IL MIO PERCORSO, LA MIA STORIA, LA MIA ARTE: INTERVISTA A SIMONA MUZZEDDU, ARTISTA DI ORIGINI SARDE, CHE HA RECENTEMENTE PARTECIPATO ALLA BIENNALE DI KAUNAS

nella foto Simona Muzzeddu


di Massimiliano Perlato

Simona Muzzeddu, classe 1976, nata a Gallarate in provincia di Varese, dove vive e lavora. E’ figlia di Sardegna, grazie all’amore che i genitori, papà Silvano e mamma Lina Addis, le hanno trasmesso. Il legame con le sue origini è molto forte. E nella sua arte, il richiamo all’isola è evidente.

“Le mie radici si può dire sono sempre state energiche e sentite. In famiglia hanno sempre parlato in dialetto Gallurese: la cucina è rimasta legata alla tradizione sarda. Ho frequentato circoli sardi sin da piccola proprio perché i miei genitori ne facevano parte. Mi hanno inserita nel gruppo di ballo folkloristico e spesso partivamo per altre città per esibirci in costume”

Il suo percorso artistico è cominciato presso la scuola dell’arte di Angelo Frattini a Varese a cui ha fatto seguito il diploma con lode in pittura presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera a Milano.

“L’amore per l’arte me l’ha trasmessa mio padre. Ed è grazie a lui se ho visitato molte città storiche e musei“.

Durante gli anni dell’Accademia, Simona ha sviluppato una passione per la fotografia, mentre seguiva il corso di “Fotografia e natura morta” al laboratorio Mohole di Milano.

“Devo dire che mia madre inconsciamente mi ha trasmesso l’amore per la fotografia e per le immagini. Sono cresciuta con lei che con la sua macchina fotografica continuava a scattarci foto ovunque. A volte io e mio fratello ci ribellavamo perché non volevamo posare. Chi lo avrebbe mai detto che poi avrei protratto quella passione, facendone un mezzo di comunicazione per i lavori che espongo.”

Un legame forte quello con la tua famiglia?

Si, soprattutto con mio padre, Silvano, che aveva  sempre fame di cultura e questa per fortuna me l’ha trasmessa tutta. Dico aveva perché ora mio padre non c’è più, è venuto a mancare il 27 Novembre del 2011, dopo un anno di malattia grave.”

Silvano è stata una figura importante per chi ha vissuto il mondo dell’emigrazione sarda organizzata. Lui al circolo “Sebastiano Satta” di Gallarate è stato per diverso tempo Presidente…

“Dopo la sua morte ho voluto creare un progetto proprio sulle malattie, ho pensato che dovevo in qualche modo sensibilizzare la gente su una tematica delicata. Il primo scatto l’ho creato alla Tomba dei giganti di Calangianus, intitolandolo ‘Coma profondo’.  Qui si percepisce proprio l’attaccamento alla mia terra e la nostra cultura storica. Questa istantanea rientra in un progetto con più scatti fotografici che riprendono una carrozzina bianca in diversi luoghi, in diverse stagioni. La sedia bianca, nelle figurazioni, testimonia la purezza dell’anima, il bianco come valenza simbolica. Il bianco, il non colore, è rappresentativo della malattia stessa, o del malato intrappolato nel sua condizione di “limbo”, di attesa, di incertezza; quasi come vivesse in un’altra dimensione, differente e lontana dalla nostra percezione. Un distacco netto, un taglio deciso, da tutto ciò che potrebbe viversi come ‘solita e rassicurante quotidianità’. La sensazione di una ‘vita sospesa’, mentre, fuori, tutto prosegue: il tempo scorre inesorabilmente, le stagioni cambiano. Questo progetto che ho già esposto più volte si intitola “Borderline, la linea di confine” e il suo continuo è “Bordeline psychotic activity”.

Parlami del progetto.

