LA PAURA DELLA GENTE DI QUIRRA: TANTI, TROPPI I MISTERI SUL TERRITORIO DEL FAMIGERATO POLIGONO MILITARE


di Mariagrazia Marilotti

<<Vi ricordate Mururoa, l’atollo in Polinesia dove i francesi sperimentano le loro armi nucleari? Bene la Sardegna é la Mururoa italiana>>. Bettina Pitzurra, militante dell’Irs, il movimento indipendentista di Gavino Sale,  ha una fede incrollabile nel voler difendere dalle servitù militari la sua isola. Come lei tanti cittadini, movimenti, associazioni. <<Mia figlia Monica se n’è andata sette anni fa, a 38 anni, l’hanno uccisa quei veleni della base militare, la ‘sindrome di Quirra’>>. E’ un grido di dolore quello di Nerina Secci, 72 anni di San Vito, a pochi chilometri di distanza dal Poligono interforze Salto di Quirra nella Sardegna sud orientale. Un deciso atto d’accusa che fa eco alla rivelazione choc di due veterinari delle Asl di Cagliari e Lanusei Sandro Lorrai e Giorgio Mellis: negli ovili di Quirra sono nati agnelli deformi con sei zampe, occhi dietro le orecchie, animali mostruosi usciti da chissà quale bestiario. E quel che è peggio i pastori con la leucemia sono il 65 per cento. Cifre e dati da massacro. Il dossier dei medici riporta al centro dell’attenzione il sempre più discusso poligono militare, con i suoi presunti segreti sull’uso di armi e munizionamenti all’uranio impoverito. <<La risposta scientifica più autorevole è quella di Maria Antonietta Gatti, la ricercatrice che ha individuato nelle nano particelle prodotte da esplosioni a oltre 3500 gradi, l’agente killer di queste patologie –  spiega Mariella Cao, del comitato Gettiamo le Basi –  una conferma per ambientalisti e antimilitaristi di ‘Gettiamo le Basi’ e ‘Comitato per ambiente e salute Sarrabus Gerrei’>>.  Nel 2006 hanno raccolto nel territorio 3.500 firme per il blocco delle esercitazioni e delle sperimentazioni delle multinazionali delle armi. Da anni si scontrano contro un muro di omertà. Ma Nerina non ha paura di raccontare, anzi invita i suoi conterranei a uscire allo scoperto, avere il coraggio di abbattere quel muro di resistenza.  Un grido di rabbia per spezzare quell’invisibile filo spinato che le forze armate italiane hanno eretto contro una verità troppo scomoda.  Quella di decine e decine di malati di leucemie e linfomi che con i 27 di morti di Quirra dal 2001 a oggi, su una popolazione ormai ridotta ad una cinquantina di abitanti chiedono giustizia. Come spiegare i casi dei 14 bambini nati malformati nell’88 su 36 parti nel vicino Comune di Escalaplano? E l’ultima notizia arriva dalla scuola Agraria di Muravera, dove gli studenti raccontano che un mese fa è nato un maiale a due teste e otto zampe. Nel salotto di casa Nerina sfoglia l’album dei ricordi. Si era sposata il 7 maggio del 1988 Monica Utzeri. Un volto dolce incorniciato da capelli neri. Dal matrimonio sono nati due figli. Il più grande, Alessandro, ha subito prima di lei gli effetti nocivi di quei proiettili all’uranio impoverito. Lui però ha vinto la battaglia contro la malattia contratta quando ne aveva nove.  <<E’ stato più fortunato di tanti altri bambini che come lui, andavano a giocare all’ovile del nonno, a Monti Cardiga su Pranu, a un tiro di schioppo dove gli eserciti di tutto il mondo continuano a fare le grandi manovre di guerra. <<Tanti bambini innocenti come colpiti da invisibili proiettili, perché quando era tutto calmo andavano a giocare tra i residuati delle esercitazioni – racconta Nerina, mamma di Monica e nonna di Alessandro – quando porto mio nipote a fare i controlli provo una stretta al cuore, vedo tutti quei bambini e ragazzini pelati, i malati sono sempre di più e sono quasi tutti provenienti dalle nostre zone>>.  Come Nerina sono in tanti da queste parti a combattere una battaglia contro chi non vuol riconoscere linfomi e leucemie conseguenza di operazioni militari fatte all’insaputa della popolazione. La Procura di Lanusei dopo le rivelazioni dei due veterinari ha deciso di aprire un fascicolo contro ignoti per omicidio plurimo, danni all’ambiente, detenzione e uso di armi da guerra. E il muro di omertà pian piano si sta squarciando. In tanti hanno aderito all’invito di raccontare richiesto dal responsabile dell’inchiesta Domenico Fiordalisi. In tanti però ancora negano. Troppa la paura di perdere l’autorizzazione per portare le pecore al pascolo,  e quando c’è una famiglia da mantenere diventa tutto più complicato. Ma sono sempre le donne le più coraggiose. Rosa Casula 53 anni, abita a Quirra. La sua casa è proprio davanti alla rampa di lancio da dove partono i missili. In pochi anni ha visto morire di linfoma i suoi genitori Beppina Boi e Ferdinando Casula, entrambi di 72 anni. E’ decisa e ostinata, non vuole perdere quanto costruito da loro dopo una vita di sacrifici, la sua è un’azienda dove si allevano maiali, pecore e galline. Il suo racconto è straziante. <<Quando c’erano le esercitazioni ci facevano salire su un camion e ci portavano lontano dalla zona. Per i bambini era una festa salire su quei mezzi militari. Quando sparavano non si poteva andare nemmeno al mare con le spiagge bellissime che abbiamo, ora da un paio di anni ci lasciano in pace almeno in quei due mesi estivi. Sapere di avere la casa come in un campo minato e sorvolata di continuo dal passaggio di aerei e missili ci ha sempre allarmato. Ci hanno sempre rassicurato che non avremmo corso nessun pericolo Invece prima è morto babbo e poi è morta mamma. Allora nessuno sapeva niente. Mi vien da pensare che forse tutto è iniziato quando mamma prese quel pezzo di proiettile per farci una fioriera in ottone raccolta davanti a casa. Oppure quando babbo per accedere il caminetto utilizzava combustibile solido per missili. Avremmo potuto avere un’azienda di prodotti biologici, ma chi ce l’ha ora il coraggio di vendere quel che produciamo, può essere tutto inquinato>>. C’è rassegnazione mista a dolore nelle sue parole <<Da qui non me ne vado. Ormai, tutto quello che dovevamo respirare lo abbiamo respirato se deve succedere succede>>. Da Quirra a San Vito il filo di tristezza ma anche di coraggio unisce due famiglie. <<Mia madre prima di morire ce lo diceva, se è colpa delle basi è giusto che si sappia’. Se si facesse referendum per chiudere le basi voterei ‘si’>>, aggiunge Rosa. A San Vito a casa Secci il pensiero di Monica la tormenta sempre, ma Nerina ha viva nella mente una immagine, l’ultimo slancio di fierezza di sua figlia. Quando, quasi in punto di morte, su un lettino di ospedale, ha raccolto tutte le sue forze per barrare con una ‘x’ il suo ‘No’ alle scorie industriali. A Nerina, Monica piace ricordarla anche così.

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