NEL 1922 USCIVA CON DATI ORIGINALI, UN “CLASSICO”, ORA SCONOSCIUTO, DELLA LETTERATURA STORICO-ECONOMICA SARDA: GIOVANNI MARIA LEI-SPANO, “L’ANGIOY A SCARTAMENTO RIDOTTO”, ED I CENTO ANNI DE “LA QUESTIONE SARDA”              

di GIANRAIMONDO FARINA

Fra le tante opere e contributi che, purtroppo, non hanno avuto (ed ancora non hanno) la giusta rivalutazione scientifica e storico- economica, in un panorama sardo “di settore” assolutamente scevro di novità, ve n’è una che, per chi “mastica” di questi problemi (dagli accademici ai politici), dovrebbe entrare, a buon diritto, a far parte della propria biblioteca personale. Per vari ordini di motivi. Si tratta dell’opera La Questione Sarda del magistrato ed economista ploaghese Giovanni Maria Lei- Spano (Ploaghe, 1872- Milano, 1936), pubblicata proprio cent’anni fa, nel 1922.  

Per l’esattezza, Lei-Spano, nacque a Ploaghe (era discendente, per parte materna, del famoso canonico e storico Giovanni Spano, padre dell’archeologia sarda moderna), circondario sassarese, nel 1872, e, ad una importante carriera nella Magistratura, aveva, fin da subito, unito una spiccata attenzione ai grandi temi economici della Sardegna. Sia la sua vita che la sua intensissima attività professionale furono sempre caratterizzati da questo “appassionato” impegno civile, sociale ed economico a favore dello sviluppo dell’isola. Tale da far coniare per lui, da parte del quotidiano La Voce, durante l’accesa campagna politica del 1919 che lo aveva visto sfortunato e perdente protagonista nel collegio di Ozieri, quel quasi sarcastico appellativo di “Angioy a scartamento ridotto”. Tono certamente irriverente, ma che, allo stesso tempo, ben ne rimarcava la tempra. Perché, sebbene con molte differenze, la vita di Lei-Spano può essere considerata, anche con le dovute proporzioni, simile a quella dell’Alternos: come lui magistrato, come lui tenace imprenditore, come lui (sebbene brevemente) impegnato in politica, come lui morto lontano dalla Sardegna dopo esservene stato allontanato per motivi politici. Ma, soprattutto, come Angioy, nel suo piccolo, strenuo e pervicace propugnatore, attraverso i suoi scritti, di un rifiorimento economico dell’isola.  Anche quando le circostanze e contingenze politiche lo costrinsero a trascorrere fuori dall’isola il suo ultimo peregrinare terreno, caratterizzato da vari lutti familiari. Ecco, quindi, che quell’irriverente e quasi sminuente giudizio giornalistico di un sostanziale “piccolo Angioy”, in realtà, se si guarda bene la vita di questo poco considerato e valutato giudice-imprenditore, può assumere un aspetto tutt’altro che indifferente.

Lei- Spano ebbe un carattere indipendente, severo ed intransigente con condizioni di salute via via sempre più precarie per via dell’intensa mole di lavoro da svolgere. La sua vita, comunque, se la si legge “in filigrana”, appare con “un prima ed un dopo”. E lo spartiacque decisivo fu proprio rappresentato da quel fatidico 1922. Prima di tale data vi fu il Lei- Spano “sardo”, profondamente legato all’isola, ai suoi problemi.  Dopo, o poco prima, iniziò, sebbene solo in parte, il suo peregrinare fra alcuni tribunali italiani, con ultime destinazioni, appunto, Monza (1922-24), Milano (1924-349 e Genova (1934-35). Periodo caratterizzato dall’abbandono dei suoi appassionati ed appassionanti studi economici.

