SARDI DENTRO, SARDI FUORI: L'EMIGRAZIONE E' UNA RISORSA ENORME CHE L'ISOLA DOVREBBE SFRUTTARE MEGLIO


di Omar Onnis

Il convitato di pietra del dibattito pubblico nostrano è quella strana comunità umana che si può approssimativamente riassumere sotto l’etichetta dell’emigrazione sarda. La sua esistenza costituisce un tema imbarazzante sia dal punto di vista storico sia da quello politico. Per questo viene eluso volentieri. Nondimeno si tratta di una realtà difficile da rimuovere. Le centinaia di migliaia di sardi (ossia, di nati in Sardegna) che nell’ultimo secolo (e specialmente nell’ultimo mezzo secolo) hanno lasciato l’Isola per stabilirsi altrove hanno nel loro insieme i connotati di una vera diaspora, non giustificata da ragioni di sovrapopolamento e di scarsità di risorse. Una diaspora accentuatasi nel momento in cui la Sardegna veniva investita dalla pretesa modernizzazione del Piano di Rinascita e che da un quindicennio circa vede una recrudescenza allarmante. Sul fenomeno è stato scritto qualcosa, ma non esiste una sistematizzazione storica della materia. Per di più, spesso, l’inquadramento del fenomeno risente di uno sguardo alieno, che la rende meno intellegibile. Basti come esempio l’incipit di un recente articolo sul tema, di Giuseppe Sanna: L’emigrazione sarda si colloca, e si è storicamente collocata, all’interno della più generica e mai risolta “questione meridionale”, nonostante le sue caratteristiche strutturali si discostino da quelle del fenomeno migratorio comune nelle altre regioni del Mezzogiorno. In poche righe è riassunto tutto il paradosso delle narrazioni che ci riguardano. Le nostre vicende, i nostri processi storici, devono necessariamente essere incastrati nella narrazione dominante italiana, anche se è evidente che non ne fanno parte. Ma questo è un problema generale, lo sappiamo. L’emigrazione sarda ha caratteristiche che risultano di difficile lettura se le si estrae dal loro contesto e le si catapulta dentro una cornice interpretativa estranea. Se osservato con uno sguardo nostro, dentro un orizzonte di senso al cui centro c’è la Sardegna, non è difficile istituire una correlazione tra il fenomeno migratorio e la situazione di dipendenza di cui la Sardegna ha sofferto in maniera crescente negli ultimi duecento anni. La condizione di dipendenza è quella da cui discendono i fenomeni più deleteri della nostra vita associata, sia quelli di natura economica, sia quelli di natura sociale, culturale e persino psicologica. L’emigrazione è per lo più frutto di cause che non consentono il libero dispiegamento delle proprie forze e della propria natura. Non è solo questione di sopravvivenza materiale. La sopravvivenza materiale in Sardegna solo raramente è stata minacciata in modo radicale, molto meno ad esempio che in regioni d’Italia dove si è riversata una parte della nostra emigrazione. Ma la percezione della mancanza di prospettive, benché in alcuni casi legata alle condizioni materiali, le oltrepassa. È un fatto più complesso e profondo che attiene anche, se non soprattutto, ai processi di identificazione e alla percezione di sé. È un serio problema, perché la Sardegna non ha mai sofferto di eccessiva antropizzazione, di sovrappopolamento, anzi l’opposto: in passato ma forse oggi più che mai il pericolo è costituito da un impoverimento demografico che minaccia di renderci nel giro di pochi decenni meno numerosi, più vecchi, più poveri e più malati. La stessa perdita di popolazione di molti centri dell’Interno assume contorni patologici. A ciò si somma l’evidenza che spesso ormai ad andarsene sono persone giovani, motivate e preparate, ossia quella che dovrebbe essere la parte più dinamica della nostra collettività, la fascia sociale ed anagrafica di coloro che sono meglio dotati per affrontare le difficoltà e i cambiamenti. Lasciare la Sardegna e fare esperienza all’estero di per sé non è affatto un problema. Anzi, nella nostra situazione geografica è senz’altro un fatto positivo, che andrebbe sostenuto a vari livelli. La complicazione e gli effetti deleteri del fenomeno riguardano invece la difficoltà a rientrare in Sardegna, per investirvi l’esperienza e le competenze accumulate. Non sempre chi emigra lo fa con l’intenzione di non ritornare. La storia ci insegna però che nella maggior parte dei casi il ritorno è pressoché impossibile. Quasi sempre per una assenza in Sardegna delle condizioni minime atte a mantenere lo stesso status acquisito fuori o a realizzare le proprie prospettive di vita. La dipendenza (politica, economica, culturale) è assolutamente centrale in questo discorso. Le condizioni di vita in Sardegna sono determinate da scelte che discendono da interessi e priorità che quasi nulla hanno a che fare con le nostre necessità collettive e con i nostri diritti. È un dato storico che non credo sia necessario argomentare. Nel corso dell’età contemporanea, da duecento anni in qua, le potenzialità e le risorse della Sardegna non sono mai state curate e valorizzate in nome e per conto dei sardi, ma sempre in nome e per conto di qualcun altro. Con la complicità determinante delle nostre classi dominanti, a loro volta affezionate al loro comodo ruolo di intermediazione, sgravate di qualsiasi responsabilità, attente a curare le proprie clientele e il proprio tornaconto, rispondendo per tutto il resto ai centri di potere esterni da cui dipendeva e dipende la loro legittimazione. Un sistema così strutturato è per sua natura ostile ai cambiamenti e all’azione di forze sane, creative, proattive. Forze che non sono mai mancate, tra i sardi, come si evince anche oggi dai talenti che pure in questa situazione storica la Sardegna riesce a produrre, in vari campi, e dalle realizzazioni di tanti nostri connazionali all’estero. L’emigrazione è dunque la cartina di tornasole non di condizioni naturali e strutturali carenti, di mancanza di risorse, di povertà inevitabile, ma molto più pertinentemente di condizioni politiche, sociali e culturali negative alimentate dalla dipendenza e fatte valere da quelle forze sociali che dalla dipendenza traggono il proprio sostentamento e i propri privilegi. Se il lato problematico dell’emigrazione risulta evidente, è più difficile da scorgere invece un suo aspetto potenzialmente vantaggioso, nella prospettiva della nostra emancipazione collettiva. Storicamente l’esistenza di una forte emigrazione è stato un elemento decisivo nella conquista del’indipendenza e della libertà per diversi popoli (penso all’Irlanda, ma è solo un esempio tra tanti). In questa fase storica l’emigrazione sarda, se debitamente coinvolta e non semplicemente rimossa dallo scenario politico, ha tutte le caratteristiche per offrire alla Sardegna forze, risorse e competenze aggiuntive, nel processo di acquisizione di consapevolezza diffusa e di autodeterminazione. Molta emigrazione sarda non è stanziata in Italia e dunque non soffre di alcun italo-centrismo. Ma persino quella ubicata in Italia ha uno sguardo spesso più sereno e consapevole sulle nostre questioni. Le nuove ondate migratorie in particolare danno la sensazione di essersi in buona misura liberate da certe sindromi debilitanti di cui invece soffrono ancora molti delle generazioni precedenti. In ogni caso, nel suo insieme, l’emigrazione sarda, specie in quanto spontaneamente organizzata, è una risorsa enorme da chiamare in causa. Che non lo faccia l’attuale classe politica nostrana non è un fatto che possa destare meraviglia. Rimane la questione tutta intera di evitare che la Sardegna continui a subire un dissanguamento demografico come quello in corso e che la nostra diaspora sia presa in consideraz
ione in modo più attento e non in termini assistenzialistici o utilitaristici come a volte è stato fatto. Parallelamente alla necessità di abbandonare qualsiasi velleità etnocentrica, qualsiasi forma di chiusura identitaria stagnante, per aprirci al mondo e a tutti gli esseri umani che vorranno fare della Sardegna la loro terra, non dimentichiamoci dei nostri connazionali all’estero. La loro forza, le loro esperienze sono una risorsa preziosa da riconoscere e valorizzare, se non vogliamo soccombere alle spinte della storia.

