L’ISOLA DELLA MANCATA GIOVINEZZA – IL RACCONTO (TRA PANDEMIA E GUERRA, SFUGGIRE I MALESSERI DEL MONDO, RIFUGIANDOSI IN SARDEGNA)

di SARA MIZZANU

Alla fine del terzo millennio, e a seguito di come gli esseri umani avevano scelto di vivere la propria esistenza, la situazione demografica era drammaticamente cambiata.

Il calo delle nascite, già presente prima della grande pandemia Covid degli anni ’20, si era ulteriormente aggravato e decadeva sempre più. Le economie devastate dal virus e dalle politiche spesso errate dei vari governi internazionali, avevano scoraggiato le coppie ad avere altri figli, dato che la sussistenza era diventata sempre più difficile già per quelli esistenti e, in molti casi, per gli stessi genitori. Quando, apparentemente finita l’emergenza pandemica, ci si era illusi di poter finalmente tornare alla normalità, ci si era invece ritrovati nel mezzo dell’emergenza politica data dall’azione militare della Russia in Ucraina, esito finale dell’espansionismo atlantico. Alla progressiva intensificazione di sforzi bellici da parte di gran parte dell’Europa, e in generale dell’alleanza occidentale, era corrisposta una progressiva cecità dei governi e dei popoli. La maggior parte di essi, non vedevano più la necessità della Pace ma solo l’urgenza della guerra, giustificandola e mistificandola col terrore del nemico invasore. Per rinfarcire i propri patrimoni, molti governanti avevano puntato sull’unica industria che da sempre è stata contro natura, quella bellica. Ai politici e ai cosiddetti “potenti” della terra non importava più il bene comune e i disperati appelli dei pochi uomini giusti e saggi non erano stati ascoltati, se non da una minoranza della popolazione mondiale.

E così, si era continuato a sopravvivere e morire, in un clima mortifero. Ai potenti non interessavano altro che le proprie inestimabili ricchezze e continuavano ad accumularle come faraoni di epoca moderna. Avevano sempre più aumentato il turismo spaziale e, pian piano, erano riusciti, a costo di molte perdite umane, a reinventare le proprie vite su stazioni spaziali appositamente costruite. Erano di dimensioni inimmaginabili: all’interno di esse, era stato ricreato un mondo a misura di oligarchi, privo di miseria e classi operaie che si lamentavano per le condizioni di lavoro sempre più carenti, giacché i dissidenti venivano immediatamente eliminati. Lì, i “potenti” mangiavano, bevevano, sperperavano senza freni e condanna alcuna, irraggiungibili dalla giustizia. Ma soprattutto, continuavano a decidere, a sicura distanza, delle sorti del mondo, o di quel che restava, e a inquinarlo e sfruttarlo fino all’ultima risorsa disponibile. Le guerre si erano sempre più moltiplicate e avevano mietuto un vertiginoso numero di vittime, al punto da ridurre la popolazione mondiale di tre quarti nel giro di 700 anni.

Gli esseri umani sopravvissuti, perfino i pochi fortunati delle terre rimaste in pace, avevano così, nel tempo, rinunciato a far nascere nuovi bambini, preferendo crescere al meglio quelli esistenti e rassegnandosi all’idea che perdurava da secoli: l’essere umano era indegno della vita e della meravigliosa Terra che gli era stata donata, e meritava perciò l’estinzione. Se un giorno l’uomo fosse riapparso sulla Terra, forse sarebbe stato un essere evoluto, più saggio, forse avrebbe mostrato più gratitudine verso un pianeta che aveva tanto da offrire e in cambio aveva sempre chiesto solo rispetto.

Fu così, che un folto gruppo di persone di diverse nazionalità, con serena rassegnazione, si era ritirato a terminare la propria esistenza nella bellissima isola della Sardegna. Terra di centenari, da secoli era stata oggetto di studio da parte di professionisti di tutto il mondo: biologi, medici, naturalisti e scienziati, ma anche giornalisti, scrittori, artisti che rappresentavano la vita dei sardi e provavano a descriverne le abitudini. Ma il segreto dei sardi, aveva a sua volta un segreto: ognuno di essi ne era insieme custode e portatore ma inconsapevole, come quelle saggezze innate che ci consentono di comportarci nel modo più adatto ad ogni situazione ma senza saper spiegare il perchè. Perciò gli studi non giungevano mai alla scoperta definitiva: una sorta di punizione della natura per chi invece per secoli aveva occultato le scoperte della scienza in fatto di tumori ed altre malattie gravi, all’unico scopo di favorire l’immorale arricchimento dell’industria farmaceutica.

