e salsiccia; capra cucinata nel vino Cannonau con pomodori e capperi; seadas ricoperte di miele. Un viaggio da sogno… un vino rosso che unisce il Ciliegiolo, il Vermentino e il Montepulciano; grappa di miele, mirto e acquavite e caffè.

Perché dunque scoraggiare una visita a Mandas?

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Un commento

  1. Fieramonti Marco

    Perché mai si deve lasciare morire un simile patrimonio (trenino verde) ? Giusta la riflessione dei gestori dell’agriturismo, prevedere un pacchetto per 2 o 3 notti con escursioni per la conoscenza del territorio (paesaggistica, botanica, archeologica ..) .. Conosco più o meno dai filmati, foto dei post su FB la situazione del trenino verde, è un delitto contro il turismo e la bellezza lasciarlo morire.. Le ultime corse del trenino mi risultano al 2015 e più passa il tempo, più degrado, vandalismo e oblio seppelliranno un tesoro sardo..

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