 

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14 commenti

  1. Egregio dott.Pulina,
    ho letto il suo bel articolo sul fenomeno dell’emigrazione sarda e delle ahimè intelligenze sarde ,non sempre ri/valutate in campo socio- economico e politico,sia in Italia che nella nostra amata terra.E’ verissimo ciò che afferma,circa l’azione demografica che man mano riduce la già nostra povera popolazione.La Sardegna purtroppo,essendo un isola quasi in/felice,non lo è comunque dal punto economico -sociale.Chi vuole esportare una idea,un progetto deve necessariamente andare fuori dalla propria terra,alla chimera economica che in futuro gli consenta di formarsi una famiglia,una carriera,sia politica che culturale.La tanto sospirata autonomia della Sardegna rincorre da centinaio di anni la "grande utopia" dei nostri grandissimi pensatori.Ne abbiamo avuti tanti di intellettuali,ma ognuno è stato,da questa nostra negletta società dei consumi,relegato in una gabbia che,seppure dorata da alimenti sovente economici, e/o di vellutata carriera,spesso sono rimasti solo ideali nel grande catalogo delle storia sarda.Nel mio caso, a 17 anni ,sono partito, gioco forza,da Carbonia mia città natale a Roma,dove mi ero arruolato in Polizia.Quattro anni di intensa esperienza tra esercizi ginnici e ordine pubblico che mi sono serviti poi per maturare,accrescere con un pizzico di vanità il mio babaglio culturale.A Vergiate un paesino di circa 9 mila abitanti dove vivo e risiedo, ho avuto la fortuna di conoscere il maestro Enrico Baj;lucio del Pezzo,Ugo nespolo ed altri della cultura in generale..Tramite Baj ho conosciuto altri pittori,letterati,salotti letterari ed artistici dove ho appreso i primi rudimenti della pittura e intensificato la sperimentazione artistica.Pronto cioè per fare il passo di qualità.Sono, a dire il vero, un semplice cittadino che ha cominciato a dipingere e a scrivere.Quest’ultima è la mia grande passione.I nostri amici e compaesani sono nella stragande maggioranza solari,virtuosi,gran lavoratori con l’onestà nel cuore,sempre pronta e a portata di mano.Pronti a ri/conoscere la nobiltà d’intenti,a riconoscere un merito,a riconoscere/si cioè nella atavica cultura sarda.So poco della Sardegna.Dovrei saperne di più.La bibliografia in Sardegna è ben coltivata e ben nutrita.Dovrei fare di più per riconoscerla nelle sue viscere ancestrali,nella forza-lavoro che i minatori,prima e dopo "Lamarmora,Asproni,Quintinosella" hanno dato il loro sangue in nome di una moneta che non fu mai spesa per liberarsi dagli oppressi.Ora questi oppressori,i soliti padroni di turno li abbiamo in casa,attinti e messi con suddita dovizia sullo scranno dalla sovranità popolare;dal virtuosismo liberale della politica che invece di promuovere la nostra storia,riconoscere questa nostra povertà economica,l’ha addomesticata nelle pinacoteche,nei storici palazzi della governance,nelle gallery-musei,mercificando il buon cuore dei sardi.Dal punto di vista economico i governi(tutti) che si sono negli anni succeduti,avrebbero dovuto riconoscere alla Sardegna uno sgravio minore quale peso economico, rispetto ad altre realtà geografiche.Ma tutto questo non è mai avvenuto,nè mai avverrà, purtroppo.La vita in Sardegna è cara.Anzi carissima.Perdoni il mio sfogo.Almeno mi consenta questo mio libero pensiero a lungo tempo difeso,allogato,ancora intatto nella profondità della mia memoria.L’esempio di Alcoa rappresenta la vergogna più gretta.Forse solo i sardi riusciranno la fare la grande rivoluzione politico-cilturale.I tempi sono ormai maturi.
    Ho scritto il mio ultimo libro"La donna animale",editore Calabria che ho dedicato a Mia Nonna Delfina Piria.Una sorta di racconto-fiaba che rinfuoca la speranza,i valori,le cose comuni legate alla nostra terra, nella profondità di una arcaica povertà che in qualche modo nel racconto ho tentato di sconfiggere.Non sono uno scrittore professionista ,ma scrivo volentieri.Ho scritto degli articoli sulla figura di noti artisti sardi sulla Prealpina e sul Giornale di Varese.
    Se vuol attingere qualche notizia in più su di me clicchi: Paolotolu.com
    Con grande stima colgo l’occasione per salutarla di cuore.
    Paolo Tolu
    Vergiate
    topart.tolu@gmail.com
    tel.347/4676099