I governanti sardi, nel tempo, in contro tendenza con le politiche internazionali, avevano invertito la rotta, abbandonando l’ambizione politica, la corruzione, e attuando sempre più le scelte migliori per la sopravvivenza dei propri abitanti. Avevano favorito lo sfruttamento delle risorse naturali in maniera sostenibile, avevano incentivato la popolazione a divulgare e tramandare la medicina naturale, avevano diffuso il rispetto per le antiche tradizioni e le popolazioni, sia indigena che straniera, traendone sempre maggiori benefici, a vantaggio di tutti.

Per contrastare la solitudine e prevenire, o meglio, intervenire sui problemi di salute dati dalla tarda età, non si viveva più ognuno in casa propria ma in grandi hotel organizzati come residenze sul Mare, sui laghi, sui fiumi, immersi in una natura che, libera dal tormento del consumo di suolo,  era diventata sempre più rigogliosa. Memori di come il confinamento da Covid aveva permesso alla natura di riprendersi gli spazi occupati dall’uomo, i sardi si erano affidati alla capacità della terra di auto aggiustarsi. Ma stavolta le si erano adattati e non avevano preteso invece che fosse la natura ad adattarsi all’uomo.

Sara Mizzanu

Il principale golfo, in cui si erano condensate le popolazioni rimaste, sorgeva tra due promontori con scogliere a falesie. Si insinuava per circa 6 chilometri ed era largo 2,5 chilometri. Il Mare raggiungeva alte profondità già a 50 metri dalla costa ed erano stati attrezzati dei piccoli pontili per le imbarcazioni a vela o a energia solare dedicate alla pesca ed alle attività sportive. Gli hotel erano organizzati come dei residence, con piccole casette basse, insonorizzate e coibentate, sparse tra la vegetazione e immerse nel verde, ma tutte collegate telefonicamente. Proprio come negli hotel, la vita scorreva tranquilla e all’insegna dell’essenziale: lontani dai rumori del traffico, i pochi mezzi presenti erano elettrici. Si svolgevano attività rilassanti ma anche vari tipi di sport, il più possibile all’aria aperta, visto il clima mite dell’isola. Si allevavano animali e si coltivavano i campi con mezzi tecnologicamente avanzati per minimizzare la fatica degli agricoltori e ottimizzare la  produzione anche nei periodi di eventuale siccità.

Nelle stanze dei residence, nessun soprammobile, pochi vestiti, arredamenti indispensabili e funzionali, tantissime fotografie. Le tivù erano state programmate per consentire la visione di concerti, documentari naturali, sportivi, storici, film, ad esclusione di quelli violenti e a sfondo bellico, volgare o violento. Nessun telegiornale o talk-show. Si suonava molta musica tradizionale dell’isola ma anche delle varie culture straniere presenti. Si disponeva di una biblioteca che era diventata ricchissima di testi antichi e moderni, multilingue e multidisciplinari. E poi, grandi sale per giochi da tavolo e dedicarsi a passatempi vari.

Tutti i residence e le attività a disposizione dei loro abitanti erano organizzati ed attrezzati soprattutto in considerazione delle possibili disabilità. Le attività di manutenzione, pulizia, cucina, erano svolte a rotazione da chi sentiva particolare predisposizione per esse. I prodotti per l’igiene e la pulizia erano prodotti secondo ricette antiche e nel pieno rispetto dell’ecologia. Ognuno contribuiva al benessere comune, sulla base delle proprie capacità, sia che queste fossero maturate attraverso formazione professionale o meno. L’isola era il risultato del contributo personale di ciascuno dei suoi abitanti. Era maturata così una grande tolleranza e la comprensione per i reciproci errori.

Sull’isola, erano presenti persone di varie fasce d’età, mediamente dai 50 anni in su. Benchè si fantasticasse spesso di come sarebbe continuata la vita con i bambini, se ne sentiva il ricordo affettuoso e la mancanza, ma senza amarezza. Ognuno dei presenti aveva avuto una diversa ragione per non riprodursi ma la determinazione era la stessa per tutti, così come la certezza di aver compiuto la scelta migliore. Nell’isola della mancata giovinezza, si onorava la vita ma regnava il profondo rispetto per il silenzio. Ogni ricorrenza, compleanni, riti religiosi o meno venivano festeggiati e onorati, anche con canti, balli, fuochi d’artificio. Ma la necessità di rispetto della reciproca riservatezza, aveva reso il silenzio l’abitante sovrano dell’isola. E l’isola, ripagava i suoi abitanti col suo suono più puro e delizioso fatto dal canto degli uccelli, l’incessante rumore del Mare, a volte il vento, a volte le piogge, i versi degli animali domestici e selvaggi.

