DA TORTOLI’ A BRUXELLES, PASSANDO DAL NORTH CAROLINA E SINGAPORE: VIAGGIARE SEMPRE E’ IL SOGNO DI MAURO NOLI

ph: Mauro Noli


di Andrea Russo

Mauro Noli, 23enne metà ogliastrino e metà barbaricino, laureato in Economia Internazionale presso la Bocconi e studente di Discipline Economiche e Sociali presso la stessa università, si trova attualmente a Bruxelles per uno stage. Il suo sogno? Diventare un bravo economista e continuare a viaggiare per scoprire nuovi Paesi e culture.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Ogliastra? Sono andato via al termine dei miei studi presso il Liceo Classico di Tortolì per trasferirmi a Milano e frequentare l’Università di Economia Luigi Bocconi.

Dove ti trovi in questo momento e di cosa ti occupi? Attualmente mi trovo a Bruxelles, tra qualche giorno terminerò il mio stage trimestrale alla Commissione Europea, più precisamente alla Direzione Generale della Concorrenza. Mi occupo di analisi economica degli effetti delle fusioni aziendali che hanno un impatto sul mercato europeo e sui consumatori.

Quali sono le difficoltà che hai incontrato all’inizio del tuo percorso di studi? E come le hai superate? Ci misi un po’ a digerire i vari concetti di economia e a capirne la logica; in matematica ero abbastanza scarso e dovetti recuperare in fretta. Tuttavia con l’impegno, la dedizione e l’aiuto di altri colleghi ho superato le varie difficoltà iniziali. Insomma, la ricetta per andare avanti, a meno che non si abbia la rara fortuna di nascere geni, è sempre la stessa: dedicare tempo e concentrazione al superamento degli ostacoli che s’incontrano.

Prima di Bruxelles sei stato anche a Milano e a Singapore. Che differenze hai notato tra i giovani italiani, quelli belgi e quelli singaporiani? Sui giovani belgi onestamente non mi posso esprimere poiché non ne ho frequentato molti. Per via del lavoro, infatti, ho trascorso la maggior parte del tempo con altri stagisti provenienti da tutta Europa. Posso però fare un paragone tra i giovani italiani, quelli singaporiani e quelli statunitensi, visto che per un anno ho studiato in una high school del North Carolina. Vado in ordine di tempo. A parer mio la differenza più grande tra noi e i ragazzi statunitensi è la fiducia nei confronti del proprio Paese. Questi ultimi pensano di poter costruire il proprio futuro negli Stati Uniti e sono intimamente convinti che i loro sforzi, sotto la bandiera a stelle e strisce, saranno sempre premiati. Noi, invece, siamo più pessimisti sulla possibilità di realizzare i nostri progetti in Italia e tendenzialmente etichettiamo come insormontabili gli ostacoli che frenano le nostre ambizioni. Per quanto riguarda le differenze fra i giovani italiani e quelli singaporiani, ci sarebbe davvero tanto da scrivere! Quella che mi ha colpito di più è stata il diverso approccio alle “sfide” che noi ragazzi dobbiamo affrontare, dagli esami universitari ai lavori di gruppo o alle attività extrascolastiche. Noi italiani generalmente ci aiutiamo a vicenda, ci confrontiamo (e confortiamo) e ci sentiamo come parte di una squadra. La cultura singaporiana è basata invece sull’individualismo, sul raggiungimento dell’eccellenza (in termini formali quali votazioni, certificati, ecc.) e sul timore/rispetto nei confronti di chi ha avuto successo. Sono caratteristiche rintracciabili anche nei giovani statunitensi, cui va aggiunta però anche l’inquietudine di “non farcela” che, come un’ombra, segue i ragazzi singaporiani durante il loro percorso. C’è una parola in Singlish (l’inglese mescolato con un po’ di cinese che si parla a Singapore) che riassume perfettamente questo concetto: “Kiasu”, ossia, “paura di perdere”.

Cosa ti manca di più della Sardegna? Questa è una domanda difficilissima poiché della Sardegna mi mancano tante cose. Mi manca la mia famiglia, che vorrei rendere più partecipe della mia quotidianità ed io esserlo della loro. Mi mancano le risate, le discussioni e gli spuntini con il mio storico gruppo di amici. Mi mancano i paesaggi di montagna e di mare che si possono osservare con un unico sguardo, il suono delle onde che s’infrangono sulle pietre di Cala Moresca, il profumo dei culurgiones o dei ravioli caldi che giungono a tavola.

Cosa consiglieresti ai giovani che vorrebbero intraprendere un cammino simile al tuo? Ho un solo consiglio: se sentite il desiderio di provare nuove avventure in Italia o all’estero e siete frenati solo da quella sensazione di vuoto e di incertezza quando iniziate a pensarci seriamente, fatevi coraggio e partite! Non credo di conoscere nessuno che si sia pentito di questa scelta. Inoltre, è una strategia vincente anche nel caso vogliate tornare in Sardegna e costruire lì il vostro futuro: avrete accumulato esperienze umane e professionali che si riveleranno preziosissime nel vostro percorso. Per il resto, non mi sento di dispensare altri consigli: ho ancora tantissima strada da fare, errori da commettere, traguardi da raggiungere. E poi ognuno traccia il proprio percorso in base al proprio impegno, al proprio talento e ad altre priorità del tutto personali come il voler stare vicino alla famiglia o vivere in una determinata città.

Cosa ti aspetti dal futuro? Davvero non saprei. Mi trovo ancora in quella fase in cui tutto può accadere, in particolare in termini lavorativi, che poi vanno a influenzare molte delle nostre decisioni future. Posso solo augurarmi di essere sempre una persona onesta, rispettabile e di conservare molti dei bellissimi rapporti umani che ho instaurato in questi anni.

C’è un Paese in particolare in cui un giorno vorresti vivere? Se si, quale? Mi piacerebbe trascorrere un po’ di tempo in Sud America. Tra tutti i Paesi, mi affascina soprattutto il Cile per la sua storia politica e i suoi splendidi e mutevoli paesaggi. Tuttavia penso che nel lungo termine l’Italia sia un gran bel posto in cui vivere.

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