SARDI DENTRO, SARDI FUORI: L'EMIGRAZIONE E' UNA RISORSA ENORME CHE L'ISOLA DOVREBBE SFRUTTARE MEGLIO


di Omar Onnis

Il convitato di pietra del dibattito pubblico nostrano è quella strana comunità umana che si può approssimativamente riassumere sotto l’etichetta dell’emigrazione sarda. La sua esistenza costituisce un tema imbarazzante sia dal punto di vista storico sia da quello politico. Per questo viene eluso volentieri. Nondimeno si tratta di una realtà difficile da rimuovere. Le centinaia di migliaia di sardi (ossia, di nati in Sardegna) che nell’ultimo secolo (e specialmente nell’ultimo mezzo secolo) hanno lasciato l’Isola per stabilirsi altrove hanno nel loro insieme i connotati di una vera diaspora, non giustificata da ragioni di sovrapopolamento e di scarsità di risorse. Una diaspora accentuatasi nel momento in cui la Sardegna veniva investita dalla pretesa modernizzazione del Piano di Rinascita e che da un quindicennio circa vede una recrudescenza allarmante. Sul fenomeno è stato scritto qualcosa, ma non esiste una sistematizzazione storica della materia. Per di più, spesso, l’inquadramento del fenomeno risente di uno sguardo alieno, che la rende meno intellegibile. Basti come esempio l’incipit di un recente articolo sul tema, di Giuseppe Sanna: L’emigrazione sarda si colloca, e si è storicamente collocata, all’interno della più generica e mai risolta “questione meridionale”, nonostante le sue caratteristiche strutturali si discostino da quelle del fenomeno migratorio comune nelle altre regioni del Mezzogiorno. In poche righe è riassunto tutto il paradosso delle narrazioni che ci riguardano. Le nostre vicende, i nostri processi storici, devono necessariamente essere incastrati nella narrazione dominante italiana, anche se è evidente che non ne fanno parte. Ma questo è un problema generale, lo sappiamo. L’emigrazione sarda ha caratteristiche che risultano di difficile lettura se le si estrae dal loro contesto e le si catapulta dentro una cornice interpretativa estranea. Se osservato con uno sguardo nostro, dentro un orizzonte di senso al cui centro c’è la Sardegna, non è difficile istituire una correlazione tra il fenomeno migratorio e la situazione di dipendenza di cui la Sardegna ha sofferto in maniera crescente negli ultimi duecento anni. La condizione di dipendenza è quella da cui discendono i fenomeni più deleteri della nostra vita associata, sia quelli di natura economica, sia quelli di natura sociale, culturale e persino psicologica. L’emigrazione è per lo più frutto di cause che non consentono il libero dispiegamento delle proprie forze e della propria natura. Non è solo questione di sopravvivenza materiale. La sopravvivenza materiale in Sardegna solo raramente è stata minacciata in modo radicale, molto meno ad esempio che in regioni d’Italia dove si è riversata una parte della nostra emigrazione. Ma la percezione della mancanza di prospettive, benché in alcuni casi legata alle condizioni materiali, le oltrepassa. È un fatto più complesso e profondo che attiene anche, se non soprattutto, ai processi di identificazione e alla percezione di sé. È un serio problema, perché la Sardegna non ha mai sofferto di eccessiva antropizzazione, di sovrappopolamento, anzi l’opposto: in passato ma forse oggi più che mai il pericolo è costituito da un impoverimento demografico che minaccia di renderci nel giro di pochi decenni meno numerosi, più vecchi, più poveri e più malati. La stessa perdita di popolazione di molti centri dell’Interno assume contorni patologici. A ciò si somma l’evidenza che spesso ormai ad andarsene sono persone giovani, motivate e preparate, ossia quella che dovrebbe essere la parte più dinamica della nostra collettività, la fascia sociale ed anagrafica di coloro che sono meglio dotati per affrontare le difficoltà e i cambiamenti. Lasciare la Sardegna e fare esperienza all’estero di per sé non è affatto un problema. Anzi, nella nostra situazione geografica è senz’altro un fatto positivo, che andrebbe sostenuto a vari livelli. La complicazione e gli effetti deleteri del fenomeno riguardano