CINQUE ANTICHE (E NUOVE) DOMANDE: SA DIE DE SA SARDIGNA, LA “STORIA DIVERSA” E LE RADICI DELLA QUESTIONE SARDA

Alessandra Todde, Governatrice della Regione Sardegna

Questi primi “cento giorni” di governo regionale della nuova giunta Todde sono stati caratterizzati, sostanzialmente, da due discorsi. Il primo, quello del 28 Aprile, e’ stato quello storico, delle celebrazioni della Festa del popolo sardo, de Sa Die.

La Sardegna storica ed il suo passato.

 Il secondo, del 10 maggio 2024, ha riguardato le dichiarazioni programmatiche sul governo.  La Sardegna di oggi e le sue prospettive.

Per entrare nel merito di questi “giorni” iniziamo dall’ analisi, quindi, del discorso de Sa Die. Quello della cosiddetta “storia diversa”. Una “storia” che, purtroppo, non contempla una nuova riproposizione, chiara e precisa, delle famose “cinque domande”. Quelle istanze portate avanti dagli Stamenti sardi a Torino, al cospetto del sovrano, nell’estate 1793. Prima del Vespro della Sarda Rivoluzione. Eppure, rileggendole e riattualizzandole, ben rappresenterebbero le fondamenta costitutive della nostra autonomia. Non rivendicazionismo. Ma storia. Riproponiamole, pertanto. E riattualizziamole.

Partendo dalla prima, ossia il ripristino della convocazione decennale dei Parlamenti, interrotti dal 1699. Sarebbe la tradizione autonomistica di un maggiore coinvolgimento attuale del Consiglio regionale (e non solo) nei processi legislativi e decisionali. Che fine hanno fatto, a norma di Statuto, organi consultivi come il Consiglio delle Autonomie locali? In che modo potranno intervenire ed incidere su scelte che, fra poco, coinvolgeranno i territori? Oltre che “battere sempre il tasto” economico del comparto unico per eliminare la disparità di trattamento tra dipendenti comunali e regionali? L’ autonomia non è questa. 

La seconda domanda faceva riferimento alla riconferma degli antichi privilegi soppressi dai Savoia, nonostante il Trattato di Londra. Per “riattualizzarla” occorrerebbe una vera e propria spinta di orgoglio dettata dalla storia. Nel riconoscere un privilegio non da poco. Che la Sardegna ha avuto all’ interno dello Stato italiano. E che richiederebbe l’impegno di tutti i consiglieri eletti e di tutti i parlamentari sardi. Come quelli che nel Regno d’Italia appena costituito proposero ed imposero per la prima volta la discussione sulla Questione Sarda. Con l’esempio, primo fra tutti di Giuseppe Sanna Sanna, deputato anelese, democratico e mazziniano, di cui quest’anno ricorrono anche i 150 anni dalla morte. Un privilegio unico, ben rappresentato nella scultura del Vittoriano a Roma: la Sardegna “culla” d’Italia. Che “porge” la sua corona al neonato Regno. Privilegi che, con questa provocazione, potrebbero tradursi nella battaglia di tutti coloro che avrebbero a cuore gli interessi dell’isola, in un nuovo processo di revisione costituzionale. Come per quanto accaduto in merito all’introduzione del principio d’insularita’ in Costituzione (purtroppo più per interesse siciliano che sardo, n.d.r). Processo che specificasse, in un apposito preambolo, come la Repubblica italiana, fondata sui valori del Risorgimento e della Resistenza, non sia altro che la diretta prosecuzione dell’antico Regno di Sardegna, nato sul colle di Bonaria, a Cagliari, il 19 giugno 1324. Proprio settecento anni fa. Altra data da scolpire e ricordare.

Vi sarebbe, poi, lo Statuto speciale, con un preambolo da inserire. In ricordo de Sa Die. Il 28 Aprile 1794 da “cristallizzare” come momento fondativo e storico della coscienza nazionale del popolo sardo e della sua lotta per la libertà. Da cui ha origine la Sardegna moderna.

La terza richiesta avrebbe dovuto riguardare la concessione ai sardi di tutte le cariche, fatta eccezione per quelle di viceré. Allora, questo avrebbe voluto significare accesso a tutte le funzioni pubbliche del Regno. Anche oggi questa domanda ritornerebbe di stringente attualità. E fungerebbe da invito ai nuovi governanti della Regione a “trovare” in Sardegna e fra i sardi fuori dalla Sardegna le “intelligenze” necessarie (che ci sono) per “mettere in funzione” la macchina regionale. L’ autonomia non viene, calata, “da fuori”. Ma parte da “dentro”. Oltre i proclami.