“Diciamo che in ‘Bordeline psychotic activity’ si riprendono aspetti già trattati in lavori precedenti. In parte quindi il ritorno all’abbandono e al degrado. Basta armarsi di una macchina fotografica per testimoniare come gli edifici storici plasmati dalla mano dell’uomo in passato e di cui si ignora oggi la loro esistenza, siano svuotati e lasciati in stato di abbandono e nel degrado totale. È questo il “dramma dell’abbandono” a cui va il mio pensiero. Queste presenze del passato diventano così un peso morto per i Comuni e le Province, diventano “zavorra” sparsa in tutto il nostro continente. Così voglio ridare vita a ciò che è stato dimenticato da ex ruderi ad ex capannoni industriali, in un paese come l’Italia che conta due milioni di metri cubi inutilizzati. In questo caso è un “Ex manicomio” ad essere immortalato che riconduce così alla tematica delle malattie affrontata in “Borderline la linea di confine”. Qui voglio dare una visione di un altro aspetto della malattia che è quella psichica. Quindi, se in “Borderline la linea di confine” ho affrontato la malattia ponendo come soggetto fisso una sedia a rotelle bianca, il non colore, è rappresentativo della malattia stessa, o del malato intrappolato nel sua condizione di “limbo”, di attesa e di incertezza, in “Bordeline psychotic activity” utilizzo come soggetto un vero modello con una vera camicia di forza dove esprime fisicamente il disagio psicologico, vissuto come incubo e intrappolato nella sua stessa gabbia mentale. Sempre attraverso l’esperienza vissuta in passato con la malattia di mio padre e avendo conosciuto diverse realtà dove le problematiche neurologiche erano evidenti e dove ha creato un enorme cambiamento comportamentale nei degenti. Così attraverso loro mi sono domandata quanto il cervello e la mente siano estremamente delicati. Ci si sofferma così difronte ad una altra incognita della vita, un altro oggetto d’indagine basato sugli effetti di lesioni cerebrali. Osservando silenziosamente i comportamenti dei pazienti si nota subito come il proprio carattere viene annientato quasi completamente, come se ci fosse stato un black out del cervello, dove si perdono i vecchi dati e nel riavviarsi si devono rintrodurre nuovi dati. L’uomo che era ritorna infante nei comportamenti. Come spiegarsi questa regressione mentale e comportamentale? Mente, psiche, inconscio quanto influiscono sulle persone? Psiche come astrazione concettuale? Oppure psiche contenente una dimensione profonda legata all’anima? Può la mente dimenticarsi di tutto un background di una vita? Domande e risposte che solo i nostri più illustri psicologhi e filosofi hanno tentato di dare ma ad oggi nessuno è in grado di offrire con certezza delle risposte valide.”

Recentemente sei stata a Kaunas in Lituania …

“Il mio lavoro si evolve sempre, pongo nuovi obiettivi da raggiungere, mi impegno sempre a migliorare e cercare nuovi modi, linguaggi e mezzi di comunicazione. E’ il caso appunto di “LED Communication”, un lavoro che ho portato in Lituania, per la decima Biennale di Kaunas, dove sono stata selezionata da Arte&Arte di Como, come artista italiana. Ho conosciuto altri artisti e musicisti provenienti da posti differenti, alcuni erano Lituani, altri dalla Croazia, Danimarca e Grecia. Grazie al tema della Biennale “NETWORKED ENCOUNTERS” ho avuto un ottimo spunto per il progetto a cui ho lavorato in sito. Per questo motivo ho voluto fondere una nuova comunicazione con un’opera d’arte interattiva. Prendendo spunto da Kaunas e dai luoghi che ci hanno fatto visitare ho creato dei video che si adattavano perfettamente ai led di ultima generazione programmabili in rgb. Nell’era della comunicazione moderna si interagisce fra persone attraverso internet e utilizzando collegamenti di vario tipo. E’ praticamente la rete globale che è diventata più un’innovazione sociale che tecnica. La rete può metterci in “contatto” anche se si è molto distanti e ci si accede quasi dappertutto. A questo proposito la gente potrà chattare tramite un cellulare, un tablet o un computer attraverso una lista di parole chiave e potrà interagire con il lavoro. In questo contesto Valdemaras ha trovato nelle vecchie fabbriche di Kaunas una serie di oggetti che un tempo erano utilizzati quotidianamente e che ora sono in disuso. Ha racimolato tutto questo materiale per ridarle una seconda vita all’interno dell’opera facendoli suonare e interagire con la luce. In questo modo si fonde il passato al presente con un nuovo linguaggio che si integra perfettamente nell’opera e nel contesto del luogo stesso. Abbiamo entrambi preso spunto dalla storia Kaunas, ispirazione dai vecchi edifici e li abbiamo fatti nostri in un lavoro tecnologico. Questa esperienza mi è servita molto: ho osservato bene il lavoro degli altri artisti comprendendo anche in che direzione devo muovermi per i prossimi lavori. Ho capito l’importanza della comunicazione all’estero. Ho osservato le differenze di cultura e modi di fare dissimili ma che in qualche modo siamo riusciti tutti a fonderci. Con alcuni ho scoperto nuove amicizie e collaborazioni. Ringrazio le persone che dall’Italia mi hanno seguito su fb sono stati un sostegno fondamentale.”

Cosa c’è nel tuo futuro Simona?

“Adesso sto già pensando ai miei nuovi lavori da fare perché ho delle mostre in futuro sempre all’estero.  Ma di questo ve ne parlerò in altro momento.”

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