EMMA DIANA RACCONTA IL PADRE ITALO DIANA , IL MAESTRO DI BISSO

Italo Diana con la moglie


di Claudio Moica

La storia, quella non scritta, vive nella memoria delle persone e, talvolta, è più precisa e importante di quella riportata nei libri. Emma Diana racconta con mente lucida e con dovizia di particolari la vita pubblica e privata del padre Italo Diana, noto maestro del Bisso. Il padre, di natura riservata, ebbe conoscenze di tutto riguardo con personaggi importanti dei primi del ‘900 come con l’editore e fotografo fiorentino Vittorio Alinari che nel 1914, ospite in casa Diana e in occasione di un suo reportage, lo fotografò vestito in costume e con le sue inseparabili Launeddas, che suonava con superba abilità. Tra i due nacque un rapporto di stima e rispetto tanto da sottoscrivere degli accordi commerciali per il commercio delle opere tessili della scuola del Diana. Nel 1926 conobbe l’Ing. Tommasini, inviato dal Ministero dei lavori pubblici per i lavori sull’allora ponte girevole, con cui strinse una forte amicizia tanto da tenere un intensa corrispondenza epistolare su temi commerciali ma anche strettamente personali. A sodalizio di questo rapporto la figlia dell’ingegnere, contessa Rieta di Gropello, cresimò nel 1942  Emma Diana. La testimonianza della figlia del maestro del Bisso contribuisce a confermare il carattere del padre schivo e determinato nel raggiungere obiettivi prefissati ignorando eventuali critiche anche quando queste erano mosse dalla consorte Giulia, figlia del notaio Angelo Loddo di Cagliari, preoccupata per gli investimenti del marito sulla scuola di tessitura che, a suo dire, non produceva grande reddito.  In effetti per poter produrre il Bisso Italo Diana doveva pagare giornalmente i pescatori perché si dedicassero alla pesca delle nacchere, da dove poi veniva estratta la preziosa fibra. Talvolta come corrispettivo veniva fornito del tabacco, genere questo che molti pescatori non potevano permettersi a causa dell’alto costo. Per la sete di conoscenza lo stesso Diana tentò anche la tintura del bisso con la porpora ricavata dal murice (come si faceva nell’antico Egitto), esperimento che andò fallito cosi come quello con delle essenze vegetali. Emma Diana suppone che la diversa colorazione dei filamenti di Bisso sia dovuto piuttosto alla profondità in cui viene colta la “pinna nobilis”: dove non arriva il sole il colore risulta essere più scuro a differenza di quelli di colore chiaro recuperati dove l’acqua è più bassa. A conferma del carattere deciso del maestro la figlia racconta che la donazione del famoso arazzo, in bisso e seta locale da lui realizzato in circa tre anni, a Benito Mussolini in occasione della sua visita nell’isola nel 1938 non si concretizzò in quanto non gli fu concesso di consegnarlo personalmente. La preziosa opera fu dallo stesso modificato, cancellando la scritta “W il Duce”, e a oggi custodito gelosamente dalle figlie, insieme ai giubbini realizzati per le figlie e a uno scialle. Nonostante la grande passione per la propria arte il Diana proibì alle figlie di dedicarsi ai lavori di tessitura, ma la figlia Emma, bambina curiosa e vivace, sgattaiolava tra le gonne delle allieve della scuola sita in via Magenta (ancora si intravedono i ganci messi per il deflusso dell’acqua usata per al lavorazione dei tessuti), rubando trucchi e insegnamenti tanto che ora non tesse ma ricama il bisso e conserva ancora quello colto negli anni del massimo splendore dell’attività del padre “Resto sempre meravigliata – dichiara con emozione Emma – quando lo espongo ai raggi del sole e diventa color oro puro nonostante gli anni”. Nel 1947, dopo la chiusura della scuola di tessitura, viene chiamato all’insegnamento presso l’Istituto Statale d’Arte di Sassari dall’allora direttore Filippo Figari, incarico che onorerà fino al 1959, anno in cui fu collocato a riposo per raggiunti limiti di età. Italo Diana proseguì la sua attività anche dopo la chiusura della scuola con il suo ultimo telaio attualmente sparito e della cui sparizione non si conoscono le circostanze. Terminata l’intervista lascio la casa natale del maestro Italo Diana sita nella via Regina Margherita di Sant’Antioco e nell’abitazione poco più avanti noto una targa che ricorda i natali di Renzo Laconi (1913/1967), segretario del PCI sardo e deputato, e non posso che ricordarmi della famosa poesia di Totò “ ’A livella” che negli ultimi versi recita “ ‘A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella. ‘Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo, trasenno stu canciello ha fatt’o punto c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme: tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto? Perciò,stamme a ssenti…nun fa’ ‘o restivo, suppuorteme vicino-che te ‘mporta? Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie…appartenimmo à morte!” E allora attendiamo fiduciosi anche la targa che ricorderà i natali del maestro di Bisso Italo Diana, artista indiscusso, uomo eclettico e di grande cuore!

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2 commenti

  1. Ho vissuto momenti di grande emozione nell’intervistare la figlia del maestro Italo Diana. L’incontro è avvenuto nella stanza dove Italo Diana veniva al mondo, ora una sala da pranzo. Essere tra le mura della storia vera non quella millantata e poterla raccontare non ha prezzo…per tutto il resto ci sono le fantasie dei bugiardi e di chi pur sapendo non fa nulla!

  2. essendo tessitrice,non capisco per quale motivo non voleva che le figlie imparassero questa nobile arte; riconosciuta già nell’antica Grecia come tale! ma comunque grande ammirazione per Italo Diana!
    grande ammirazione per Italo Diana! le tessitrici, già nell’antica Grecia custodivano le tecniche e il destino degli uomini (le Moire)

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