XVII RAPPORTO CARITAS IN SARDEGNA: L’INCREMENTO DELLA POVERTA’  FRA DISAGI E RASSEGNAZIONE

di RAFFAELE CALLIA

Se a livello nazionale nel 2021 la povertà relativa è aumentata di un punto percentuale, con incrementi in tutte le aree del Paese, ma con una crescita significativa nel Mezzogiorno, nell’Isola il dato è anche peggiore.

Nel corso del 2021 i Centri di ascolto Caritas della Sardegna, distribuiti nei 39 Comuni coinvolti nell’indagine, hanno ascoltato – una o più volte – 9.540 persone portatrici di uno o più disagi a livello personale e familiare. “Il che farebbe moltiplicare tale indicatore a cifre ben più elevate”. Considerando la serie storica riguardante i dati dei Centri di ascolto delle Caritas della Sardegna, il numero di 9.540 persone costituisce un dato che appare in diminuzione rispetto al 2020 (10.125 persone). Il decremento tra il 2020 e il 2021 è stato di 585 unità, pari a -5,7%.

Tale diminuzione per lo più si spiega con la rimodulazione (e in alcuni casi con la cessazione) di alcuni servizi attivati in modo estemporaneo a causa dell’insorgere della pandemia, in particolare gli interventi di assistenza immediata divenuti necessari e urgenti a causa dell’emergenza sanitaria.

Anche nel 2021, a differenza del dato nazionale, ai Centri di ascolto si sono rivolti in maggioranza cittadini italiani (76,1% in Sardegna e 45,0% a livello nazionale). Di questi, una quota pari a oltre due quinti è transitata presso i Centri di ascolto della diocesi di Cagliari (46,7%), la quale assorbe la porzione più consistente della popolazione residente nelle diocesi sarde (33,6%) e nella quale si registra la più elevata densità abitativa (138,6 abitanti per chilometro quadrato).

Dopo la pandemia si è riequilibrato il rapporto di genere. Lo scorso anno sembrerebbe essersi ripristinato lo scenario precedente all’avvento dell’emergenza sanitaria, caratterizzato da un sostanziale equilibrio fra i due generi. Nel corso del 2021, infatti, la componente femminile, col 49,6% delle persone transitate nei Centri di ascolto delle Caritas della Sardegna, come negli anni precedenti è tornata a incidere sostanzialmente nella stessa misura di quella maschile. Quasi una persona su due è un quarantenne o un cinquantenne.

Anche i dati del 2021 confermano quanto rilevato negli anni precedenti, ovverosia che alle classi dei quarantenni e dei cinquantenni è associato il maggior numero di persone ascoltate: quasi una persona su due, infatti, ha un’età compresa nella classe d’età dei quarantenni o dei cinquantenni. La classe modale è costituita dai 45- 49enni, mentre l’età media è di 48 anni (46 a livello nazionale). Sono per lo più le persone coniugate (in particolare le donne) a chiedere aiuto. Le due componenti quantitativamente più rilevanti, per quanto concerne lo stato civile, sono costituite rispettivamente dai coniugati, con un dato pari al 37,2% (in diminuzione rispetto all’anno precedente di 3 punti percentuali).

Per il ruolo tradizionalmente rivestito in seno al nucleo familiare di appartenenza, le donne si fanno sovente testimoni e allo stesso tempo portatrici di situazioni di fragilità che riguardano altri componenti della famiglia e, non di rado, l’intero nucleo. Chi chiede aiuto alla Caritas vive per lo più in famiglia. La maggior parte delle persone ascoltate nel 2021 vive con propri familiari o parenti; si tratta di una quota pari al 64,0%. Si conferma una situazione di vulnerabilità vissuta in ambito prevalentemente familiare, in particolare a carico delle donne (le quali assorbono circa tre quinti dei casi di persone ascoltate che vivono in nuclei familiari: 60,9%). La condizione alloggiativa di chi chiede aiuto alla Caritas.

La maggior parte delle persone ascoltate nel corso del 2021 vive in un domicilio proprio (una quota pari al 78,6% del totale). Nondimeno, non sono poche le persone che hanno dichiarato di trovarsi senza un domicilio stabile o in una situazione di estrema precarietà abitativa (una quota pari al 5,3% delle persone ascoltate). Le persone con un titolo di studio medio-basso sono più esposte al disagio sociale. I dati dei Centri di ascolto pongono in evidenza l’esistenza di una strettissima correlazione fra un livello non sufficiente di scolarizzazione e una maggiore esposizione ai fenomeni di vulnerabilità sociale. Un dato confermato anche dalla ricerca sulla trasmissione della povertà intergenerazionale contenuta nel Rapporto di quest’anno.

Sostenere gli studenti e le loro famiglie nel contrasto della dispersione scolastica, sia implicita che esplicita, significa infatti adottare delle misure preventive per evitare una possibile caduta in situazioni di particolare fragilità sociale. Circa quattro quinti delle persone rivoltesi ai Centri di ascolto nel 2021, una quota pari all’80,3%, possiede un livello di istruzione basso o medio-basso. Nello specifico, oltre la metà delle persone che hanno chiesto aiuto alla Caritas (52,0%) ha dichiarato di possedere la sola licenza media inferiore. Il lavoro che non c’è o che è precario è alla base delle cause prevalenti di disagio. Anche nel corso del 2021, la maggior parte delle persone ascoltate ha dichiarato di trovarsi in una condizione di disoccupazione (51,2%), vale a dire alla ricerca di una nuova occupazione a seguito di licenziamento o di conclusione contrattuale di un rapporto di collaborazione o di lavoro subordinato a tempo determinato (disoccupati in senso stretto) o alla ricerca della prima esperienza lavorativa (inoccupati). Le persone disoccupate sono soprattutto uomini (56,3%), con un’età media di 46 anni.

