QUELLE BOMBE SU CAGLIARI, COSI' LONTANE, COSI' VICINE: 2.000 MORTI NEL FEBBRAIO 1943, LA CITTA’ RASA AL SUOLO DAGLI ORDIGNI SGANCIATI DAL CIELO


di Mauro Pili

Il Bastione di S.Remy squarciato dalle bombe ciclopiche cadute dal cielo come un terremoto venuto dall’alto è l’immagine simbolo del cuore di Cagliari colpito e affondato. E’ febbraio. Anno del Signore 1943. La città capitale della Sardegna è da due giorni sotto i bombardamenti anglo-americani. Non c’è tregua per i cagliaritani. Costretti a fuggire in migliaia, decine di migliaia. I bombardieri B 17 ed i caccia pesanti Lightening P38 a doppia fusoliera la spianano come mai era successo in questa terra di pace. Moriranno in duemila. Una strage di donne e uomini, bambini. La guerra, quella stramaledetta guerra, che colpì mortalmente la povera terra di Sardegna. Una guerra senza un perchè, un popolo devastato senza un motivo. La follia delle guerre. La follia degli uomini. Per molti “ragazzi” della mia generazione è storia. Qualche nascosta riga sui libri di testo. Qualche volta mai letti. Per i nostri genitori ricordi sfuocati. Per i nostri nonni, sangue e morte. Me lo raccontavano i miei nonni con il terrore negli occhi. Quelle sirene, quelle fughe nel sottosuolo. E poi niente più case, niente di niente. Bombe dentro casa. A squarciare la vita. Rievocare non è solo memoria. Non è solo ricordo per chi non c’è più, per chi ha perso tutto, vita compresa. Rievocare è monito. Sono campane a morte con il battacchio nella testa di ognuno di noi. Penso e ripenso a quelle bombe venute dal cielo, in piazza Yenne, nel largo Carlo Felice, nella via Roma, a Stampace, Marina, Castello. Penso a quella medaglia d’oro che loro, i nostri nonni, si sarebbero volentieri risparmiati, in cambio di vita, pace e libertà. A loro, al loro sacrificio, il nostro deferente pensiero. Noi miracolati, in una terra di pace. Eppure nelle stesse ore in cui rievochiamo quelle nefaste giornate di fine febbraio del 1943 in un luogo lontano, nel devastato Yemen, povero più della Sardegna, di ieri e di oggi, si muore sotto la pioggia quotidiana di bombe. Le stesse bombe. Ciclopiche, come quelle che hanno devastato e ucciso nella nostra terra. Lo Yemen guarda ad ovest il Mar Rosso e a sud il Golfo di Aden, Oceano Indiano. Estremità meridionale della Penisola araba. Confina a nord con l’Arabia Saudita e ad est con l’Oman. Circondato da paesi straricchi, lo Yemen è tra i Paesi più poveri del mondo, con condizioni di sottosviluppo diffuso e dipendenza totale. Terra povera ma riconosciuta come uno dei più antichi centri di civilizzazione del mondo. Il bilancio delle bombe prodotte in Sardegna è da olocausto. Oltre seimila morti, 2,5 milioni di sfollati, abusi, crimini di guerra. Ospedali, scuole, fabbriche e campi profughi bombardati. Oltre 1.000 bambini uccisi nei raid e oltre 740 morti nei combattimenti. Nessun obiettivo civile viene risparmiato, come piazza Yenne e Castello. «Una catastrofe umanitaria senza precedenti», ha sentenziato Stephen O’Brien, vice segretario per gli affari umanitari delle Nazioni Unite. Quelle bombe sono prodotte dai tedeschi in terra di Sardegna, sono vendute all’Arabia Saudita per devastare lo Yemen. La santa alleanza tra i ricchi contro i poveri. La Germania sfrutta la povertà della Sardegna costringendola a produrre strumenti di morte e devastazione, l’Arabia Saudita li usa per devastare la povertà dello Yemen. E’ una storia che si ripete, i ricchi, i forti, contro i poveri e i deboli. Non è bello sentir dire se non le facciamo noi le farà qualcun altro. Si tratta di produzione di morte. Un governo credibile bloccherebbe quelle esportazioni. I tedeschi ci usano, usano la nostra disoccupazione, ma nel contempo i loro servizi segreti ci fanno sapere che quelle bombe finiscono nelle mani di un ministro della difesa saudita in preda a smanie compulsive. Alleato di Al-Qaeda. Capace di tutto, con mire espansionistiche devastanti. Un folle ricco contro uno stato povero e debole. 74 anni dopo la strage di Cagliari non possiamo stare a guardare. E’ giusto che noi miracolati dalla guerra ci interroghiamo. Troviamo soluzioni. Ricollochiamo i lavoratori in un’economia vera, non in una fabbrica di morte. Se non lo facciamo per noi almeno facciamolo per i nostri cari che hanno perso la vita. Sotto una pioggia di bombe, nel febbraio del 1943. A Cagliari, non lontano dallo Yemen e dalla sua povera gente.

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