  2. Caro Omar Onnis,
    complimenti per l’articolo.Ho scritto a Pulina per il solo fatto che regli come sempre tratta la cultura e la poesia in particolare con la sua “rubrica letteraria” Parlando di poesia, con una delicatezza che solo i saggi sanno.W “Tottus in pari”
    un saluto
    Paolo Tolu
    topart.tolu@gmail.com

  3. Gentile Paolo Tolu,
    ho voluto attingere qualche notizia in più su di lei non solo cliccando Paolotolu.com
    ma anche facendo altre ricerche in Internet.
    In un Blog ho trovato, tra gli altri, questi suoi versi, che ritengo meritevoli di essere proposti all’attenzione dei lettori di Tottus in Pari. Per il resto, le scrivo in privato al suo indirizzo di posta elettronica. Ricambio i sentimenti di stima.
    Ricordi
    Nelle rugose e inchiostrate valli, monti aridi d’acqua
    tra bietole e agavi assiepati con gli spinosi rovi
    e maturi fichi d’India.
    Sofferti giuochi insazi nelle asciutte cunette
    lungo le strade con indosso il jeans americano usato,
    in attesa della domenica,
    per una minestra calda tolta al sorriso sofferto di mia madre.
    Tra i filari del vecchio vigneto a San Giovanni Suergiu,(1)
    ombre di canneti come riparo dietro la bassa casa,
    accanto al melograno dove Alba e Wilma, (2) bionda
    e fronda l’una, onda marina di un caldo sorriso l’altra.
    Ricordi rimasti intatti nel fatiscente casolare
    e tante memorie morse fino alle radici
    nelle fontane dei medaus (3) per rinfrescare il vino e l’anguria
    nell’acqua del pozzo con una corda al lucido secchio
    zingato legato, a dispetto dell’arsura dei pastori.
    (1) San Giovanni Suergiu (CA): paese in cui l’autore trascorse la sua prima infanzia.
    (2) Alba e Wilma: cugine d’infanzia dell’autore.
    (3) Medaus: agglomerato di case di forma quasi circolare di arcaici e sociali costumi.
    Paolo Tolu, Vergiate

  4. Egregio dott.Paolo Pulina,
    a giorni le invierò due miei libri di poesia.
    Spero che in alcune trovi qualcosa di interessante.Per il momento le invio questa.
    Baj in bonora…
    “Filo”
    Sfioro lo spazio circostantre,rigonfio anch’esso
    tra aria e umida terra;
    presenze,a volte inutili ossari,invisibili fili
    spezzati sulla polvere di una pallottola bagnata.
    Se fosse bianco,verde o filo nero a terra occultato,
    non saprei nella mia distratta pur viva memoria;
    nè so se fosse stata firmata quella s/traccia carta
    con quel rigo insolente che aggiunge noia a ciò
    che resta.
    L’ho visto volare tra i confini quel filo convinto
    d’esser niente,o rifiuto reso ad una canna
    bruna dietro la siepe uscita nel silenzio di Barbagia.
    Se fosse,infine,sfuggito quel deriso filo al resto
    desolato niente.Non so…
    Ho notato eunuco un altro filo uguale,con la
    lingua fuori e il cuore peloso,sotto le mura:
    l’avamposto caduto e Giano,l’altra faccia testimome,
    una macchiata carta.
    Devo capire,ora,se essa è la sola ferita rimasta
    o se invece ce ne sono altre insieme,con gli
    stessi intrecci,compagni di lotta,vermi di latta,
    aridi inni negati in libertà.
    Paolo Tolu Vergiate
    topart.tolu@g,mail.com

