COSA E' LA SARDITUDINE? DUE GIORNI A UDINE, OSPITE DEL CIRCOLO "MONTANARU" PER "SA DIE"

Domenico Mannoni, presidente del "Montanaru" di Udine


di Natalino Piras

È stata una esperienza importante quella di Udine, il 21 e il 22 trascorsi, con i friulani e con i sardi. Abbiamo vissuto insieme dies, giorni, elaborando intorno a una die, un giorno, sa die de sa Sardigna, quella che ricorda la cacciata dei piemontesi da Cagliari, il 28 aprile del 1794. Non importa, nel recupero memoriale, che i viceré savoia e la loro iniqua gente siano ritornati gloriosi e trionfanti di lì a poco. Interessa, anche a ridosso del 25 aprile, festa di ben altra Liberazione nella primavera del 1945, Italia intera,  contestualizzare all’oggi quell’atto di rivolta dei sardi, 218 anni fa. E capirne le ragioni e i sentimenti, le contraddizioni. Al Circolo “Montanaru” ottimamente presieduto da Domenico Mannoni, la serata del 21 aprile è stata un fuoco di fila di domande e risposte che come, sempre ottimamente, evidenzia Adelasia Divona, hanno permesso alla sarditudine di essere  fulcro. Che cosa è la sarditudine? È il sentimento del tempo dei sardi. Tempo storico e tempo allargato al presente e all’orizzonte. Sa die del  28 aprile 1794, succeduta allo sbarco dai sardi respinto dei rivoluzionari francesi – in realtà navi armate di cannoni che bombardarono Cagliari –  e pure foriera dei moti rivoluzionari angioyani del 1796, rappresenta molto di questo sentimento del tempo. Dice di dominazioni millenarie, incessanti, terribili: dai punici ai piemontesi e la loro mancata riforma, il loro continuato feudalesimo nonostante con l’editto delle Chiudende (1820, tancas serradas a muru/fattas a s’afferra afferra) se ne fosse decretata la fine, in Sardegna. Dentro questo dominio, poche sono state le occasioni di vera rivolta, dato che la rivoluzione è ben altra cosa e pure i moti angioyani, come tante vicende sarde furono segnati dal tradimento. Allora bisogna cogliere l’attimo, politicamente e poeticamente. Dare alla festa il senso di una continuata invenzione. Come per san Giorgio di Cappadocia che forse neppure esistette ma però continua a sconfiggere il drago. Sono appunto queste le  occasioni a insegnarci che la Storia, anche quella dei Sardi,  deve sapere far buon uso delle contraddizioni. Attraversarle come cuore di tenebra e avere occhi e ragioni e sentimenti  visionari. È quanto permette di ribaltare i termini di importanti questioni che sono  la lettura e la comprensione della Storia. Passare da una interpretazione di storia raccontata per i vinti a una storia raccontata dai vinti: con i sentimenti e le ragioni dei vinti. Anche questa è sarditudine. Capire perché nonostante san Giorgio uccida il drago noi continuiamo a restare male unidos dentro l’Isola. Ma, a volte, capaci di riconoscerci fuori  dall’Isola. Qui, riuscire a stabilire empatia d’ascolto, ragione e sentimento, vuol dire iniziare a fare qualche passo avanti. E avere anche noi orizzonte. Mica sa die de sa Sardigna, ogni 28 aprile, è un residuato fossile. Ha meno di vent’anni, in quanto istituzionalizzata nel 1993.  È  una storia giovane.

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