 Ma andiamo con ordine. Giovanni Maria Lei Spano si laureò a Sassari in Giurisprudenza nel 1894-95. Furono anni in cui divenne allievo e frequentatore delle lezioni di economia politica di Giovanni Pinna Ferrà, strenuo difensore della libertà economica. Nel 1899 entrò in Magistratura, diventando prima pretore reggente di Ittiri e, poi, svolgendo il suo ufficio presso la Procura del Re di Sassari. Nel 1903 lo ritroviamo pretore a Marradi, nell’Appennino Tosco-emiliano, per poi ritornare nell’isola, pretore ad Alghero dal 1905 al 1912. Dal 1912 al 1920 svolse la sua funzione presso il Tribunale di Sassari. Questo fu anche il periodo in cui contrasse matrimonio con la compaesana Raffaella Cubeddu. Unione dalla quale nacquero cinque figli: tre donne (Lidia, Pina e Lucia) e due maschi (Mario, futuro ingegnere) e Francesco, che, poi, avrebbe studiato Giurisprudenza.  Poi, al termine del conflitto bellico, nel 1920, fu, dopo l’ennesimo ricorso vinto, riammesso in servizio e destinato al Tribunale di Oristano (1920-21). Le restanti altre sue destinazioni furono: marzo 1921, tribunale di Perugia; agosto 1921, pretura di Pennabili (PS); 23 ottobre 1921- 15 gennaio 1922, tribunale di Crema. In realtà il Lei-Spano non affrontò tutti questi cambiamenti poiché, dal 1920 al 1923, venne chiamato, con compiti di consulenza tecnica, nel Gabinetto di Giuseppe Micheli, allora ministro dei Lavori Pubblici.  Incarico particolarmente prestigioso che lo portò ad occuparsi direttamente di tutte le pratiche inerenti la Sardegna

A seguire, le ultime tappe: 1922- 1924, tribunale di Monza; 1924- 1933, consigliere di Corte d’Appello a Milano, 1934- 1935, consigliere di Corte d’Appello a Genova, per poi, per motivi di salute, chiedere di essere collocato in aspettativa e morire l’11 ottobre 1936 nella sua casa di Milano. Dopo aver conosciuto il dolore del lutto familiare con la malattia e la morte della moglie e di una figlia.

Se questa, per grandi linee, può essere definita la carriera professionale di un integerrimo giudice, dall’altro lato vi è una vita, parallela, tutta dedita all’impegno per lo sviluppo economico della Sardegna, maggiormente intensificatasi nel periodo di soggiorno sassarese (1912-20), con alcune code negli anni successivi, soprattutto nell’ultimo soggiorno monzese e milanese (1924-1936). 

Fu. questa, forse, la parte meno conosciuta della vita di Lei- Spano, iniziata fin dal 1908 e caratterizzata da un’intensissima produzione di articoli e pubblicazioni sulle condizioni economiche della Sardegna, connotate dal suo, personale, crescente, interesse per i problemi dell’agricoltura isolana. Il “giudice- imprenditore ed agricoltore” che aveva maturato quest’innata sensibilità grazie all’impegno fattivo per la propria azienda di famiglia a Ploaghe, sita in località   Burredda, presso cui ogni sabato era solito recarsi a cavallo. Azienda a lui tanto cara e che contribuì a modernizzare con tanti esperimenti di bonifica. In sostanza, per Lei- Spano, una condizione ineludibile per il riscatto della Sardegna, fu quello del rifiorimento dell’agricoltura.

Ed è, appunto, negli anni sassaresi   che iniziò la sua carriera “politica”, con una serie di articoli, apparsi sulla   Nuova Sardegna, ed aventi ad oggetto i provvedimenti per l’isola.

Nel 1912, poi, svolse, a livello locale ploaghese, un importante ruolo di segretario del “Comitato per le onoranze al canonico Giovanni Spano”, padre dell’archeologia sarda moderna e gloria paesana. Lo stesso Lei- Spano fu oratore ufficiale al momento della consegna al comune del busto del canonico eseguito dal famoso scultore Sartorio (29 dicembre 1912).

Il 1914 segnò, invece, un momento importante e decisivo nell’intensa attività pubblicistica e di denuncia dei mali economici sardi. Fù, il cosiddetto, “passo ulteriore” che il giudice- economista compì con una lettera indirizzata al ministro dell’agricoltura di allora del governo Salandra (1914-1916), Giannetto Cavasola. Una lettera in cui si fece propugnatore, riuscito, dell’estensione alla Sardegna delle provvidenze che la legge sull’agro romano aveva stabilito in termini di piccola bonifica. Azione di pressione che, effettivamente, si tramuterà in legge 14 luglio 1914.