La quarta domanda avrebbe riguardato l’istituzione a Cagliari di un Consiglio di Stato, da affiancare al Viceré. Se accettato, questo  avrebbe avuto veramente una forte portata politica e simbolica: quella di mettere “sotto controllo” e “sotto tutela” la carica viceregia. Anche nella pratica dell’ordinaria amministrazione. Questo, attualmente, equivarrebbe ad una sorta di “nuovo comitato regionale sardo di controllo” sugli atti regionali, a garanzia della specificità e dell’autonomia. Infine, si insisteva per la restituzione, a Torino, di un Ministero per gli affari di Sardegna “di boginiana memoria” (1759- 1773). Si sarebbe trattato, nuovamente, di “riportare” la Sardegna al centro della politica interna dello Stato. Con tutte le sue problematiche. Le sue contraddizioni. E le sue opportunità. Evitando nuovi spargimenti di sangue. Proprio come aveva fatto Giambattista Bogino nell’ esercizio della sua apposita delega ministeriale ultradecennale per l’isola.  A partire dal ristabilimento dell’ordine pubblico e dell’amministrazione della giustizia. Fra cui la costituzione di due consolati di commercio a Cagliari ed a Sassari . Ed il recupero (motivo per cui l’Angioy poté assurgere a questo rango) dai privati, a cui erano state alienate, delle segreterie della Reale Udienza, della Giunta regionale e del Giudice delle Contenzioni. Senza dimenticare il riassetto delle carceri regie. E l’imposizione ai baroni di curare le proprie. Oltre, naturalmente, anche il problema delle continue interferenze ecclesiastiche per cui, fra il 1763 ed il 1767, il Bogino sarà il promotore della cosiddetta Procedura morbida di riduzione e di lotta alle immunità ecclesiastiche dei regolari. In campo economico, invece, parliamo di un ministro sempre più impegnato a combattere i privilegi abusivi dei feudatari, limitando la facoltà di istituire fedecommessi. Imponendo a tutti i paesi la costituzione dei consigli comunitativi (i primi della Sardegna moderna), posti sotto protezione regia fin dal 1771, anno della loro costituzione. Non dimenticando la riforma dei Monti frumentari, perno decisivo dell’economia rurale sarda. Fino a quel momento ammassati in modo disordinato ed arbitrario. E non tralasciando né l’istruzione (con la “risurrezione” dei due atenei) e, soprattutto, le finanze. Queste ultime “risanate” contro gli interessi della nobiltà e degli ambienti militari. 

L’ ultima “domanda”, quella concernente la creazione in Torino, di un Ministero per gli affari di Sardegna, esplicitamente, avrebbe richiamato il periodo del riformismo boginiano appena ricordato. Anche oggi bisogna, con rivendicazione, “ritornare alla Sardegna”. Con i problemi di eri. Che sono sempre quelli di oggi. E che sembra che siano stati ancora “evitati”. Dalla questione trasporti, a quella economica di “zona franca”, a quella identitaria della lingua. O, meglio, di una lingua, il sardo, dei suoi due dialetti e delle altre alloglossie presenti. 

Oggi non vi è nessuno Re a cui rivolgere alcuna domanda. Ma vi sono i sardi, de intro et de fora, delle “due Sardegne”. Che continuano ancora ad interrogarsi sulle questioni di importanza per il futuro dell’isola. Questioni che, ora, assumono un’attualità straordinaria. Solo in parte affrontate nel discorso programmatico dalla neopresidente. Ma da cui non si potrà non prescindere. Ecco, quindi, le “nuove cinque domande” per una Sardegna diversa.

1. La Sardegna ha una classe dirigente e politica all’ altezza della continua crisi che sta vivendo?

2. L’Italia serve alla Sardegna? In che modo, l’andare oltre la crisi potrebbe essere utile per un deciso cambio dei rapporti tra la Sardegna e lo Stato italiano?

3. Un “partito della Sardegna” , slegato dalle grandi formazioni nazionali, potrebbe essere una risposta alla crisi istituzionale ed alla mancanza di una adeguata rappresentanza sia nel parlamento italiano che europeo?

4. L’introduzione del bilinguismo sarebbe una risorsa per l’isola?

5. Quale proposta fare ai sardi che hanno ripreso ad emigrare? O, meglio, come riaffrontare il complesso tema della questione emigratoria?

Cinque nuove domande per una rinnovata Questione Sarda. Che affronteremo nelle prossime puntate anche per ricordare i centocinquant’anni dalla morte del già ricordato on. Giuseppe Sanna Sanna, avvenuta il 7 settembre 1874. Egli è stato il primo deputato sardo ad aver posto la Questione Sarda in seno al Parlamento italiano. Questione che, annunciata nella tornata del 23 dicembre 1861, occuperà un ruolo centrale nelle tornate  del 22 e 23 gennaio 1862. Entrando “prepotentemente” nel dibattito parlamentare.

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6 commenti

  1. Bellissimo articolo

  2. Molto interessante

  3. Giampiero Lai

    Detto bene Tottus in pari non centu concas e centu berritas

  4. Lucia Maria Chessa

    Ci auguriamo che la Sardegna si riprenda alla grande affinché i Sardi vivano bene senza dover sempre scappare via grazie a chi fa di tutto

  5. GRAZIE.GRANDE SARDEGNA.👏👏

  6. Adriana Valenti Sabouret

    Le cinque domande ricordano quelle degli Stamenti all’epoca angioyana.

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