VITA E IMPRESE DEL NUORESE ROFFAELE BUMBUDDU: “L’UOMO-CAVALLO” DESCRITTO NEL “GIORNO DEL GIUDIZIO”


di Michele Pintore

Si chiamava Raffaele Arzesi, classe 1870, ma nella microstoria nuorese è rimasto immortalato come Roffaele Bumbuddu o con l’appellativo di “uomo-cavallo.

Il suo nome è ricordato dal noto giornalista Indro Montanelli nel suo libro Tagli su misura (dove riporta ricordi della sua infanzia trascorsa con i genitori a Nuoro dal 1917 al 1921). Certo la sua fama non avrebbe raggiunto quella del “collega” di sopranome, l’attore cinematografico irlandese Richard Harris, protagonista del famoso film L’uomo chiamato cavallo, ma anche Roffaele Bumbuddu nella Nuoro dei primi anni del Novecento si era creato il suo spazio e la sua cerchia di ammiratori. Soltanto, che, a differenza del celebre attore irlandese, Bumbuddu, cavallo credeva di esserlo veramente e nella sua equina follia si comportava come il nobile quadrupede, imitandone tra l’altro i movimenti l’andatura e il verso.

Fu appunto un fortissimo nitrito, “Iiiiiih!…..Iiiiiih!…..”, il primo segnale che colpì il giovanissimo Indro Montanelli nella stazione ferroviaria di Prato Sardo, mentre un caldo mattino d’estate del 1917, in compagnia dei genitori col treno raggiungeva Nuoro.

Incuriosito il ragazzo si affacciò al finestrino ma grande fu la sua sorpresa nel constatare che fuori non vi era nessun cavallo.

«Vidi solo un uomo che girava su se stesso – scrive Montanelli rievocando il primo incontro con Bumbuddu -, ogni tanto raspando col piede per terra, e con una mano si sculacciava. Mi guardò e mi sorrise d’un sorriso ebete, scoperchiando due file di denti da erbivoro divaricati e giallastri. Poi, quando il treno si rimise in movimento – continua Montanelli – fece un salto e prese a trotterellargli di fianco, sulla scarpata, sempre più accelerando finché con un lungo nitrito, ruppe in galoppo».

La sorpresa, fu che l’andatura di Bumbuddu era superiore a quella del “cavallo di ferro”, tanto che «il trenino tossicoloso e ansimante, impennacchiato di fumo e di scintille perché andava a legna, non aveva più fiato per tener dietro al bipede destriero, che trionfalmente lo batté sul traguardo della stazione, dove lo accolsero gli osanna di un branco di ragazzacci».

Fu lo stesso forte nitrito, emesso dall’uomo-cavallo, aggiunge Montanelli, «a risvegliarmi l’indomani sotto le finestre dell’Albergo Italia, dove ci si era accampati».

L’albergo era situato nella piazza San Giovanni, allora sede del Mercato della frutta dove «…. Il matto vi trotterellava in mezzo, fra ceste di verdura e turbe di bambini scalzi e vociferanti, poi al galoppo si buttò giù, roteando la testa sul collo e lasciandosi dietro una scia di “Iiiiiih!…. Iiiiiih!”».

In età matura, il grande giornalista amava ricordare con nostalgia quei giorni, quando «non erano trascorsi molti giorni che anch’io facevo parte della clamorosa marmaglia in attesa ogni sera, alla stazione, della sfida di Raffaele al treno. E la mattina economizzavo sullo zucchero nel caffelatte per portare una zolla in premio al vincitore, con un cespo di lattuga ch’egli mi strappava di mano con la bocca, proprio come fanno i cavalli». Col tempo, Bumbuddu era diventato un vero e proprio personaggio; e forte si levò la protesta della cittadinanza contro un provvedimento del sindaco, che giudicando critiche le sue capacità mentali, aveva voluto farlo ricoverare presso il manicomio di Sassari. Tutta Nuoro era insorta allora contro il provvedimento, scese in campo perfino il tribuno del popolo, don Menotti Gallisai, che con un infiammato discorso, aveva perfino minacciato le barricate. E così Bumbuddu riprese il suo posto sul “palcoscenico” nuorese, tra i protagonisti che popolavano quell’eccezionale affresco di personaggi, magistralmente descritti da Salvatore Satta nel suo romanzo capolavoro, Il giorno del giudizio.

E tra Baliodda, l’uomo che inspiegabilmente per i nuoresi vestiva sempre a lutto, e Fileddu, che a differenza invece di abiti ne sfoggiava diversi, tutti di taglie abbondanti e dei modelli tra i più disparati (erano spesso quelli dimessi dal farmacista Ciceri – il Boelle Zicheri del romanzo), ecco anche Bumbuddu, l’uomo che imprecava la madre per non avergli dato sembianze da cavallo. Lui, che nella sua disperata ricerca della sua identità umana-equina, era diventato il bersaglio preferito di quella schiera di oziosi buontemponi che frequentavano il Caffè Tettamanzi del Corso Garibaldi, decorato di grandi specchi dalle cornici dorate e arredato con eleganti poltrone rivestite di velluto rosso. Incurante di tutto questo Bumbuddu, continuò le sue folli corse riempiendo l’aria di nitriti su e giù per il Corso Garbali e scuotendo col capo l’immancabile berritta, che calzava a mo’ di criniera.

Ma il tempo passava e le corse finirono.

A fermare l’uomo – cavallo e le sue folli corse, oltre che l’età che avanzava inesorabilmente, contribuì sopratutto il progresso. A Nuoro anche il vecchio treno a vapore era andato in pensione, a sostituirlo erano nel frattempo arrivate le moderne Littorine. Nulla potè fare Bumbuddu per contrastarne l’impari lotta e da allora cominciò a spegnersi lentamente.

Ricorda ancora Montanelli nel suo libro «… cominciò a spegnersi il giorno in cui, per la prima volta non riuscì a battere il treno sul traguardo della stazione. Il suo nitrito di sconfitta fu così disperato che nemmeno la marmaglia in attesa ebbe il coraggio di corbellarlo. Cercarono di spiegargli – conclude Montanelli – che non era lui ad andare più piano, ma il treno ad andare più forte ora che lo avevano sostituito con la Littorina».

Bumbuddu ormai sconfitto scomparve di scena, lo trovarono morto in vecchio casello daziario all’ingresso di Nuoro un freddo mattino di febbraio del 1944.

La sua folle corsa era giunta al capolinea.

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Un commento

  1. Me ne parlava mio nonno quando ero piccolo … lo aveva conosciuto e lo ricordava bene. Mi raccontava che una delle sue frasi ricorrenti era “Maledetta mia madre che non mi ha fatto nascere cavallo”

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