ARRIVEDERCI, PROFESSORE! CARLO DEMARTIS E LA QUESTIONE DELLA LINGUA, BIVIO CULTURALE E SOCIALE ESISTENZIALE

Carlo Demartis

di MATTEO PORRU

Arrivederci, professore. Se lo sente dire da più di trent’anni, Carlo Demartis. E da più di trent’anni, fra classico e scientifico, in aula o in presidenza, vede crescere tanti ragazzi di Alghero e di Tempio Pausania. Del suo lavoro gli piace tutto: insegnare, capire gli studenti, trasmettere passione, avere intorno le vite degli altri, farne tesoro, notarle tutte. E fa tutto questo con la delicatezza che ci si aspetta da un uomo discreto, riservato ma mai assente. E che le vite degli altri le ama molto. Anche quando le lascia andare.

In tutti i sensi e in tutti i ruoli ricoperti in una vita: da studente di lettere classiche a Cagliari; da giornalista per La Nuova Sardegna; da assessore alla cultura della sua Alghero quando ad Alghero c’era Carlo Sechi e con lui aveva iniziato un lungo percorso di valorizzazione della lingua locale; da presidente di giuria, e poi da concorrente, del Premio di poesia “Rafael Sari”.
Ma soprattutto da poeta.

Carlo compone da anni e compone bene, benissimo. Scrive in quel catalano algherese che difende e usa in tutto il suo potenziale. La cosa bella del mondo del Demartis è la morbidezza. Quella dei colori dell’inverno e del ciclo della vita in “Gana d’hivern”, o della forza semplice della natura in “Tu me dius”, un tema ricorrente nella sua produzione. Nel 2008 esce il suo libro di poesie, “Parlant amb un arbre de oliva”, in cui tutte le liriche hanno a fronte una traduzione, stupenda anche quella, in italiano. È una raccolta che è un crocevia dei tanti pezzi, dei tanti ricordi e dei tanti luoghi dell’esistenza dell’autore, la sua città su tutti. Un’opera dove le emozioni non si provano, si attraversano.

La questione della lingua è alla base della vita culturale e sociale del Demartis. Cerca di portarla in auge in tutte le occasioni e ci riesce sempre con metodo, dialettica e costanza. Chiamano lui come esperto della letteratura algherese e lo fanno anche e soprattutto nei paesi catalani. Perchè Carlo è lucido, vero, analitico e, soprattutto, coinvolto. Nella mente e nel cuore.

Bastano tre mesi per strappargli la vita di dosso, nel 2015, a sessantotto anni. Lascia una città che non lo dimentica e generazioni di studenti che l’hanno amato e ascoltato per anni. Che da lui hanno imparato la delicatezza, la discrezione. E come amare le vite degli altri.

Anche quando le si lascia andare.

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