La vita scorreva serena, senza nessuna tristezza data dalla rassegnazione, come se gli abitanti di quell’isola sperassero di rinascere in un’altra dimensione. Molti di loro, erano effettivamente rinati nel momento stesso in cui avevano messo piede in quell’isola: il profumo della macchia mediterranea, i colori del Mare che offrivano infinite sfumature dal blu al verde cambiando sorprendentemente ogni sette minuti, le musiche, i balli, i cibi genuini, il calore e il profumo del sole sulla pelle. Sembrava già un paradiso. Quando qualcuno giungeva al termine dei giorni, veniva celebrato un silenzioso rito sull’acqua e la salma veniva data alle fiamme. Il fumo al cielo, in segno di ringraziamento, le ceneri in Mare per favorire la memoria. In questa duplice dispersione umana nella dimensione naturale, gli uomini vedevano la speranza che la vita potesse rigenerarsi, un giorno, secondo il saggio volere della natura, e non secondo l’arroganza dell’uomo.

Ma un giorno, al crepuscolo, proprio in quello strano momento  della giornata in cui ogni abitante dell’isola, per un attimo, si perdeva silenziosamente nei ricordi e nei suoi “e se invece…”, e restava assorto davanti a quella luce blu che, in assenza di memoria o di orologi, non permette di discernere l’alba dal tramonto, in quell’estraniante momento in cui ritornava la domanda: “arriverà il giorno o la notte?” , accadde qualcosa di inaspettato.

Una luce si stagliò sulla linea dell’orizzonte, tra il blu intenso e pulito del cielo e il blu profondo del Mare, calmo e piatto come uno specchio. La luce sembrava diventare sempre più grande, così furono subito interpellati gli uomini di Mare presenti nell’isola, chiamati ovviamente “i lupi”. Erano vari uomini e donne che per lunghi anni avevano prestato servizio nella Marina Militare e in quella mercantile. Non ci volle loro molto tempo per riconoscere che la luce altro non era che una grande nave da crociera e, data la posizione dei fanali di navigazione, capirono anche che faceva rotta proprio verso di loro. Ma perchè? Il golfo non riceveva mai navi simili, pur disponendo di un porto attrezzato, anche se solo per casi di emergenza, e fino a quel giorno, non era mai capitato di dover accogliere una simile imbarcazione. Ma non c’era tempo da perdere, perchè la nave avanzava velocemente. I lupi di Mare, dalla stazione radio, cominciarono a tentare i contatti con la grande nave, ma nessuno rispondeva. Considerarono allora che quel tipo di navi ha una velocità di crociera media di circa 18 nodi e che, trovandosi a circa 3/4 miglia dalla riva, sarebbero bastati pochi minuti per giungere al pontile: per garantire la sicurezza a terra, ordinarono pertanto, tramite appositi segnali, l’immediata evacuazione dalla riva e dai pontili di chiunque fosse lì. Contestualmente, alcuni rimorchiatori erano partiti a gran velocità alla volta della grande nave, continuando a tentare il contatto radio, parallelamente alla sofisticatissima tecnologia Iside. Si resero presto conto che la nave da crociera doveva essere in avaria perchè, fortunatamente, procedeva ad una velocità di 7/8 nodi, molto inferiore perciò di quella presunta, concedendo così qualche minuto di vantaggio sulle eventuali azioni da intraprendere. Intanto, da terra, l’ansia aumentava: chi sarà mai? verranno a turbare la nostra quiete? o verranno in pace? forse hanno avuto un guasto ed hanno solo bisogno di temporanea assistenza?