  5. Esimio dott.Paolo Pulina,
    Le ho già spedito i mie libri di poesia.Spero che qualcuna la trovi di suo gradimento.Soprattutto per gli emigrati sardi che ancora non mi conoscono.
    “Racconti”
    Saprò raccontarti,stanne certa,quando gli asparagi
    a marzo saranno irti e scuri steli e le campagne
    coperti sentieri di rugiada nei rovi impolverati
    dalla terra incolta.
    Saprò raccontarti,stanne certa,lungo il fiume de
    “Is Cannas della spoglia capanna del bandito:
    guardia al soleato vigneto e puntini gli acidi acini
    tenuti prigionieri dai verdi e profumati pampini.
    E’ ancora lì la bambola di gesso nell’impagliata
    sedia sbilenca che guarda sul rozzo tavolo,
    dove la pagina firmata su un libro è quella
    che potrai s/velare.
    Saprò raccontari,stanne certa,della tua casa
    in collina,della tua “bambola clown” a righe rosse
    col berretto blu in testa che un dì di desti.
    Sarò nido di rondine e pagliuzza di grano
    al primo richiamato canto,quando i profumi
    ululano come lupi famelici nei giacigli e le foglie,
    un incantato morbido guanto,gocce solitarie
    amiche nel mio guerriero fianco.
    Paolo Tolu
    Vergiate
    topart.tolu@gmail.com

  6. Egregio dott.Pulina,
    Parlando di sardità e di sardi/e più o meno conosciuti,le vorrei segnalare una sarda,nel vero senso della parola.
    Ho conosciuto Ambra Pintore tanti anni fa,tramite sua cugina Romina residente a Vergiate.Sapevo di lei che fosse una brava condutrice di Videolina e altrettanta brava come giornalista,fornendo l’idea di una eciclopedia sarda all’Unione Sarda, su usi & costumi della Sardegna/16 volumi).Ambra Pintore ha una voce davvero straordinaria, musicalmente intonata ai rigori canonici della musica.L’ultimo c.d "Muriga"- mescolare, è un autentico capolavoro della magica lingua sarda che,con grazia,tra sacro & profano,ha saputo ri/mescolare.Dopo una sua breve apparizione a Sanremo con Nino D’Angelo,le sue tournèe,specie in Sardegna s/popolano.Qui al nord,invece,pur avendo fatto diverse serate in Lombardia e una a Verona,risulta assai difficile proiettarla nel mondo della canzone,senza dover rinnegare la sua linea melodica-religiosa.Da -"Sambene binu – a Issa mi piaghet o Ispagna",questi brani vivono tutti di luce propria.Una autentica divulgazione della lingua sarda – Sa limba- la sua,che mi ricorda per "spessità canora" quelli analogici della compianta Maria Carta.L’accostamento vocale non è da ritenersi blasfemo,ne i suoi brani paiono ideali intrusi come nei "Sei personaggi in cerca d’autore" di Pirandello,nel complesso panorama musicale italiano.Dico questo,perchè quando,in anteprima l’ho sentita cantare alcuni di questi splendidi brani, ho capito che il "rigor mortis" della cantautrice c’era.Anch’io,nel mio pur breve e fortunato periodo di produttore musicale "Rock-country" degli U.D.S.,mi ero fatto una vasta cultura.Dai Pink Floyd,Zeppelin,i Who – agli E.L.P." Emerson,Lake e Palmer" ,straordinari batteristi tastieristi/rumoristii,fino alla poesia musicale dei "Dire Straits".L’intellighentia canora sarda:moteti,chittarristi,attori,artisti,se solo si pensa ad Amedeo Nazzari,Aligi Sassu,Sironi,Nivola,la Sardegna è e rimarrà sempre la culla della "genialità del culto,del gene particulare".
    Non si è mai abbastanza eruditi sulla storia passata-recente della Sardegna,e dei tantissimi personaggi che,nel bene & nel male,si sono distinti per dignità e per valori etico-morali ,ormai crediamo tutti,affossati dalla barbarie di una classe politica che non ha più nulla dire…
    Scusi questo mio sfogo.Perchè pensando a questo sconcio spettacolo della ruberia dei politici in generale,mi viene in mente la tragica fine che farà l’Alcoa a Portovesme…
    "Tottus impari-tutti insieme- solo così possiamo fare la grande rivoluzione "socio-culturale" di questo nostro martoriato paese.Io ci sono!
    Bai in bonora.
    Paolo Tolu
    Vergiate
    topart.tolu@gmail.com

