CON I GIOVANI F.A.S.I. A MILANO PER IL PROGETTO “DISCOVERING SARDINIA”: L’ISOLA E LE SUE RICCHEZZE ARCHEOLOGICHE, ARTISTICHE E AGROALIMENTARI

da sinistra: Serafina Mascia, Mattia Lilliu, Giuseppe Tiana
di SERGIO PORTAS

Ho un sogno sardo, per forza di cose più modesto di quello che al pastore King faceva prefigurare la fine della discriminazione razziale negli USA (con l’ attuale presidenza di The Donald rimandata per altro di altri cinquant’anni): che la Regione Sardegna, intesa come istituzione, si renda finalmente conto quanto la FASI (federazione associazioni sarde italiane, qualcosa come 70 circoli affiliati) può significare, in termini di marketing gratuito, per la divulgazione della specificità isolana (storia, lingua, tradizioni, cultura, ambiente, bellezze naturalistiche e monumentali, enologia, musica ecc. ecc.) tra i nostri connazionali e non solo. Un colpo è stato battuto col progetto “Discovering Sardinia”: “Scoprire la Sardegna”: le quattro provincie storiche sarde con le loro tipicità, da nord a sud, la prima a Firenze, poi a Torino, Bologna e buona ultima Milano a cui è toccata Cagliari e il sud isolano, col coordinamento dei giovani FASI. Quelli che ben si sanno districare tra “social network” e “siti web” per trasmettere i contenuti, usando trasmissioni “via streaming” sulla piattaforma “Facebook” e/o sul canale “You Tube” dedicato, e interloquire con coloro che vorranno intervenire “in live” per mezzo dell’hashtag #discoveringsardinia. A presenziare, al “co-working space” (1500 metri quadri tra uffici e saloni di rappresentanza che si possono affittare “a tempo”) di via Copernico in Milano, insieme a Mattia Lilliu coordinatore dei “giovani” c’era anche Serafina Maxia, presidentessa FASI dei sardi tutti: giovani e vecchi. A lei è toccato aprire sul progetto che mira a far conoscere cosa si muova di nuovo nell’isola nostra, con l’auspicio rituale che i giovani “sardi di fuori”, una volta acquisite specializzazioni spendibili, possano ritornare a casa con progetti da tradursi in posti di lavoro stabili. A seguire una serie di esperti che avevano a disposizione 50 minuti a testa per le tematiche da esporre, una vera e propria maratona sarda che non poteva che partire da Cagliari dove, a parere di Francesca Concas che è docente di storia dell’arte, sono i musei più importanti della Sardegna. In primis l’Archeologico, con la collezione di bronzetti che da sola vale il biglietto d’ingresso, guerrieri e sacerdoti, donne e uomini, in lega di rame e stagno a raccontare cosa è stata l’età d’oro dei sardi-nuragici. E ora sono arrivati anche parte delle mega-statue, i cosiddetti giganti, provenienti dal Mont ‘e Prama  del Sinis. Ma anche il “Giovanni Patroni” di Pula merita una visita, per tutti gli oggetti che si sono ritrovati negli scavi di Nora. La Pinacoteca di Cagliari vanta quadri del 500 e 600, oltre a oltre 1000 pezzi tra oreficeria, tessuti, ricami, arredo domestico, armi.