invece la difficoltà a rientrare in Sardegna, per investirvi l’esperienza e le competenze accumulate. Non sempre chi emigra lo fa con l’intenzione di non ritornare. La storia ci insegna però che nella maggior parte dei casi il ritorno è pressoché impossibile. Quasi sempre per una assenza in Sardegna delle condizioni minime atte a mantenere lo stesso status acquisito fuori o a realizzare le proprie prospettive di vita. La dipendenza (politica, economica, culturale) è assolutamente centrale in questo discorso. Le condizioni di vita in Sardegna sono determinate da scelte che discendono da interessi e priorità che quasi nulla hanno a che fare con le nostre necessità collettive e con i nostri diritti. È un dato storico che non credo sia necessario argomentare. Nel corso dell’età contemporanea, da duecento anni in qua, le potenzialità e le risorse della Sardegna non sono mai state curate e valorizzate in nome e per conto dei sardi, ma sempre in nome e per conto di qualcun altro. Con la complicità determinante delle nostre classi dominanti, a loro volta affezionate al loro comodo ruolo di intermediazione, sgravate di qualsiasi responsabilità, attente a curare le proprie clientele e il proprio tornaconto, rispondendo per tutto il resto ai centri di potere esterni da cui dipendeva e dipende la loro legittimazione. Un sistema così strutturato è per sua natura ostile ai cambiamenti e all’azione di forze sane, creative, proattive. Forze che non sono mai mancate, tra i sardi, come si evince anche oggi dai talenti che pure in questa situazione storica la Sardegna riesce a produrre, in vari campi, e dalle realizzazioni di tanti nostri connazionali all’estero. L’emigrazione è dunque la cartina di tornasole non di condizioni naturali e strutturali carenti, di mancanza di risorse, di povertà inevitabile, ma molto più pertinentemente di condizioni politiche, sociali e culturali negative alimentate dalla dipendenza e fatte valere da quelle forze sociali che dalla dipendenza traggono il proprio sostentamento e i propri privilegi. Se il lato problematico dell’emigrazione risulta evidente, è più difficile da scorgere invece un suo aspetto potenzialmente vantaggioso, nella prospettiva della nostra emancipazione collettiva. Storicamente l’esistenza di una forte emigrazione è stato un elemento decisivo nella conquista del’indipendenza e della libertà per diversi popoli (penso all’Irlanda, ma è solo un esempio tra tanti). In questa fase storica l’emigrazione sarda, se debitamente coinvolta e non semplicemente rimossa dallo scenario politico, ha tutte le caratteristiche per offrire alla Sardegna forze, risorse e competenze aggiuntive, nel processo di acquisizione di consapevolezza diffusa e di autodeterminazione. Molta emigrazione sarda non è stanziata in Italia e dunque non soffre di alcun italo-centrismo. Ma persino quella ubicata in Italia ha uno sguardo spesso più sereno e consapevole sulle nostre questioni. Le nuove ondate migratorie in particolare danno la sensazione di essersi in buona misura liberate da certe sindromi debilitanti di cui invece soffrono ancora molti delle generazioni precedenti. In ogni caso, nel suo insieme, l’emigrazione sarda, specie in quanto spontaneamente organizzata, è una risorsa enorme da chiamare in causa. Che non lo faccia l’attuale classe politica nostrana non è un fatto che possa destare meraviglia. Rimane la questione tutta intera di evitare che la Sardegna continui a subire un dissanguamento demografico come quello in corso e che la nostra diaspora sia presa in consideraz
ione in modo più attento e non in termini assistenzialistici o utilitaristici come a volte è stato fatto. Parallelamente alla necessità di abbandonare qualsiasi velleità etnocentrica, qualsiasi forma di chiusura identitaria stagnante, per aprirci al mondo e a tutti gli esseri umani che vorranno fare della Sardegna la loro terra, non dimentichiamoci dei nostri connazionali all’estero. La loro forza, le loro esperienze sono una risorsa preziosa da riconoscere e valorizzare, se non vogliamo soccombere alle spinte della storia.