  7. Egregio dott.Pulina,
    Credo che abbia già ricevuto il mio libro:”La donna animale”- ed.Calabria ed alcune poesie che trattano paesaggi e umane figure sarde,tra cui spiccano mia madre,mia nonna e tante altre persone poste al centro della loro universalità.Dopo averle lette,sempre che ne abbia il tempo,visti i suoi molteplici impegni culturalai e sociali,gradirei un suo libero pensiero critico.Sto studiando il sardo con un vocabolario regalatomi tanti anni fa da un amico emigrante.So che la Sardegna è ricca di vocabolari.Può eventualmente indicarmene uno che soddisfi tutte le mie curiosità di sardo.Ho già messo in calendario una serata letteraria dedicata al libro”Il Tonto” di Aldo Ricci, sul salotto di Mauro della Porta Raffo al caffè
    Zamberletti di Varese per il giorno 27.11.2012 ore 18.Lo stesso libro verrà ri/presentato presso la biblioteca comunale di Vergiate -Piazza Enrico Baj,dall’assessorato alla cultura del Comune .Gradirei la sua preziosa presenza.Le invierò in tempo utile l’invito,visto che abita a Biella.Sto pure collaborando con “Varese8” ,una TIVU Web in procinto di fare il passo di qualità con la banda televisiva.Seguo sempre i suoi magnifici articoli.
    Ho un debito artistico per la mia Ichnusa,ed è li che sono cresciuto con la voglia di dipingere e di scrivere.Li in quell’anfiteatro romano,sotto Buoncammino,ho visto le prime della Turandot,l’Aida ,la Cavalleria rusticana e la Cavalcata delle valchirie.
    Con tanta stima la saluto.
    Hasta luego!
    Paolo Tolu
    topart.tolu@gmail.com

  8. <<Convegno sulla figura del Giudice di Pace"
    Un convegno interessante, intrigante, quello sulla figura del Giudice di Pace svoltosi presso la sala consiliare del Comune di Sesto Calende. Il relatore della serata il Coordinatore dei giudici di Pace di Varese giudice Luciano Soma, ha egregiamente illustrato il ruolo istituzionale di questa figura e le sue molteplici sfaccettature. Alla conferenza erano presenti l’assessore alla cultura Silvia Fantino, l’assessore alla sicurezza Orlando Veronese, il comandante della Polizia Locale Michele Signò, il vicedirettore del P.R.A. di Varese Giancarlo Colombo, oltre all’omnipresenza dell’esperto organizzatore e relatore della parte storica del convegno Paolo Tolu e la moderatrice e relatrice della parte giuridica Priscilla Albè. Tra i numerosi presenti in sala anche la coordinatrice del G.d.P. di Gallarate – Giudice Laura Sardini, la vice coordinatrice del G.d.p. di Varese – giudice Cinzia Martinoni, il consigliere provinciale Domenico Marchetta, il presidente del comitato di controllo provinciale dott. Paolo Sturiale.
    I compiti del Giudice di Pace
    >>il giudice di Pace>> ha spiegato l’avv. Luciano Soma, è la figura che ha sostituito la vecchia figura del giudice conciliatore (paleoindustriale) e si è posta all’attenzione in questi ultimi anni ( postindustriuale ) come il il primo nobile gradino della magistratura con la legge 374/1991 che ha assolto con cognizione di causa, assetti organizzativi del loro compito istituzionale. Sono molteplici le cause trattate dal giudice di Pace: e spaziano dai reati bagatellari alle sanzioni amministrative, dalle problematiche concernenti l’immigrazione alle vertenze condominiali. Infine i casi specifici di perdita di possesso di autoveicoli: in questo caso il lavoro del giudice è affiancato dal V.ce direttore del P.R.A. Giancarlo Colombo. Competenze ulteriori sono le minacce, le diffamazioni, le ingiurie. Infine il delicato ambito penale. IL giudice di Pace, appartiene all’ordine della magistratura ed è onorario; il giudice c.d. di carriera ( ordinario ) non ha limiti di valore di causa, mentre il giudice di Pace si occupa di cause di valore inferiore.
    Come delineata durante la conferenza stessa, la figura del giudice di Pace si è posta monocraticamente all’attenzione degli studiosi del diritto, dando spesso un forte contributro letterario-giurisprudenziale, le cui fonti di diritto spesso hanno ispirato la << suprema Corte di Cassazione >>. La novità più interessante è che le udienze civili e penali sono svolte con una certa celerità nel giusto processo, in un rapporto alla pari << tra offesa e difesa >>. Mentre la giustizia in generale in quest’ultimo trentennio ha sofferto e soffre tuttora di un carico di lavoro sempre più crescente. il giudice di Pace ha dato il suo efficace contributo occupandosi di cause minori, ma non per questo meno importanti, che altrimenti avrebbero intasato i tribunali, offrendo al cittadino un valido aiuto nella risoluzione – in tempi brevi – delle controversie.
    Durante il convegno è stato affrontato anche quest’ultimo tema: quello degli accorpamenti di alcune sedi di giudici di Pace: Luino e Gavirate. Nello specifico dovrebbero essere accorpate a Varese.
    E’ un autentico problema nazionale questo che dovrebbe razionalizzare l’ingente costo della giustizia.
    Per tali accorpamenti un provvedimento già in atto ( scadenza per i Comuni il 15 aprile 2013) dovrebbe concretizzarsi entro settembre o ottobre.
    Paolo Tolu

  9. Egregio direttore,
    Sono il nipote dell’autore del libro” Giulia e i pastorelli sardi” di Paolo Tolu. Ci tengo moltissimo a segnalarvi mio nonno perché lui è legatissimo alla sua terra. Legame alla Sardegna che ha trasmesso anche a me. Ora che purtroppo sono orfano di padre capisco cosa voglia dire essere figli di sardi. E’ un romanzo che è totalmente ambientato in Sardegna, tra i paesi di Masainas, Tratalias, Giba e San Giovanni Suergiu paese natio di mia bisnonna Piria Annetta.