Pei dipinti degli artisti sardi dal 1700 al 1950 si va alla Galleria comunale d’arte di largo Dessì. Da non perdere al Museo Etnografico regionale la “Collezione Cocco”, circa 2000 oggetti risalenti al secolo 1850/1950, vestiti, gioielli, arte popolare, manufatti d’ogni tipo. Una curiosità è il Museo di cere anatomiche “Clemente Susini”, decisamente per spiriti forti e poco impressionabili. Poi  vale la pena di fare un salto a San Sperate, il paese-museo dei murales e delle pietre sonore di Pinuccio Sciola. E a casa Steri a Siddi, museo delle tradizioni agro-alimentari sarde (e, già che ci siete, mangiate a “S’apposentu” di Roberto Petza, unica magica “stella Michelin” in tutta la Sardegna Ndr.). Da Siddi a Barumini è un lampo. Salvatore Bellisai (Fondazione Barumini sistema cultura) dopo un video sul Nuraghe e il Centro “Giovanni Lilliu”, snocciola cifre da sogno per quanto riguarda il cosiddetto turismo culturale: il 50% dei 4 milioni che annualmente vengono a visitare l’Italia (permanenza: 2/3 giorni), 3 dei quali vanno a Roma, Firenze , Venezia. Nel 2017 a Barumini ne sono venuti 140.000, 125.000 a Cabras, 85.000 a Caprera, poi Pula e Cagliari con 70.000. Dice dei laboratori di scavo didattici e della messa a sistema di rete integrata, il 70% dei visitatori è straniero. I croceristi che sbarcano a Cagliari fanno tappa obbligata al “Nuraxi”. A Simone Pisano, docente di linguistica applicata e fonetica e fonologia dell’Università “Guglielmo Marconi” di Roma, tocca disquisire di lingua sarda che si può distinguere in una parlata centro settentrionale e in una centro meridionale. Con la cosiddetta “lingua di mesania” i cui confini sono molto difficili da tracciare. In questo contesto la città di Cagliari la fa da padrona, come centro di diffusione delle mode linguistiche. Persino Bachis Sulis, il poeta-bandito nato ad Aritzo alla fine del novecento, riesce a scrivere in cagliaritano. Tolti i parlanti-liguri di S. Pietro e Sant’Antioco in cui la percentuale di parlanti è molto alta ( per il 70% di bambini di età scolare è la prima lingua) il campidanese è abbastanza omogeneamente distribuito, da noi si dice “centu” non “kentu”, “luxi” non “luke”, come al capo di sopra. E comunque tutte le varietà campidanesi del sud-Sardegna hanno subito un forte influsso del Cagliaritano, su fino a Tortolì. Parlate compatte sono quelle della zona del Linas, Gonnos e Villacidro-Guspini che hanno subito una “nasalizzazione” rispetto al cagliaritano: “su pai” e “su cai”per “su pani” e “su cani”, “su sobi” e non “su soli”. Poche altre differenze sono in alcuni gruppi sparsi del Sulcis. Come pure è abbastanza normale trovare differenze di poco conto anche con paesi molto vicini l’uno con l’altro, tale per cui il bravo linguista riesce a distinguere la parlata di Quartu da quella di Pirri. Mavy Mereu, circolo di Rivoli, esperta di “cultural digital marketing”, fa l’elenco dei principali movimenti culturali che animano le genti dl sud-Sardegna. Di alto livello gli spettacoli che propone il teatro “Antas” di san Sperate (dal 2004 organizza il festival di cultura popolare “Cuncambias”, in campidanese: baratto,scambio). Come notevole è il progetto culturale che porta avanti l’associazione cagliaritana“Sustainable Happiness” (felicità sostenibile, traduco alla buona): promuove iniziative per la valorizzazione ambientale, la creazione di reti sociali, considerando la sostenibilità a 360°: dal punto di vista ecologico, sociale e culturale. Più ampi riferimenti si possono avere nei loro siti web, davvero esaustivi e sempre aggiornati. Sempre a Cagliari l’associazione “L’Alambicco” si propone di operare nel sociale finalizzando la propria attività alla diffusione della cultura. Dal 18 novembre al 28 dicembre la III rassegna  cinematografica sul cinema muto, avanguardie giapponesi, sovietiche, francesi, italiane, ingresso libero. E a proposito di film Sergio Stagno magnifica le sorti del “Skepto International Film Festival”, il festival di cortometraggi nato 10 anni fa a