 

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8 commenti

  1. Egregio dott.Pulina,
    ho letto il suo bel articolo sul fenomeno dell’emigrazione sarda e delle ahimè intelligenze sarde ,non sempre ri/valutate in campo socio- economico e politico,sia in Italia che nella nostra amata terra.E’ verissimo ciò che afferma,circa l’azione demografica che man mano riduce la già nostra povera popolazione.La Sardegna purtroppo,essendo un isola quasi in/felice,non lo è comunque dal punto economico -sociale.Chi vuole esportare una idea,un progetto deve necessariamente andare fuori dalla propria terra,alla chimera economica che in futuro gli consenta di formarsi una famiglia,una carriera,sia politica che culturale.La tanto sospirata autonomia della Sardegna rincorre da centinaio di anni la "grande utopia" dei nostri grandissimi pensatori.Ne abbiamo avuti tanti di intellettuali,ma ognuno è stato,da questa nostra negletta società dei consumi,relegato in una gabbia che,seppure dorata da alimenti sovente economici, e/o di vellutata carriera,spesso sono rimasti solo ideali nel grande catalogo delle storia sarda.Nel mio caso, a 17 anni ,sono partito, gioco forza,da Carbonia mia città natale a Roma,dove mi ero arruolato in Polizia.Quattro anni di intensa esperienza tra esercizi ginnici e ordine pubblico che mi sono serviti poi per maturare,accrescere con un pizzico di vanità il mio babaglio culturale.A Vergiate un paesino di circa 9 mila abitanti dove vivo e risiedo, ho avuto la fortuna di conoscere il maestro Enrico Baj;lucio del Pezzo,Ugo nespolo ed altri della cultura in generale..Tramite Baj ho conosciuto altri pittori,letterati,salotti letterari ed artistici dove ho appreso i primi rudimenti della pittura e intensificato la sperimentazione artistica.Pronto cioè per fare il passo di qualità.Sono, a dire il vero, un semplice cittadino che ha cominciato a dipingere e a scrivere.Quest’ultima è la mia grande passione.I nostri amici e compaesani sono nella stragande maggioranza solari,virtuosi,gran lavoratori con l’onestà nel cuore,sempre pronta e a portata di mano.Pronti a ri/conoscere la nobiltà d’intenti,a riconoscere un merito,a riconoscere/si cioè nella atavica cultura sarda.So poco della Sardegna.Dovrei saperne di più.La bibliografia in Sardegna è ben coltivata e ben nutrita.Dovrei fare di più per riconoscerla nelle sue viscere ancestrali,nella forza-lavoro che i minatori,prima e dopo "Lamarmora,Asproni,Quintinosella" hanno dato il loro sangue in nome di una moneta che non fu mai spesa per liberarsi dagli oppressi.Ora questi oppressori,i soliti padroni di turno li abbiamo in casa,attinti e messi con suddita dovizia sullo scranno dalla sovranità popolare;dal virtuosismo liberale della politica che invece di promuovere la nostra storia,riconoscere questa nostra povertà economica,l’ha addomesticata nelle pinacoteche,nei storici palazzi della governance,nelle gallery-musei,mercificando il buon cuore dei sardi.Dal punto di vista economico i governi(tutti) che si sono negli anni succeduti,avrebbero dovuto riconoscere alla Sardegna uno sgravio minore quale peso economico, rispetto ad altre realtà geografiche.Ma tutto questo non è mai avvenuto,nè mai avverrà, purtroppo.La vita in Sardegna è cara.Anzi carissima.Perdoni il mio sfogo.Almeno mi consenta questo mio libero pensiero a lungo tempo difeso,allogato,ancora intatto nella profondità della mia memoria.L’esempio di Alcoa rappresenta la vergogna più gretta.Forse solo i sardi riusciranno la fare la grande rivoluzione politico-cilturale.I tempi sono ormai maturi.
    Ho scritto il mio ultimo libro"La donna animale",editore Calabria che ho dedicato a Mia Nonna Delfina Piria.Una sorta di racconto-fiaba che rinfuoca la speranza,i valori,le cose comuni legate alla nostra terra, nella profondità di una arcaica povertà che in qualche modo nel racconto ho tentato di sconfiggere.Non sono uno scrittore professionista ,ma scrivo volentieri.Ho scritto degli articoli sulla figura di noti artisti sardi sulla Prealpina e sul Giornale di Varese.
    Se vuol attingere qualche notizia in più su di me clicchi: Paolotolu.com
    Con grande stima colgo l’occasione per salutarla di cuore.
    Paolo Tolu
    Vergiate
    topart.tolu@gmail.com
    tel.347/4676099

  2. Caro Omar Onnis,
    complimenti per l’articolo.Ho scritto a Pulina per il solo fatto che regli come sempre tratta la cultura e la poesia in particolare con la sua “rubrica letteraria” Parlando di poesia, con una delicatezza che solo i saggi sanno.W “Tottus in pari”
    un saluto
    Paolo Tolu
    topart.tolu@gmail.com