Confermando la tendenza degli anni scorsi, anche per il 2021 i dati pongono in luce una preponderanza di richieste di beni e/o servizi materiali (74,8%), registrando un calo assai rilevante rispetto al 2020 (di ben 7,1 punti percentuali), anno in cui – a causa dell’emergenza sanitaria e dei relativi confinamenti – sono aumentate in modo considerevole le domande di questo tipo. Le richieste di beni riguardano in particolare i pasti serviti tramite le mense, i viveri confezionati (oltre ai buoni pasto) e i prodotti alimentari conferiti tramite gli “Empori della Solidarietà” e a domicilio; ma anche i prodotti per i neonati, del materiale sanitario, i biglietti per il trasporto pubblico, i prodotti per l’igiene personale e domestica, attrezzatura e mobilio per la casa. Seguono a distanza le richieste di sussidi economici (18,1%), le quali sono cresciute proporzionalmente rispetto al 2020 e anche all’anno precedente all’esordio della pandemia.

A fronte delle 41.052 registrazioni di richieste d’aiuto, nel corso del 2021 gli operatori dei Centri di ascolto hanno rilevato 57.084 registrazioni di intervento. Oltre all’ascolto semplice o con discernimento e progetto delle persone in difficoltà, il tipo di intervento posto in essere più frequentemente dagli operatori dei Centri di ascolto è la fornitura di beni e servizi materiali (79,9%). Nonostante nel corso del 2021 la situazione sia migliorata rispetto all’anno precedente (caratterizzato dall’avvento della pandemia), la micro-voce prevalente – nell’ambito della fornitura dei beni e/o servizi materiali – ha continuato ad essere la “distribuzione di pacchi viveri”, con un’accresciuta incidenza percentuale sulla totalità degli interventi (47,7%) rispetto al 2020. I sussidi economici, seconda voce tra le più frequenti (14,1%), fanno riferimento per lo più ad erogazioni monetarie volte a sostenere il pagamento di bollette e tasse, affitti o spese comunque connesse all’abitazione, alimentari, spese sanitarie, spese per pratiche burocratiche, spese di trasporto, spese scolastiche e bancarie.

Il titolo “Di padre in figlio”, scelto per il focus proposto nel Rapporto di quest’anno, vuole porre in evidenza il rischio per nulla remoto che oltre ad ereditare il patrimonio genetico i poveri, in quanto tali, possano ricevere in lascito anche la condizione di fragilità economica, sociale e culturale della propria famiglia di origine, con un esito di immutata mobilità o perfino di mobilità sociale discendente nel passaggio alla generazione successiva. In altri termini: in un’epoca di scarsa mobilità sociale, come quella attuale, essere figli di genitori poveri accresce la probabilità di rimanere poveri e di divenire in seguito genitori di figli poveri, dando vita a una vera e propria trasmissione intergenerazionale della povertà. La ricerca ha approfondito tale tema mediante un disegno di ricerca condiviso a livello nazionale e un conseguente studio condotto simultaneamente tra marzo e luglio del 2022 sia a livello nazionale sia a livello locale, con il coinvolgimento di alcune Caritas diocesane della Sardegna.

La ricerca ha previsto una preliminare indagine di tipo standard, attraverso una particolare elaborazione dei dati statistici raccolti dai Centri di ascolto, e una successiva non standard, tramite l’adozione di due strumenti di approfondimento qualitativo: le interviste in profondità a beneficiari e a operatori Caritas e i focus group allargati a testimoni privilegiati. Dei principali fattori che favoriscono la mobilità sociale l’indagine ne ha preso in esame tre: il titolo di studio, la condizione e la classe occupazionale, la condizione economica.

Questi gli esiti principali: 1) L’indagine conferma uno stretto vincolo tra il basso livello di istruzione dei genitori e il basso titolo di studio conseguito dai figli (beneficiari Caritas); 2) nel passaggio dalla generazione dei genitori a quella dei figli (beneficiari Caritas) si registra una mobilità ascendente piuttosto contenuta nel titolo di studio (dalla licenza elementare a quella della scuola media inferiore); 3) il confronto tra la classe (e la condizione) occupazionale dei genitori e quella dei figli (beneficiari Caritas) registra una mobilità discendente; 4) Il confronto tra la condizione economica dei genitori e quella dei figli (beneficiari Caritas) registra una mobilità discendente. Se si prendono complessivamente in esame i dati prodotti dall’indagine, i casi di povertà ereditaria nel circuito Caritas pesano per il 59,5%, una percentuale in linea con il dato nazionale, pari al 59,0%. In altri termini, in 6 casi su 10 i beneficiari dei Centri di ascolto Caritas intervistati in Sardegna dichiarano una condizione di precarietà socio-economica in continuità con il proprio nucleo familiare di origine. La ricerca rende evidente la necessità di ripartire dalla ri-costruzione delle reti relazionali delle persone e ancor di più delle famiglie, adottando possibilmente degli approcci sistemici (ecologicosociali), secondo cui ogni membro del nucleo familiare (e non solo la persona sostenuta direttamente dai servizi) diviene protagonista del cambiamento delle condizioni e dello stile di vita della propria famiglia, in una cura reciproca tra persone che condividono una comune esperienza.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *