DA PIONIERE NEL DESERTO A FONDATORE DI "DOMUS ITALIA": GIUSEPPE MARIA PILO UN SASSARESE ARRIVATO IN QATAR PER AMORE DI HODA, GIORNALISTA DI "AL JAZEERA"

Giuseppe Maria Pilo con Hoda


di Antonio Mannu

«Ci sono molte cose in comune tra i beduini e i sardi», parola di Giuseppe Maria Pilo, sassarese. “La stessa diffidenza, a volte sana, a volte problematica; una mentalità simile, orientata a conservare le cose come sono. Il fatto che lo straniero sia visto un po’ come un diverso.” Giuseppe Pilo, “sardo di Sassari”, vive in Qatar dal 2007. «Ci sono arrivato senza sapere dove stavo andando, per seguire mia moglie Hoda, poco dopo esserci sposati in maniera improvvisa e imprevista. Lei è una reporter egiziana che, in quel periodo, aveva appena cominciato a lavorare con Al Jazeera International. Si è trasferita a Doha e io con lei». L’inizio non è facile, in un paese nuovo in cui partire da zero. Molte le barriere: linguistiche, climatiche, culturali. Il Qatar è una regione desertica, rimasta ferma nel tempo per secoli. «Un paese particolare – dice Giuseppe –. Quando sono arrivato, qualche anno fa, l’impressione era di vivere come un pioniere. E’ un paese in qualche modo giovane, che ha cominciato a conoscere una grande crescita dal 2006, trasformandosi velocemente grazie alle enormi risorse e a una politica nuova per la regione».

Da subito Giuseppe decide di darsi da fare per trovare uno sbocco professionale. Il grande sviluppo edilizio, la creazione di nuovi musei e luoghi per l’arte gli suggeriscono che si possano generare occasioni interessanti per il mercato italiano. «Ho cominciato a pensarci e mi sono detto: posso fare da ponte tra la realtà italiana e le esigenze locali. Ne ho parlato con un caro amico, anche lui sardo e sassarese. Si è reso conto che in Qatar potevano esserci delle opportunità. Così, forse con un po’ di follia, mettendo insieme la mia conoscenza del territorio, la sua esperienza nel settore dell’ edilizia e il suo accesso a risorse finanziarie, è nato un progetto: aprire Domus-Italia, uno spazio espositivo dedicato a promuovere e commercializzare prodotti di aziende italiane che operano nell’ ambito delle finiture per l’edilizia e dell’ arredamento».

Il made in Italy in questo campo continua a rappresentare un’eccellenza, sino ad allora non sufficientemente promossa e distribuita in Qatar. «All’inizio è stata dura, questo è un paese difficile, non è semplice vivere qui. Quando sono arrivato non conoscevo nessuno, non conoscevo la burocrazia, avevo difficoltà a capire abitudini e usanze così diverse, adattarmi agli approcci differenti. C’è voluta molta determinazione, aiutata dallo stimolo e dall’ entusiasmo di Hoda, sempre pronta a infondermi fiducia».

Le difficoltà ci sono anche in Italia: non è semplice convincere persone e aziende che in Qatar ci sono prospettive interessanti. «Qui basta guardarsi intorno: tutto è in costruzione, gru e cantieri a perdita d’occhio. Quelle costruzioni andranno rifinite ed arredate, con materiali particolari e di eccellenza, perché in Qatar ci sono grandi ricchezze. Questi materiali continuano ad essere italiani». Oggi Domus-Italia è aperto, all’interno del nuovo sviluppo immobiliare “The Pearl”, un nome omaggio alla storia qatarina di luogo delle perle. Un paese con un guscio difficile da penetrare. Ma adattarsi a situazioni particolari è una costante nella vita di Giuseppe. A 16 anni entra al collegio militare Morosini a Venezia. Catapultato in una realtà scioccante: rigida disciplina, un nonnismo ruvido.

«Ma è stato anche entusiasmante. Facevo tanto sport, ho incontrato persone molto diverse. Con alcune sono nati legami forti, perché in quella realtà si vive in una situazione di emergenza. Non fai mai quello che vuoi, fai quello che ti viene ordinato». Giuseppe comunque “agguanta” bene e, in fin dei conti,oggi è contento di quell’esperienza. Anche perché, dopo tanto bastone, arriva una carota-premio. I genitori gli fanno due proposte: un’automobile o un viaggio. Giuseppe parte. Va in America:,Usa, Chicago. A studiare l’inglese. Al termine del corso, con due compagni di studio compra una vecchia Golf. «Siamo partiti all’avventura. Abbiamo fatto un viaggio stupendo, attraversando tutti gli Stati Uniti. A San Francisco ci siamo fermati un mese: in un albergo in ristrutturazione, gestito da una comunità gay. Per una stanza, con i materassi per terra, pagavamo 10 dollari al giorno in tre». Giuseppe è intrigato dal nostro progetto.

«Credo sia interessante toccare con mano quel che combinano i sardi per il mondo, anche perché penso che diamo il meglio quando lasciamo l’isola. E’ triste ma è così. Perché succeda non mi è chiaro, certo è collegato a problemi che si riscontrano in Sardegna. Se si da il meglio altrove, è probabile che a casa propria venga negata la possibilità di farlo. Sicuro, la Sardegna è un’isola e il mondo è grande e offre più opportunità. Ma noi siamo un po’ impicababbu, spesso incapaci di collaborare. E non si fa abbastanza per valorizzare la bellezza della nostra terra. Sassari, che mi sta a cuore perché è la mia città, ancora sta pensando forse a produrre Presidenti della Repubblica. Magari bisognerebbe valorizzarne le qualità, tenerla più pulita ed evitare di imbruttirla, invece di dire sempre che fa schifo. Perché Sassari, alle persone che la visitano, piace».

Tra le passioni di Giuseppe c’è il mare. A un certo punto arriva anche una barca. «Sono rimasto incastrato in questo gioco per un paio di anni e non è stata una vacanza». Lunghi lavori per sistemarla, tante miglia di navigazione, a volte in solitario. La partenza per i Caraibi. Con un socio fa charter e va bene. «In quel periodo è scoppiato l’amore, anzi era già scoppiato ma diventava pesante coltivarlo a distanza. Abbiamo preso il toro per le corna e deciso di sposarci. Così sono finito a Doha».

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