  3. Gentile Paolo Tolu,
    ho voluto attingere qualche notizia in più su di lei non solo cliccando Paolotolu.com
    ma anche facendo altre ricerche in Internet.
    In un Blog ho trovato, tra gli altri, questi suoi versi, che ritengo meritevoli di essere proposti all’attenzione dei lettori di Tottus in Pari. Per il resto, le scrivo in privato al suo indirizzo di posta elettronica. Ricambio i sentimenti di stima.
    Ricordi
    Nelle rugose e inchiostrate valli, monti aridi d’acqua
    tra bietole e agavi assiepati con gli spinosi rovi
    e maturi fichi d’India.
    Sofferti giuochi insazi nelle asciutte cunette
    lungo le strade con indosso il jeans americano usato,
    in attesa della domenica,
    per una minestra calda tolta al sorriso sofferto di mia madre.
    Tra i filari del vecchio vigneto a San Giovanni Suergiu,(1)
    ombre di canneti come riparo dietro la bassa casa,
    accanto al melograno dove Alba e Wilma, (2) bionda
    e fronda l’una, onda marina di un caldo sorriso l’altra.
    Ricordi rimasti intatti nel fatiscente casolare
    e tante memorie morse fino alle radici
    nelle fontane dei medaus (3) per rinfrescare il vino e l’anguria
    nell’acqua del pozzo con una corda al lucido secchio
    zingato legato, a dispetto dell’arsura dei pastori.
    (1) San Giovanni Suergiu (CA): paese in cui l’autore trascorse la sua prima infanzia.
    (2) Alba e Wilma: cugine d’infanzia dell’autore.
    (3) Medaus: agglomerato di case di forma quasi circolare di arcaici e sociali costumi.
    Paolo Tolu, Vergiate

  4. Egregio dott.Paolo Pulina,
    a giorni le invierò due miei libri di poesia.
    Spero che in alcune trovi qualcosa di interessante.Per il momento le invio questa.
    Baj in bonora…
    “Filo”
    Sfioro lo spazio circostantre,rigonfio anch’esso
    tra aria e umida terra;
    presenze,a volte inutili ossari,invisibili fili
    spezzati sulla polvere di una pallottola bagnata.
    Se fosse bianco,verde o filo nero a terra occultato,
    non saprei nella mia distratta pur viva memoria;
    nè so se fosse stata firmata quella s/traccia carta
    con quel rigo insolente che aggiunge noia a ciò
    che resta.
    L’ho visto volare tra i confini quel filo convinto
    d’esser niente,o rifiuto reso ad una canna
    bruna dietro la siepe uscita nel silenzio di Barbagia.
    Se fosse,infine,sfuggito quel deriso filo al resto
    desolato niente.Non so…
    Ho notato eunuco un altro filo uguale,con la
    lingua fuori e il cuore peloso,sotto le mura:
    l’avamposto caduto e Giano,l’altra faccia testimome,
    una macchiata carta.
    Devo capire,ora,se essa è la sola ferita rimasta
    o se invece ce ne sono altre insieme,con gli
    stessi intrecci,compagni di lotta,vermi di latta,
    aridi inni negati in libertà.
    Paolo Tolu Vergiate
    topart.tolu@g,mail.com

  5. Esimio dott.Paolo Pulina,
    Le ho già spedito i mie libri di poesia.Spero che qualcuna la trovi di suo gradimento.Soprattutto per gli emigrati sardi che ancora non mi conoscono.
    “Racconti”
    Saprò raccontarti,stanne certa,quando gli asparagi
    a marzo saranno irti e scuri steli e le campagne
    coperti sentieri di rugiada nei rovi impolverati
    dalla terra incolta.
    Saprò raccontarti,stanne certa,lungo il fiume de
    “Is Cannas della spoglia capanna del bandito:
    guardia al soleato vigneto e puntini gli acidi acini
    tenuti prigionieri dai verdi e profumati pampini.
    E’ ancora lì la bambola di gesso nell’impagliata
    sedia sbilenca che guarda sul rozzo tavolo,
    dove la pagina firmata su un libro è quella
    che potrai s/velare.
    Saprò raccontari,stanne certa,della tua casa
    in collina,della tua “bambola clown” a righe rosse
    col berretto blu in testa che un dì di desti.
    Sarò nido di rondine e pagliuzza di grano
    al primo richiamato canto,quando i profumi
    ululano come lupi famelici nei giacigli e le foglie,
    un incantato morbido guanto,gocce solitarie
    amiche nel mio guerriero fianco.
    Paolo Tolu
    Vergiate
    topart.tolu@gmail.com