Ma il momento in cui maturò veramente il suo pensiero economico fu il periodo bellico che vedrà l’Italia protagonista e la Sardegna, nello specifico, “entrare nella storia italiana” con le imprese della Brigata Sassari al fronte. Si trattò di un arco di tempo densissimo, caratterizzato da un’ampia attività pubblicistica, culminata con l’uscita di vari articoli per Il Giornale d’Italia (con pagina informatissima sulla Sardegna) e per    La Nuova Sardegna . Fu, questo, il periodo in cui, sostanzialmente, vennnero gestite e videro la luce le sue due opere più importanti: La Sardegna economica di guerra (con dati originali e scritti antebellici), Gallizzi, Sassari, 1919 e, soprattutto, La Questione sarda che, però, come vedremo, verrà pubblicata solo nel gennaio 1922. Andiamo, però, anche qua, con ordine.

 La Sardegna economica di guerra, arricchita dall’importante e prestigiosa prefazione di un illustre accademico come Giorgio Borgatta, allievo di Einaudi e Pareto e docente, allora, a Sassari di economia politica, fu la prima grande opera di Lei- Spano. In essa sono contenute tutte le varie questioni inerenti le problematiche dell’agricoltura sarda, poi riprese in La Questione sarda. Punti centrali dell’opera furono l’impegno dei prigionieri di guerra austriaci per la costruzione di ferrovie e strade (e non solo per i lavori agricoli), cui si aggiunsero le bonifiche e la sicurezza delle campagne.

Particolarmente sentito era anche il problema dell’allevamento isolano, legato specificatamente alla produzione ed al commercio dei bovini, del formaggio e delle lane. Tutte produzioni che, durante il conflitto bellico, vennnero limitate e requisite. La puntuale prefazione di Borgatta, sostanzialmente, ben colpiva il fulcro dell’analisi di Lei- Spano: la politica di guerra delle requisizioni e dei calmieri aveva danneggiato di più le regioni agricole come la Sardegna, “facendole rimanere fuori dal vasto spostamento di ricchezza mossa dal lavoro delle forniture belliche”.

Aspetto nodale, all’interno dell’opera, era quello delle requisizioni e massimizzazioni delle occasioni di guadagno dei produttori isolani. Non tutti concordavano, però, su un aspetto: che l’isola fosse in grado di privarsi di tutti quei prodotti, almeno nelle quantità parametrate da Lei- Spano. Questo sia per le cifre troppo alte, sia per il fatto che non si considerava il grave depauperamento di un export fuori controllo per l’economia sarda. A questo si aggiungeva un’altra osservazione relativa al fatto che “chi ha vissuto in Sardegna durante la guerra, ha veramente avuto la sensazione di vivere in un fronte interno” (Borgatta). Anche qua, occorre evidenziare come i risultati furono ottenuti grazie all’impegno profuso dal giudice-imprenditore mediante la propria campagna stampa: prezzi più remunerativi per la lana sarda e, soprattutto, sblocco dell’ingiusto sistema delle requisizioni. Più complessa rimaneva la situazione del formaggio, dovuta anche all’approvvigionamento dell’esercito e del resto della Penisola. 

La fine del conflitto bellico, nonostante l’enorme sacrificio, portò Lei- Spano a coniare per la Sardegna il termine, alquanto efficace di “figliastra d’Italia”, unito a quello, altrettanto significativo d’ “Irlanda d’Italia”.  A tal proposito si trovò ad asserire che, mentre il malgoverno aveva creato in Irlanda un irresistibile movimento politico per l’autonomia, “per la Sardegna non solo non fù studiata la sua questione politica, ma non assurse mai neppure all’onore di una questione economica”. E’ chiaro che, certamente, tralasciando la questione dell’autonomia politica (che solo in quel periodo, con la fondazione del Partito Sardo d’Azione di Lussu e Bellieni, stava prendendo il sopravvento), probabilmente Lei- Spano non avesse ben chiari gli estremi della battaglia politica risorgimentale e postunitaria in Sardegna, condotta dallo schieramento democratico, repubblicano e mazziniano facente capo a Giorgio Asproni e Giovanni Battista Tuveri e che aveva visto in Giuseppe Sanna Sanna il primo deputato sardo ad aver posto la Questione sarda, dal punto di vista prettamente economico, all’attenzione del Parlamento italiano nel gennaio 1862.