Cagliari e che ora gira tutta Europa (dal 7 al 9 dicembre a Barcellona) ma anche a Berlino, Milano e Bologna. Con presenze significative: 12.000 persone. La IX edizione si è tenuta dal 18 al 21 aprile a Cagliari, e moltissimi sono stati i volontari che hanno contribuito alla sua realizzazione, con più di 600 cortometraggi provenienti da 47 paesi. In questo genere i sardi sono diventati bravissimi. “Skepto”  (dal greco: vedere, guardare) in quanto associazione culturale gira per le scuole e collabora attivamente con la “Sardegna film  commission”, lo sportello della Regione Sardegna che offre supporti, servizi di assistenza a chi viene a girare film nell’isola. A tenere alta la bandiera dell’ambiente Pierluigi Damiani e Paolo Callioni di “Brebey”: tecnologie verdi sviluppate con lana di pecora. In Sardegna dicono è il 50% di tutta la lana di pecora che si produce in l’Italia, viene tutta imballata e tutta mandata in Cina, ancora sucida, insomma sporca. Quindi la lana che usano loro, fanno isolanti termici e acustici, non è di pecore sarde, una vera assurdità visto che sono a Decimumannu. La bioedilizia è ormai una necessità, con l’anidride carbonica che aumenta anziché diminuire e il clima ha già dato segni di cosa potrà essere il futuro se non si andrà a una decarbonizzazione di tutto il ciclo produttivo, edilizia compresa. Il modello di economia circolare, dove non si butta niente e tutto si ricicla, è quello a cui gli Stati devono tendere, volenti o nolenti ( The Donald naturalmente non crede a queste “sciocchezze scientifiche”). Mentre perfino il polistirolo deve essere smaltito, la lana può essere riciclata, assorbe CO2, formaldeide e ossidi di azoto, ha proprietà igroscopiche e idrorepellenti. E’ l’alternativa sostenibile agli isolanti sintetici e minerali. Enrico Corona, esperto di vini, ubriaca gli astanti con una vera e propria profusione di dati riguardanti i vitigni del sud-Sardegna: Vannonau,Vermentino,Monica,Nasco,Carignano: 27.000 ettari per 600.000 ettolitri/l’anno. E poi il Bovale di Terralba, il Girò cagliaritano. La cantina sociale Pauli’s di Monserrato, una delle più vecchie d’Italia: Che dire del Nasco di Parteolla, che Argiolas offre anche come vino da pasto? Con enologi di fama come Giacomo Tachis (Sassicaia, ndr.) prima a Santadi e poi con Argiolas e poi all’”Agripunica” di Barrua e Narcao, a lavorare quei Carignano del Sulcis che riesce a sviluppare ogni sua caratteristica in quei terreni sabbiosi e assolati. Ma sono i piccoli produttori a stupire: Pietro Lilliu della “Cantina” omonima di Ussaramanna ( ci è andato a lavorare nel 2000 a 18 anni) ci racconta come con solo 4 ettari di vigna riesca a “stare sul mercato” quando ci sono quelli che con 50 fanno fatica. Aveva cominciato il babbo a coltivare funghi che sarebbero finiti sott’olio, in serra. Lui ha raccolto il testimone e ha scommesso sulla specificità della Marmilla, un territorio tanto magico quanto poco conosciuto. Degusteremo dopo i suoi vini: “Biatzu”, “Diciosu”; in cantina a Ussaramanna si visita la vigna, poi un giro fino al nuraghe semisepolto di “Su Sensu e Monti”, si può mangiare con menù diversi ma con cibi tutti a filiera cortissima. A chiudere l’incontro Simone La Croce, giornalista musicale dell’associazione “Brincamus”. Descrive un’attività di offerta musicale di tutto rispetto (jazz a sant’Anna Arresi) che va dai gruppi “tradizionali” a quelli di musica elettronica, dal pop/rock al rap/reggae/dub. Alla world-music. I nomi dei gruppi e dei singoli, troppi per essere tutti ricordati. Dice Serafina Maxia: il gruppo giovani della FASI ha saputo mettere in luce una Sardegna che non è fatta più solo di poveri pastori. Certo tocca “brincare il mare”, ma da Linate a Elmas un milanese non fa in tempo a sfogliare il “Corriere”che si trova negli oblò le saline del Molentargius. Poi è tutta Sardegna, quella prospettata dai giovani sembra un sogno, in realtà per descriverla bene tutta ci vorrebbe una vita.

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