  6. Egregio dott.Pulina,
    Parlando di sardità e di sardi/e più o meno conosciuti,le vorrei segnalare una sarda,nel vero senso della parola.
    Ho conosciuto Ambra Pintore tanti anni fa,tramite sua cugina Romina residente a Vergiate.Sapevo di lei che fosse una brava condutrice di Videolina e altrettanta brava come giornalista,fornendo l’idea di una eciclopedia sarda all’Unione Sarda, su usi & costumi della Sardegna/16 volumi).Ambra Pintore ha una voce davvero straordinaria, musicalmente intonata ai rigori canonici della musica.L’ultimo c.d "Muriga"- mescolare, è un autentico capolavoro della magica lingua sarda che,con grazia,tra sacro & profano,ha saputo ri/mescolare.Dopo una sua breve apparizione a Sanremo con Nino D’Angelo,le sue tournèe,specie in Sardegna s/popolano.Qui al nord,invece,pur avendo fatto diverse serate in Lombardia e una a Verona,risulta assai difficile proiettarla nel mondo della canzone,senza dover rinnegare la sua linea melodica-religiosa.Da -"Sambene binu – a Issa mi piaghet o Ispagna",questi brani vivono tutti di luce propria.Una autentica divulgazione della lingua sarda – Sa limba- la sua,che mi ricorda per "spessità canora" quelli analogici della compianta Maria Carta.L’accostamento vocale non è da ritenersi blasfemo,ne i suoi brani paiono ideali intrusi come nei "Sei personaggi in cerca d’autore" di Pirandello,nel complesso panorama musicale italiano.Dico questo,perchè quando,in anteprima l’ho sentita cantare alcuni di questi splendidi brani, ho capito che il "rigor mortis" della cantautrice c’era.Anch’io,nel mio pur breve e fortunato periodo di produttore musicale "Rock-country" degli U.D.S.,mi ero fatto una vasta cultura.Dai Pink Floyd,Zeppelin,i Who – agli E.L.P." Emerson,Lake e Palmer" ,straordinari batteristi tastieristi/rumoristii,fino alla poesia musicale dei "Dire Straits".L’intellighentia canora sarda:moteti,chittarristi,attori,artisti,se solo si pensa ad Amedeo Nazzari,Aligi Sassu,Sironi,Nivola,la Sardegna è e rimarrà sempre la culla della "genialità del culto,del gene particulare".
    Non si è mai abbastanza eruditi sulla storia passata-recente della Sardegna,e dei tantissimi personaggi che,nel bene & nel male,si sono distinti per dignità e per valori etico-morali ,ormai crediamo tutti,affossati dalla barbarie di una classe politica che non ha più nulla dire…
    Scusi questo mio sfogo.Perchè pensando a questo sconcio spettacolo della ruberia dei politici in generale,mi viene in mente la tragica fine che farà l’Alcoa a Portovesme…
    "Tottus impari-tutti insieme- solo così possiamo fare la grande rivoluzione "socio-culturale" di questo nostro martoriato paese.Io ci sono!
    Bai in bonora.
    Paolo Tolu
    Vergiate
    topart.tolu@gmail.com

  7. Egregio dott.Pulina,
    Credo che abbia già ricevuto il mio libro:”La donna animale”- ed.Calabria ed alcune poesie che trattano paesaggi e umane figure sarde,tra cui spiccano mia madre,mia nonna e tante altre persone poste al centro della loro universalità.Dopo averle lette,sempre che ne abbia il tempo,visti i suoi molteplici impegni culturalai e sociali,gradirei un suo libero pensiero critico.Sto studiando il sardo con un vocabolario regalatomi tanti anni fa da un amico emigrante.So che la Sardegna è ricca di vocabolari.Può eventualmente indicarmene uno che soddisfi tutte le mie curiosità di sardo.Ho già messo in calendario una serata letteraria dedicata al libro”Il Tonto” di Aldo Ricci, sul salotto di Mauro della Porta Raffo al caffè
    Zamberletti di Varese per il giorno 27.11.2012 ore 18.Lo stesso libro verrà ri/presentato presso la biblioteca comunale di Vergiate -Piazza Enrico Baj,dall’assessorato alla cultura del Comune .Gradirei la sua preziosa presenza.Le invierò in tempo utile l’invito,visto che abita a Biella.Sto pure collaborando con “Varese8” ,una TIVU Web in procinto di fare il passo di qualità con la banda televisiva.Seguo sempre i suoi magnifici articoli.
    Ho un debito artistico per la mia Ichnusa,ed è li che sono cresciuto con la voglia di dipingere e di scrivere.Li in quell’anfiteatro romano,sotto Buoncammino,ho visto le prime della Turandot,l’Aida ,la Cavalleria rusticana e la Cavalcata delle valchirie.
    Con tanta stima la saluto.
    Hasta luego!
    Paolo Tolu
    topart.tolu@gmail.com