    L’autore, tra realtà e finzione, racconta la storia ricca di aneddoti ambientati in Sardegna e la trama in parte autobiografica del suo ultimo libro” Giulia e i pastorelli sardi”.
    Paolo Tolu nel raccontare la storia di Giulia, una giornalista rampante della “new generation” vive una inedita esperienza durante le sue vacanze estive a ” Serra e Mesu”,nell’isola di sant’Antioco.
    Giulia e l’uomo, un pittore all’avanguardia, vivono come protagonisti la storia di Jacu e Alene, i due giovani pastorelli e Gina Dessì, la nonna di Jacu che vive nel piccolo paese di Masainas.
    Jacu, il giovane pastorello ancora minorenne, affronta la miseria e le difficoltà economiche e sociali del suo paese e si nutre dell’esperienza matriarcale della nonna.
    Jacu era stato costretto da suo padre a fare il pastorello quando aveva solo otto anni.
    La giornalista nella tenuta dell’uomo di ” Serra e Mesu”, condivide con l’uomo le sue meritate vacanze. Giulia vive in primo piano l’intensa vita agropastorale dei pastori tra Masainas, Giba e Tratalias, i piccoli paesi vicino alle saline di Porto Botte. A Cala Lunga, Giulia e l’uomo, salvano un naufrago bambino siriano.
    Nella storia, ricca di spunti di vita arcaica ‘pastorale sarda, Giulia vive l’esperienza di giornalista del giornale brlga ” Le Soir”, col quale collabora coi suoi inediti reportage.
    Giulia rievoca la vecchia amicizia con l’uomo, la loro storia d’amore tormentata, come due naufraghi, sono protagonisti nella vecchia casa dei pescatori a Porto Botte.
    Giulia, con particolari dovizie racconta usanze e tradizioni di vita contadina sarda: come la vendemmia, il formaggio pecorino fatto in casa e l’olio di Sansa dei poveri menzionato da Grazia Deledda.
    La giornalista dopo aver raggiunto l’uomo nella casetta dei pescatori a Porto Botte, aveva bivaccato nella scomodità della sola stanza, tra una vecchia barca malandata e le sole steariche per far luce.
    Alene, la pastorella, si innamora di Jacu e nel cuile, in una notte di tempesta, rimane incinta, mentre il dramma nella sua famiglia si snoda e la storia di Alene si fa strada.
    Il padre saputa la notizia, la picchia brutalmente e la caccia fuori di casa buttandole i suoi pochi cenci per strada.
    Nonna Gina ospita in casa Alene in attesa che lei raggiunga la maggiore età per sposarsi.
    Un velo di tristezza traspare in Giulia, mentre l’uomo non si rassegna di lasciare la sua residenza estiva di Serra e Mesu.

    Marco Tolu

  10. Esimio direttore, mi scusi se le invio una nota critica sull’autore del libro ” Pensieri e ricordi di una vita” di Martino Pirone. Il 2 Giugno alla presenza del Prefetto di Varese S.E. dott. Salvatore Rosario Pasqueriello, di Mario Visco, responsabile della pagina culturale della Prealpina e Roberto Leonardi, presidente ANC Varese, è stato presentato il suo magnifico libro che racconta uno spaccato storico e adolescenziale dell’autore. Ho presentato io l’autore anche a villa Recalcati alla presenza dello stesso Prefetto.