Il triennio 1916-1919 si presentò cruciale nella produzione e nell’attivismo economico e politico del giudice. Innanzitutto, nell’ottobre del 1916, a seguito di una visita in Sardegna di una piccola commissione sui problemi annonari composta dai deputati Angelo Roth, algherese, allora sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Ubaldo Comandini e, soprattutto, Giuseppe Canepa, sottosegretario all’Agricoltura nel governo Boselli . Fu quest’ultimo a convocare in udienza a Sassari il Lei- Spano, su suggerimento dell’allora presidente del Senato Giuseppe Manfredi. Momento importante in cui il sottosegretario invitò il giudice ploaghese a scrivere un memoriale sulle condizioni economiche della Sardegna ed i rimedi per potervi farvi fronte. Cosa che, peraltro, riuscì subito, con ben duecento pagine dattiloscritte e pronte per la stampa fin dal 1918. La Questione sarda ,però, non fù pubblicata a causa del “carocarta” e, soprattutto, per i nuovi e sopravvenuti impegni pubblici di Lei- Spano.

In primis, per tutto il biennio 1917-1919, quello profuso per la fondazione dell’Associazione Economica Sarda (1917) di cui fù prima anima e presidente. Quest’associazione, che vide subito i “perni” e l’asse fondante nel Nord Sardegna, specialmente fra Sassari ed Ozieri, centro dell’allevamento bovino isolano, si fece da subito promotrice di rappresentare gli interessi dei produttori sardi al cospetto di una inerte classe parlamentare. Significativa la composizione della “cabina di regia”, ossia del Consiglio d’Amministrazione: oltre al presidente Lei- Spano, furono da annoverare il cavaliere al merito del lavoro Maurizio Pintus, l’avvocato Foletti, l’avvocato Leoni e, soprattutto, il dottor Giuseppe Cossiga, padre del futuro Presidente della Repubblica. Ad essi si unirono il grosso allevatore ozierese Luigi Comida Basoli ed il sassarese Sebastiano Brusco, padre dell’omonimo che diventerà affermato economista e docente universitario a Parma. Oltre il vicepresidente, individuato nella persona del prof. Angelo Cossu, apprezzato docente di geografia economica. Apparentemente, l’idea di fondare un’associazione di produttori fu in capo, inizialmente, alla Cassa Agraria di Sassari, ma in realtà, come si vede, i fondatori risultarono essere legati all’ambiente liberaldemocratico turritano: uomini di formazione laica, attenti ai problemi “positivi” dell’economia e, soprattutto, al concetto di “fatto economico” insegnato dal più importante economista sardo del tempo, Giuseppe Todde.

Come già evidenziato, uno dei centri più importanti delle attività dell’Associazione in questo periodo fu la cittadina di Ozieri, capoluogo del Logudoro- Monteacuto ed, allora, maggiore centro dell’allevamento bovino isolano.   Ozieri vedrà varie volte, nel biennio considerato 1917-19, l’intervento di Lei- Spano, in ben quattro, decisive, conferenze.  La prima, in particolare, rientrante nella serie dei convegni istitutivi dell’Associazione, vide il giudice- imprenditore  esporre con passione tutte le principali tematiche economiche sarde di allora: dalla questione   del    surplus di carne bovina esportabile e lavorabile nel carneificio di Alghero, all’idea della creazione di una società di navigazione sarda, già proposta, a suo tempo, da Medardo Riccio, direttore della    Nuova Sardegna , dal deputato sardo crispino Francesco Pais- Serra e da Ottone Baccaredda sindaco di Cagliari.

Gli altri tre convegni, invece, avranno come tematica la politica annonaria e la questione degli olii. Tutti aventi come spunto due rispettive pubblicazioni dattiloscritte che aveva redatto nel novembre 1917 e che furono esposte ad Ozieri nel gennaio 1918, poco prima della “Battaglia dei Tre Monti “(28- 31 gennaio 1918). L’Associazione, che aveva superato i trecento iscritti, si consolidò sempre più nell’isola allo scopo di tutelare i produttori ed i consumatori, puntando sull’esportazione dei formaggi, su nuove misure di requisizione e di calmiere, sulla requisizione della lana a prezzi più bassi. Ma nel frattempo venivano ancora denunciati l’utilizzazione dei prigionieri di guerra austriaci solo per la raccolta del grano ed il disservizio continuo delle Ferrovie reali.