  8. <<Convegno sulla figura del Giudice di Pace"
    Un convegno interessante, intrigante, quello sulla figura del Giudice di Pace svoltosi presso la sala consiliare del Comune di Sesto Calende. Il relatore della serata il Coordinatore dei giudici di Pace di Varese giudice Luciano Soma, ha egregiamente illustrato il ruolo istituzionale di questa figura e le sue molteplici sfaccettature. Alla conferenza erano presenti l’assessore alla cultura Silvia Fantino, l’assessore alla sicurezza Orlando Veronese, il comandante della Polizia Locale Michele Signò, il vicedirettore del P.R.A. di Varese Giancarlo Colombo, oltre all’omnipresenza dell’esperto organizzatore e relatore della parte storica del convegno Paolo Tolu e la moderatrice e relatrice della parte giuridica Priscilla Albè. Tra i numerosi presenti in sala anche la coordinatrice del G.d.P. di Gallarate – Giudice Laura Sardini, la vice coordinatrice del G.d.p. di Varese – giudice Cinzia Martinoni, il consigliere provinciale Domenico Marchetta, il presidente del comitato di controllo provinciale dott. Paolo Sturiale.
    I compiti del Giudice di Pace
    >>il giudice di Pace>> ha spiegato l’avv. Luciano Soma, è la figura che ha sostituito la vecchia figura del giudice conciliatore (paleoindustriale) e si è posta all’attenzione in questi ultimi anni ( postindustriuale ) come il il primo nobile gradino della magistratura con la legge 374/1991 che ha assolto con cognizione di causa, assetti organizzativi del loro compito istituzionale. Sono molteplici le cause trattate dal giudice di Pace: e spaziano dai reati bagatellari alle sanzioni amministrative, dalle problematiche concernenti l’immigrazione alle vertenze condominiali. Infine i casi specifici di perdita di possesso di autoveicoli: in questo caso il lavoro del giudice è affiancato dal V.ce direttore del P.R.A. Giancarlo Colombo. Competenze ulteriori sono le minacce, le diffamazioni, le ingiurie. Infine il delicato ambito penale. IL giudice di Pace, appartiene all’ordine della magistratura ed è onorario; il giudice c.d. di carriera ( ordinario ) non ha limiti di valore di causa, mentre il giudice di Pace si occupa di cause di valore inferiore.
    Come delineata durante la conferenza stessa, la figura del giudice di Pace si è posta monocraticamente all’attenzione degli studiosi del diritto, dando spesso un forte contributro letterario-giurisprudenziale, le cui fonti di diritto spesso hanno ispirato la << suprema Corte di Cassazione >>. La novità più interessante è che le udienze civili e penali sono svolte con una certa celerità nel giusto processo, in un rapporto alla pari << tra offesa e difesa >>. Mentre la giustizia in generale in quest’ultimo trentennio ha sofferto e soffre tuttora di un carico di lavoro sempre più crescente. il giudice di Pace ha dato il suo efficace contributo occupandosi di cause minori, ma non per questo meno importanti, che altrimenti avrebbero intasato i tribunali, offrendo al cittadino un valido aiuto nella risoluzione – in tempi brevi – delle controversie.
    Durante il convegno è stato affrontato anche quest’ultimo tema: quello degli accorpamenti di alcune sedi di giudici di Pace: Luino e Gavirate. Nello specifico dovrebbero essere accorpate a Varese.
    E’ un autentico problema nazionale questo che dovrebbe razionalizzare l’ingente costo della giustizia.
    Per tali accorpamenti un provvedimento già in atto ( scadenza per i Comuni il 15 aprile 2013) dovrebbe concretizzarsi entro settembre o ottobre.
    Paolo Tolu

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