    E’ sempre l’inesorabile tempo delle stagioni a farci ricordare i ricordi inediti della nostra infanzia.
    Non può sottrarsi a questi empasse l’autore Martino Pirone, che è figlio del suo tempo, fragile, ansioso, ricco di sviste, questo tempo di trionfo dei consumi e della sua relativa morte. Martino Pirone vuole ora rappresentarlo col suo libro” Ricordi e pensieri di una vita”.
    Occorre sempre il tempo necessario per dimenticare (errando) gli orrori della nefasta guerra legata alla dittatura neofascista e il tempo della sua infanzia per ricordare un’oasi felice. E’ sempre quello stesso tempo in/felice che in ogni stagione si autoalimenta, di ricordi ricavati dalla nostra memoria remota.
    E’ necessario comunque ritornare indietro nel tempo, fissare le lancette della storia per ricordare le tragedie e le macerie umane dell’ultima guerra. Oltre le barbarie compiute in quello stesso periodo, l’Italia però ha saputo riprendere la sua liberta.
    Quella stessa libertà più volte calpestata, nel ‘1948 le donne hanno conquistato il diritto di voto in parlamento. L’Italia ha fatto della propria cultura millenaria (detiene il primato assoluto nel mondo dei tesori artistici e letterari, nonché i siti di archeologia di Roma(caput mundi) e gli scavi di Pompei. La riscoperta infine dei sapori mediterranei di una volta, compresa la pizza napoletana e la mozzarella.
    A Martino Pirone a soli due anni gli viene diagnosticata la poliomelite e la paralisi della gamba destra. Inizia così il suo calvario fisico e, soprattutto, psicologico, ma il suo spirito indomito non si arrende. La scuola nella sua infanzia mostra i denti
    della cattiveria gratuita, gli evidenti segni di una intolleranza e diffidenza per i disabili.
    Martino Pirone, però lotta, non si arrende e, a soli 22 anni consegue la patente. Negli anni ’60 con la sua famiglia si trasferisce nel varesotto, ad Arsago Seprio, dove dopo alcuni mestieri di fortuna, svolge anche il ruolo di agente assicurativo.
    Nel ‘1969, dopo avere ‘partecipato ad alcuni concorsi pubblici, vince il concorso e viene assunto come archivista presso la Prefettura di Varese. Grazie all’interessamento dell’Emerito Prefetto dott. Francesco Giovanucci e al Prefetto dott. Umberto Calandrella, proprio per questa sua innata versatilità, Martino Pirone ricopre l’incarico di responsabile dell’ufficio patenti, coadiuvato dal collega Sileo. Versatile ed incline alle nuove conquiste umane e
    professionali, acquisisce una nuova esperienza sia nel diritto contabile che quello amministrativo. Per la sua grande umanità conquista la simpatia dei colleghi e de Prefetti che si sono succeduti negli anni, Per questi meriti e altri riconoscimenti, gli viene conferita prima l’onorificenza di cavaliere della Repubblica e il 2 giugno u.s. alla Presenza del Prefetto dott. Salvatore Rosario Pasquariello, gli viene conferita l’onorificenza di commendatore della Repubblica. Una vita quella di Martino Pirone che ha voluto scrivere con questo libro rivolto ai giovani che non studiano, non leggono, per lo più attratti dall’idea dei social, preferiscono avere tutto e subito piuttosto che essere ” I giovani non sono piante” di Aldo Ricci.
    Una vita la sua spesa all’insegna di un perbenismo tipico del popolo irpino (Irpis-lupo) che gli fa comunque onore. Nei suoi innumerevoli ricordi c’è rimasto però un neo nella sua povera adolescenza: quella cattiveria di alcuni imbecilli dai colletti bianchi.

    Vergiate 19/06/2024 Paolo Tolu

  11. Egregio direttore,
    recentemente presso la biblioteca Enrico Baj di Vergiate è stata inaugurata l’importante mostra del 10 febbraio ” Dalla forma all’informale” dell’arte del 900, a cura dell’archivio Besozzi.
    L’assessore dott. Antonella Pacini ha presentato la storia di questi
    grandi artisti: Ambrosini, Baj, Besozzi, Brusamolino, Dangelo, D’Oora, Gandini, Licata, Mariani, Milano, Stefanoni, Tolu, Viviani, Volpini.

    L’arte del 900, sin dall’antichità l’uomo ha avuto bisogno di scoprire attraverso i gesti e i segni per comunicare ai suoi simili l’arte, ovvero evolvendo il grado di civiltà fino ai giorni nostri.
    A cavallo di questo secolo i pittori si sono evoluti, coi vari manierismi con opere d’arte esposte in tutti i paesi del mondo.
    da Michelangelo a Raffaello, da Giotto a Vasari, l’esempio del primo storico e critico d’arte. L’arte del dipingere nel tempo si è evoluta: dai fratelli Lumiere per il cinema, alla fotografia (Ugo Mulas)alla televisione, i mezzi di espressione dei pittori sono cambiati. Da Marinetti, a Balla, Boccioni, Picasso, Fontana, Baj e Besozzi, il ‘900 si è arricchito di nuove forme artistiche. Ebbene ricordare Enrico Baj e il suo manifesto della pittura nucleare del ‘1951 e il manifesto contro lo stile con Sergio D’Angelo. Dalla popart all’arte concettuale, al designer infine con Bruno Munari.
    Nel ‘900 non possiamo non ricordare la scrittrice sarda Grazia Deledda, premio Nobel nel ‘1926 e Rosalind Franklin col fotogramma 51 aveva scoperto la catena del nostro DNA ( i famosi raggi X).
    La fortuna di avere conosciuto artisti come Baj, Besozzi, Volpini, D’Angelo, ha maturato in me una conoscenza artistica che non mi sarei mai aspettato. L’archivio Besozzi sostenuto dall’amico Valter Besozzi, sono una viva testimonianza di questo 900. E’ proprio grazie a Valter Besozzi e alla lungimiranza dell’assessore alla cultura Antonella Pacini che questa mostra del 900 sia stata possibile realizzare.

    Vergiate 22/03/20224 Paolo Tolu

  12. Egregio direttore,
    volevo segnalarle un giovane scrittore che scrive in vernacolo, come nel medioevo. Una rarità di Alessandro Olearo che merita l’attenzione, visto il focus puntato sul suo ultimo libro: ” Il processo di Norimberga “. Un tracciato di revisionismo storico che mi ha fatto riflettere.