Fino a giungere al convegno del luglio 1918, l’ultimo che vide Lei- Spano attivo protagonista. Ritrovo in cui si fece sentire soprattutto la sua precisa relazione intorno al problema bovino: “La Sardegna”- disse- “aveva esportato negli ultimi sei anni 26150 capi all’anno ed avrebbe potuto darne una quota di eguale consistenza”. Proprio a seguito di questo deciso intervento, il governo optò per l’acquisto di 10 mila capi ovini.

Ozieri non fu solo il “terminale” della sua intensissima attività economica, che con l’Associazione aveva già assunto un connotato molto diverso. Nel 1919 fu, a tutti gli effetti, anche il “terminale politico” della sua sfortunata campagna elettorale. Lei-Spano, dopo aver rassegnato le dimissioni dalla Magistratura fu candidato per lo schieramento giolittiano nella lista “Fascio liberale giovanile” per il collegio di Ozieri, con la città logudorese assurta a vero e proprio centro della sua attività propagandistica ed organizzativa. Tuttavia, nonostante il profondo impegno e l’aver affrontato anche le accuse più calunniose come quella di aver “dimenticato da tempo la sua attività di magistrato per via della sua passione economica”, nonostante il buon successo di voti, dovette arrendersi al trionfo della lista radicale in quello che una volta era stato anche il “feudo” elettorale del crispino Francesco- Pais- Serra.

Dopo la sconfitta elettorale, il periodo successivo di transizione fu dedicato interamente dal ritorno all’attività professionale, galvanizzato ed irrobustito da un secondo, temporaneo e decisivo, momento di studio e di ripresa delle questioni economiche sarde.   E l’occasione gli fu offerta dal già ricordato servizio consulenziale svolto fra il 1920 ed il 1922 presso il Ministero dei Lavori Pubblici guidato allora da Giuseppe Micheli, in cui si dovette occupare di tutte le pratiche inerenti la Sardegna. Occasione, quest’ultima, che servì a Lei- Spano per rimettere mano all’incompiuta Questione sarda, rimasta bloccata al 1918. Ora, però, in virtù del soggiorno romano, poteva uscire nella collana prestigiosa “Biblioteca di scienze sociali” dei torinesi “Bocca”, con la prefazione autorevolissima di Luigi Einaudi. Per l’esattezza il libro fu presentato all’editore nei primi mesi del 1921, con la prefazione datata luglio di quell’anno. La pubblicazione, quindi, apparve nel gennaio 1922, essendoci già una primissima recensione sull’ Unione Sarda, firmata da M. Pasquale Marica, e datata 29 gennaio 1922. Nel mentre Lei- Spano, aveva già “solcato” i mari definitivamente per il suo ultimo “esilio” monzese e milanese.

La Questione sarda troverà, quindi, la luce mentre il giudice verrà trasferito a Monza, fuori dalla Sardegna ed in un mondo totalmente differente da quello descritto qualche anno prima. Cambiano i tempi, ma non l’originalità dei dati e di tutta la documentazione raccolta. L’aspetto decisivo  dell’opera fù, dunque, la quasi contemporaneità ed attendibilità dei dati economici e statistici, nonostante la “drammatica pausa” del primo conflitto mondiale.  “Dati ricostruiti con fatica in un’ “isola ricca di tanta letteratura sui suoi problemi e sui suoi mali, ma poverissima di rilevazioni credibili”, come scrisse lo storico Manlio Brigaglia nella sua postfazione alla riedizione del 1990.

