"LA MIA VITA E’ LEGATA A FILO DOPPIO CON QUELLA DELLO SHERPA": MAX CARIA VERSO IL CHO OYU

Max Caria


di Paolo Salvatore Orrù

Il tempo scorre velocemente, vagabondi i pensieri percorrono le piste più imprevedibili, mentre la mente tenta di allontanare i tormenti dell’attesa. Ciò nonostante, Max Caria, l’alpinista sardo che a giorni affronterà il Cho Oyu, la sesta vetta per altezza della Terra, ci dice di essere tranquillo. “Mi sento in forma, credo che con qualche giorno di adattamento al clima in più sarò al cento per cento, poi si va, non vedo l’ora”.

Campo base – Nel campo base avanzato, sistemato a 5700 metri, le giornate passano serene. “Abbiamo un cuoco bravissimo”, rivela il giovane oristanese: “Con i pochi ingredienti che ha a disposizione non ci fa mancare nulla”. Va a gonfie vele, oltre che l’acclimatamento, anche il rapporto con Dawa, lo sherpa che l’accompagnerà lungo il percorso che gli dovrebbe consentire di raggiungere la vetta della “Dea Turchese”. Da buon italiano, qualcosa manca, “mi si stringe un nodo alla gola ogniqualvolta penso a Claudia e Lorenzo: mia moglie e mio figlio, la mia famiglia, mi mancano tantissimo”. 

Lo sherpa – Un pensiero particolare Max lo dedica a Dawa, del resto non può essere altrimenti: il successo di una spedizione molto spesso dipende dalla guida. “Gli sherpa, oltre ad essere persone sensibilissime, conoscono, in modo quasi innato, il loro mestiere”. Certo, quando l’alpinista sardo l’ha visto per la prima volta a Kathmandu, nel Nepal centrale, ha indugiato perplesso: gli sherpa, agli occhi degli occidentali, sembrano sempre troppo piccoli e sembrano sempre troppo deboli. 

In azione – Malgrado ciò, “quando li vedi in azione negli impervi sentieri delle montagne più alte del mondo capisci di che pasta sono fatti: ci mettono meno di una giornata per portare a termine un percorso che un Occidentale compie in tre”. Uomini nati per lavorare in un’altra dimensione, uomini fortissimi in grado di trasportare per decine e decine di chilometri 70 chili di peso. Roba da schiantare un cavallo.

Il clima – Ma non è loro unica dote: “Sanno prevedere il tempo: lo intuiscono leggendo, come se fossero le pagine di un libro, la neve, il vento, le nuvole”. Doti che forse hanno acquisito dal DNA dei loro progenitori, senza questa sensibilità la loro nazione molto probabilmente non sarebbe mai esistita. Fra queste vette, sono loro gli angeli custodi della vita di un alpinista. “Se dicono che non si può più andare avanti bisogna obbedire, se dicono che bisogna tornare indietro bisogna obbedire”.

Obbedire – Obbedire, e non combattere, è in questi casi e in questi luoghi la vera parola d’ordine. L’unica cui bisogna dare ascolto, se si desidera riabbracciare i propri cari. Max lo sa, prima di partire ha letto tutti i racconti di viaggio, tutti i blog, tutte le relazioni di chi ha affrontato il Cho Oyu. Che, non bisogna mai dimenticarlo, è una montagna che si eleva oltre gli 8000 metri, nella catena dell’Himalaya, venti chilometri ad ovest dell’Everest (“se Dio vuole, la prossima meta”).

Il tempo – Il tempo passa inesorabile, lo scorrere incessante delle nuvole e il sibilo ininterrotto del vento segnano lo scorrere delle ore e parlano con Dawa. A Max, per capire, non resta che attendere la “traduzione in inglese delle condizioni climatiche” del suo sherpa. Il tempo dell’azione potrebbe arrivare prima del previsto.

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