THARROS, I SEGRETI DELLA TOMBA DEL RE. I SEGRETI NELLA PENISOLA DEL SINIS, A CAPO SAN MARCO


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Una stretta scala d’accesso consente di entrare in un vano dotato di banconi. Il gioiello che non ti aspetti è nascosto tra i cespugli di macchia mediterranea, nella necropoli meridionale di Tharros. A pochi passi lo splendido mare di Capo San Marco, punta estrema di San Giovanni di Sinis. Il nome la dice lunga: La tomba del re, e fa pensare alla sepoltura di un personaggio importante che poteva permettersi un monumento. Con tanto di corredo e oggetti preziosi, tutti spariti chissà dove: lo sconosciuto scopritore di questa sepoltura monumentale fu, infatti, un tombarolo che si è appropriato di quanto trovato all’interno. In altre parole nessuno scavo, ufficiale, ha consentito di portare alla luce un simile gioiello dell’archeologia, ma solo il lavoro di un anonimo appassionato, che magari poteva essere interessato più al valore. Di questa preziosa testimonianza, finora l’unica venuta alla luce, si sa poco o nulla. Se non che sorge all’interno di quella porzione di necropoli racchiusa in un giardino privato verso Capo San Marco, fuori dal sito archeologico di Tharros (gestito dalla cooperativa Penisola del Sinis). «Si tratta di una tomba inedita e non inserita nei percorsi guidati all’interno del sito: finora nessuno studioso si è mai preso la briga di andare a fondo per scoprire qualcosa di più su questa tomba particolarissima, di cui è stata pubblicata una foto, con disegno e rilievo» spiega l’archeologa Carla Del Vais, direttore scientifico del museo civico di Cabras. «Ora, però, stiamo cominciando a interessarci; siamo convinti che può rivelare elementi significativi per conoscere meglio Tharros». Che aveva una vasta necropoli, tanto che si ipotizza l’esistenza di due centri abitati con due diverse necropoli sorte nelle periferie. Se invece la città era unica la necropoli si articolava in due zone distinte: una a nord e una a sud rispetto al nucleo. Solo ipotesi che attendono di trovare riscontri: «La zona delle tombe è vastissima, dalla base di San Giovanni fino a Capo San Marco» dice ancora l’archeologa Del Vais. «Solo una minima parte è stata scavata e gran parte degli scavi risalgono all’Ottocento, con gli interventi del canonico Spano e degli archeologi Cara e Nissardi. Tutti i reperti delle grandi collezioni oristanesi e di Cabras arrivano dalla necropoli meridionale. Sono succeduti, purtroppo, anni di violazioni continue. ». Diverse le fasi di sepoltura: «La prima, dal VII al VI secolo avanti Cristo, prevedeva il sistema a incinerazione fenicio con fosse ovali, scavate nella terra o nella roccia, completate dal corredo funerario fatto di ceramiche e oggetti di ornamento. La seconda fase, quella punica, con tombe a camera scavate nella roccia, dotate di vano con accesso gradinato. Questo tipo di sepoltura custodiva un tesoro se si pensa che gli ori di Tharros arrivano proprio da queste tombe». Sulla necropoli da qualche anno si sta soffermando l’interesse degli studiosi. Nei giorni scorsi è terminata la seconda campagna di scavi nella parte settentrionale grazie alla collaborazione fra il Dipartimento di scienze archeologiche e storico artistiche dell’università di Cagliari e l’università di Bologna. «Gli studenti hanno lavorato per diverse settimane in questa parte della necropoli poco conosciuta che si sviluppa nella fascia costiera dalla zona del centro visite dell’Area marina Sinis-Maldiventre fino all’ultimo lembo di spiaggia. Quest’anno abbiamo raccolto elementi sulle tombe inviolate e dati sui rituali: come erano disposti i materiali e i defunti. Nella deposizione primaria il defunto veniva incinerato altrove e poi sistemato nella tomba con il corredo ceramico e gli oggetti personali. Dell’età punica abbiamo meno indicazioni, ma abbiamo trovato tracce di bare lignee e resti di chiodi».

 

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