    “Revisionismo storico sul processo di Norimberga”.
    La vera storia sul processo di Norimberga e l’olocausto.
    Il libro del giovane scrittore Alessandro Olearo scava nei documenti secretati e analizza un revisionismo processuale dei “fatti & misfatti” del periodo nazista. La maggior parte dei gerarchi nazisti, sull’annosa questione ebraica, portarono a termine in maniera brutale il loro sterminio. Un antisemitismo -anti litteram- sfociato senza alcuna ritrosia, che possa far presagire a un sentimento umano. Una “negatio historia” che fa senz’altro riflettere, vista l’arguzia con cui l’autore analizza i documenti cifrati inediti e – fake news – tratte dai dossier segreti americani, russi e inglesi. Questi documenti de/codificati negli anni hanno scoperto il vaso di Pandora.
    La verità storica trapelata dalla vasta documentazione che va dal ‘1938 al ‘1945 è stata raccontata e manipolata dagli storici di regime e dai mass media di quell’infausto periodo bellico come una vergogna. ” Il libro ” Il sangue dei vinti” del compianto GianPaolo Pansa ne è è una riprova eclatante. Alessandro Oleato ha fatto una oculata ricerca durata quasi due anni, analizzando molti documenti secretati sulla storia dei campi di sterminio di Auschwitz, Dachau, Mauthausen, per citarne solo alcuni. Le camere a gas furono gli strumenti di morte più disumani che il terzo reich riuscì a portare a termine per il totale sterminio degli ebrei. Sui prigionieri di guerra furono sperimentate le più atroci torture mediche al limite della stregoneria. L’oro delle protesi e il sapone ricavato dai cadaveri, arricchirono non poco i gerarchi nazisti come Wilhelm Stuckart, Martin Luther, Rudolf Lange e Adolf Eichman.
    L’autore Alessandro Olearo affossa quindi la ricerca storica ricavata dalle pagine del processo che fu, in effetti, una vera farsa dei vincitori: Franklin Delano Roosevelt, Iosif Stalin e Wiston Churchill. Tra le copiose carte del processo, vi fu una vistosa incongruenza tra l’accusa e la difesa. L’accusa rappresentava quasi sempre una verità inquisitoria incontrovertibile. Molte furorno le tesi di testimoni oculari rese da documenti anomali, non firmati o fotocopiati non conformi, resi dall’accusa che così potè inquisire gli imputati con atti probanti inappellabili. Questo tomo di ben 464 pagine di storia revisionista, è una icona quasi apocrifa dei fatti narrati. Alessandro Olearo, con questa sua ricerca ha scoperto il nervo debole ” della fine del vero” del processo di Norimberga.
    Gli ebrei, nella cruenta guerra narrata dai vincitori, furono la linfa vitale, la forza lavoro per la sopravvivenza della Germania nazista, il braccio gratuito del riarmo e la connivenza stessa del regime coi popoli conquistati. Tra gli allineati al regime nazista, moltissimi ebrei furono assoldati e remunerati con lo stesso trattamento economico riservato ai soldati tedeschi. Tutto ciò non appare affatto strano all’autore che scopre ” il filo di Arianna” nell’olocausto e nell’antisemitismo, il valore aggiunto della
    politica del del III° reich. L’autore è un ricercatore della storia antica e contemporanea, pur non essendo uno storico di mestiere, ha osato puntare il dito sulle responsabilità del nazismo nello sterminio di massa degli ebrei. E’ un fatto che non passa inosservato. Soprattutto, furono gli americani e i russi, in particolare, a manipolare la verità sui documenti trafugati tra gli archivi segreti ( top secret), per renderli più credibili e fascinosi agli occhi dell’intera umanità. Furono sempre i russi, con dovizie certosine da KGB a rendere i falsi storici di fronte all’accusa. Durante il processo, numerose prove testimoniali e documenti forniti dalla difesa non furono mai ammessi come prove probanti nel processo di Norimberga. Nel riflettere e analizzare i documenti menzionati, l’autore non alza l’asticella del giudizio, non azzarda critiche, ma non arretra sulla sua analisi storica, ma pone i risalto le numerose discrasie rilevate nei documenti secondo la testimonianza della difesa. Wilhem Stuckart, Martin Luther, Rudolf Lange e Adolf Eichman furono i protagonisti assoluti dell’eccidio degli ebrei. Forse, furono troppi gli storici addomesticati a peccare di oscurantismo sulla vera storia del nazismo. La cosiddetta ” soluzione finale ebraica”, con la loro evacuazione forzata verso l’est fu essenzialmente voluta da Adolfo Hitler. I matrimoni tra ebrei e tedeschi furono vietati. Nel ‘1942 agli ebrei furono vietati i generi alimentari prodotti a base di grano. Gli ebrei avevano quasi tutti la tessera annonaria. Le razioni alimentari non erano del tutto sempre assicurate. Ogni giorno molto ebrei ai margini delle strade morivano di fame. Tra i numerosi imputati figuravano Jochin Von Ribentropp, Rudolf Hess e Erman Goring. Lo stesso Gorin, poco prima della sua condanna, si suicidò con una pasticca di cianuro. La stessa fine che fece Anche Adolfo Hitler.

    Vergiate 24/06/2024 Paolo Tolu

  13. Caro Olearo le spedisco l’ articolo

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