Quando finalmente la radio rispose, i lupi di Mare restarono molto sorpresi della risposta al di là del cavo: una strana voce infantile, priva di qualunque linguaggio tecnico, non fornì l’identità della nave ma spiegò loro sinteticamente che non riuscivano più a governare e che necessitavano di soccorsi. Giunti abbastanza vicino alla grande imbarcazione – circa 200 metri di lunghezza, per 30 di larghezza -, i rimorchiatori si accostarono con cautela ma i loro piloti restarono grandemente sorpresi. E ben presto, il loro stupore, contagiò tutti gli abitanti dell’isola perchè, quando a terra arrivò via radio la conferma di buona riuscita delle operazioni di rimorchio, si diffuse la notizia che la nave da crociera era un grande orfanotrofio/scuola galleggiante. In quegli anni, ne erano stati creati tanti da diverse associazioni benefiche internazionali, ritenendo che il Mare fosse diventato più sicuro delle terre, le quali erano invece sempre più oggetto di nuovi disegni geopolitici. Le navi orfanotrofio/scuola venivano rifornite in navigazione sia dei loro piccoli preziosi ospiti, i quali potevano essere di qualunque nazionalità e cultura, sia di carburanti, cibo e ogni altra necessità. Navigavano prevalentemente in acque tranquille ma sempre a distanza di sicurezza dai pericoli della terra ferma. Nessun problema di adattamento per i bambini ospiti, dato che molti di loro erano lì fin dalla tenera età e a bordo avevano ogni genere di distrazione. Al quattordicesimo anno di età, potevano scegliere se completare l’addestramento marittimo per diventare a loro volta membri dell’equipaggio, oppure trascorrere il tempo fino alla maggiore età in navi scuola intermedie che li avrebbero formati per la vita terrena. A bordo, ogni tipo di attività ludica e formativa immaginabile dava sfogo a tutto l’entusiasmo dei piccoli ospiti e perciò vivevano il più a lungo possibile ignari dai brutti pensieri. Si trattava di navi facilmente riconoscibili di giorno perchè completamente dipinte di Rosso Natale, colore che per convenzione internazionale segnalava la presenza di bambini consentendo loro di salvarsi dai bombardamenti. Ma a volte la natura è crudele, così alcune erano affondate in seguito a maremoti e tempeste. Nella fattispecie, gli isolani scoprirono che quella nave orfanotrofio/scuola era l’unica superstite in occidente e furono molto sorpresi perchè era stata data per dispersa già da molti mesi. Invece si ritrovarono con 1.200 bambini di varie età, dai 2 ai 14 anni. Tutto l’equipaggio della nave era perito per una strana epidemia che aveva colpito solo i maschi adulti, così, oltre ai bambini, erano rimaste a bordo solo le educatrici, circa una cinquantina di donne laiche che avevano abbandonato la terra ferma per dedicarsi a quella missione. Le più anziane, erano assistite dalle colleghe più giovani ma anche dai bambini più grandi; proprio su insegnamento delle maestre, di solito i bambini più grandi si occupavano dei più piccoli, ed ora, a quei ragazzini, era sembrato normale prendersi cura delle maestre che, come delle vere madri, avevano dedicato ogni giorno della loro vita ad accudirli e istruirli. Alcuni di loro, perciò, fantasticavano di diventare un giorno medico, o maestro, oppure comandanti di grandi navi, in onore agli uomini dell’equipaggio che nei momenti di riposo dalla grande responsabilità che gravava sulle loro spalle, trovavano il tempo di giocare coi bambini. Ma ora, la nave necessitava di lavori per il recupero dei motori in avaria, le educatrici avevano bisogno di conforto e cure, e i bambini, estremamente incuriositi dalla novità dell’isola, fremevano dalla voglia di scendere.

Gli abitanti dell’isola non conoscevano più la giovinezza: era rimasta nei loro ricordi e nelle fotografie che conservavano, la osservavano teneramente nella natura animale e vegetale presente nell’isola, ma niente di più. Ed anche quegli orfani, in un certo senso, non conoscevano la giovinezza, perchè le vicissitudini avevano negato loro la dimensione più serena e spensierata della famiglia…cosa sarebbe accaduto?

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3 commenti

  1. Maria Teresa Putzu

    Utopistico e realistico insieme, frutto di una grande sensibilità. Situazioni reali che vengono raccontate come in un libro di storia ma immaginando un futuro migliore.
    Complimenti vivissimi anche per l’esposizione e la ricchezza del linguaggio.

  2. In effetti la “novella” che l’autrice ci chiede di commentare sta a metà fra la fiaba e la favola. L’ingenuità puramente bambina che la sostanzia è infatti quella delle fiabe classiche, soprattutto nella deliziosamente sfrontata spiegazione che ci dà degli eventi e delle situazioni che servono a costruire la storia.
    Una narrazione sempre quasi stupita si muove in atmosfere rarefatte nelle quali anche i dettagli più realistici finiscono per sfumare in chiarori indefiniti. La prosa, inizialmente un po’ contratta diventa progressivamente più fluida: la bambina narrante prende via via coraggio. (…)
    Il suo è un ottimismo rinascente, irriducibile al peggio. Che fa ben sperare.
    Ecco poi, che sul finire della storia, arriva -a scompaginare tutto, ad aprire ancora nuovi orizzonti, al plurale- l’«ospite inquietante».

  3. Un racconto piacevole, tra fantasia e realtà, in attesa di una tua pubblicazione ti invio tanti auguri e complimenti . Gianni Loi della Libreria Duomo di Iglesias.

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