Lei-Spano individuo’ i problemi della Sardegna di allora nell’emigrazione, nella pubblica sicurezza, nel reato onnipresente dell’abigeato, nel mancato sviluppo delle strade e nell’irrisolta e drammatica questione forestale alla quale risulteranno interessati anche imprenditori e mobilieri italiani, in particolare brianzoli

Considerata l’emigrazione come danno in generale (e per la Sardegna fu un danno maggiore), la tesi di Lei Spano fu facilmente documentata in un dato: dal 1911 al 1914, l’ammontare delle rimesse personali di ogni emigrante sardo rimaneva al di sotto delle 700 lire. L’emigrazione sarda, in sostanza, era e fu povera e non incise decisamente nella valutazione delle rimesse.

Ancor più problematica fu la questione legata al reato dell’abigeato, praticamente sconosciuto nelle aree più industriali e sviluppate del Paese, come il Nord Italia, come ebbe a scrivere nella prefazione, sempre Luigi Einaudi. E qui i dati, fino al 1920, furono ancora sconcertanti: su un totale di 6712 uomini condannati in Italia per furto qualificato di bestiame dal 1891 al 1920, ben 3694 spettavano alla sola Sardegna. Nel 1917 si verificarono nell’isola 1232 abigeati per un valore di bestiame rubato di 797.592 lire e 159 danneggiamenti. Nel 1918 il numero degli abigeati fu di 1834 per un valore di 1.517.704 lire. Tale problema si collegava a quello delle strade. Al 1910 esistevano in Sardegna appena 1.874 km di strade provinciali e 1672 di strade comunali contro i 4634 e 2418 della Sicilia, i 13338 e 13185 dell’Italia meridionale, i 13363 e 32728 dell’Italia centrale gli 11462 e 45403 del Nord Italia. Nessuno, prima del Lei- Spano, neppure le due precedenti inchieste sull’isola (quella agraria e quella della commissione parlamentare Pais- Serra) aveva preso in considerazione l’argomento dello stato delle strade in Sardegna, neppure incidentalmente. Senza, peraltro, considerare quanto già denunciato in merito da Giuseppe Sanna Sanna  (Anela,1821- Genova,1874) nelle “Grandi Utopie sulla Sardegna” (1872).

 Ancora più drammatica fu la situazione dell’immenso patrimonio boschivo e forestale, con la Sardegna, da più di un secolo, oggetto, di una progressiva devastazione delle foreste, iniziata dagli industriali piemontesi e continuata, dopo l’Unità, nonostante l’applicazione di una legislazione sui boschi ex-ademprivili, con il fallimento dei progetti di rimboschimento e l’iniziativa privata per niente incoraggiata.  Nel 1920, poi, finiva la sua ragione d’essere, perché riscattato dallo Stato , quell’ente che è stato un po’ il simbolo, controverso, di questo progressivo processo di devastazione forestale, soprattutto perché sostenuto ed alimentato dalle speculazioni di una certa classe imprenditoriale. Si trattava della Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde, costituitasi a Londra nel 1863, con l’unione e la sinergia di un consistente gruppo di investitori inglesi (tra i quali vi erano alcuni membri del Parlamento inglese) e uomini di affari italiani, tra cui l’imprenditore lombardo Gaetano Semenza, rappresentante legale del gruppo.

 Il tutto avvenne con la cessione di oltre 200000 ettari di terreni ademprivili (erano gli antichi e consolidati usi civici), peraltro molto contrastata fino all’applicazione ed entrata in vigore della legge rispettiva, avvenuta con una quarta convenzione nel 1870 e con l’arrivo in Sardegna dell’ingegnere britannico Benjamin Piercy. Lo scopo della costituzione della CRFS era ben delineato nella relazione di Quintino Sella, ministro delle finanze, del 1871: aveva sostenuto che la poca redditività dell’industria mineraria sarda era riconducibile soprattutto all’alta incidenza delle spese di trasporto e che se il treno fosse potuto arrivare ad Iglesias, il costo dei trasporti minerari sarebbe caduto da 15 lire per tonnellata a 4, e forse a 3. 

Infine, altro dato non trascurabile, più volte accennato dallo stesso Einaudi nella prefazione, fu il riferimento all’appena costituito dagli ex reduci, e compagni dei sassarini di stanza a Trieste, Partito Sardo d’Azione. Luigi Einaudi ben spiego’ che si trattava di un’opera come modello di “un nuovo regionalismo”, diverso da quello radicale e separatista che stava prendendo piede in alcune parti d’Italia. Einaudi non lo disse espressamente, ma la sua perorazione sembrava anche riguardare la Sardegna, con una sorta di contrapposizione fra un “regionalismo cattivo”, di cui tendevano a farsi “padroni quegli uomini politici che (…) vivono e prosperano eccitando l’animosità  e il rancore e l’invidia  delle regioni povere contro quelle ricche” ed il regionalismo “buono” di Lei -Spano, attento a studiare le specificità locali, a farle conoscere agli altri italiani, a proporre dei rimedi concreti. Nel libro di Lei Spano, in realtà, si fronteggiarono, da subito, due posizioni classiche della storia della questione sarda: da una parte il lungo e già delineato elenco delle “doléances” e, dall’altra, la consapevolezza dei difetti della classe dirigente economica e politica e la convinzione che un’appropriata legislazione avrebbe potuto far fare quei passi indifferibili verso il progresso.  Una legislazione specifica, non “speciale”, come era stato, con connotazioni negative, l’insieme delle disposizioni legislative applicate per l’isola nel 1897 e nel 1907. Per questo il magistrato ploaghese, nel maggio 1923, a neanche un anno dalla “Marcia su Roma”, indirizzerà a Mussolini, prima del suo viaggio da Capo del Governo in Sardegna, una lettera aperta, pubblicata sulle colonne del “Popolo d’Italia”, firmandosi ancora come “presidente dell’Associazione Economica Sarda”, da lui fondata il 23 settembre 1917. Dopo aver sintetizzato alcune delle “doleances” storiche del rivendicazionismo isolano, l’autore passo’ subito alle sue proposte concrete. Queste risposte, scrisse, gli erano state suggerite dall’attenzione con cui la “Milano intellettuale ed industriale”, in cui egli viveva, aveva seguito, qualche giorno prima, al “Circolo Filologico” la “magica parola” e le “stupende proiezioni” con cui l’ing. Omodeo aveva illustrato il programma idrico ed elettrico che la Società del Tirso, fondata da lui, stava realizzando in Sardegna. Intorno a quelle parole del famoso ingegnere, Lei Spano sostenne di avervi visto “aleggiare” lo spirito di Carlo Cattaneo. La proposta del magistrato storico-economico, infatti, riprendeva l’antico progetto del grande lombardo: un prestito nazionale ad interesse garantito dallo Stato, per investire in Sardegna un miliardo in dieci anni. Di là ad alcuni anni Lei- Spano poté scrivere, non senza qualche ragione, di avere suggerito lui a Mussolini  il contenuto del Regio Decreto Legge 6 novembre 1924 n° 1931, poi chiamato “legge del miliardo”. Nello specifico si trattava di redimere un immane latifondo fra breve “fruttuosissimo” e d’istituire due porti franchi a Cagliari ed a Porto Torres. La “Questione Sarda”, per concludere quest’aspetto, cadeva in un momento del dibattito politico- economico in Sardegna che avrebbe dovuto offrire maggiore risonanza al testo. Umberto Cardìa, in una scheda che offriva la più lucida lettura del libro di Lei Spano, scrisse che, in effetti, “molti temi della polemica condotta dall’autore coincisero largamente con quelli svolti dalla componente salveminiana e liberista del Partito Sardo d’Azione”. Differente, però, l’atteggiamento sul terreno politico- istituzionale. I sardisti erano regionalisti ed autonomisti, con punte di eversivismo antistatuale ed indipendentismo. Il Lei- Spano, invece, continuò a sperare nelle virtù del sapere e della ragione ed a credere che lo Stato potesse, finalmente, rinsavire. “Il fascismo, però”- chioso’  Cardìa- “si incaricò di spezzare ogni residua speranza”.

N. B. : Una ricorrenza, anche questa (l’ennesima) “sfuggita” ai taccuini ed ai diari dell’emigrazione sarda organizzata, non però a quelli del Circolo Culturale Sardegna di Monza che ha già in programma di ricordare Lei-Spano e la “Questione Sarda” con un apposito convegno nel 2023.

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Un commento

  1. Adriana Valenti Sabouret

    Articolo interessante: non conoscevo questo “piccolo Angioy”.
    Grazie!

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