DESTINI INCROCIATI: IL CASO DEL POLIGONO DI TEULADA E L’ESISTENZA IN VITA DELLA BRIGATA SASSARI. L’AREA MILITARE E’ LA PRIMA REALTA’ ECONOMICA DEL SULCIS


di Maria Adelasia Divona

Da settimane ormai il “caso” Teulada è ritornato agli onori della cronaca politica dei giornali sardi e continentali, ennesimo caso di colonialismo italiano sull’Isola la cui storia risale agli anni Cinquanta. Nel 1956 i terreni di quello che oggi è il poligono di Teulada (che ha raggiunto una dimensione di 7.200 ettari) vennero acquistati dall’Esercito. Non si tratta quindi di una servitù militare, ma di un’area di proprietà dello Stato, e non della NATO, come erroneamente da più parti richiamato. Erano gli anni in cui si discuteva del Piano di Rinascita, che fu varato nel 1962, in cui l’immaginario della politica sarda aveva probabilmente ipotizzato uno scenario in cui anche la presenza dei militari, insieme agli spregiudicati insediamenti industriali, avrebbe potuto risollevare le sorti del popolo sardo.

Nel poligono sussistono due aree distinte: la cosiddetta “penisola interdetta”, definita tale in quanto non soggetta a bonifica (nel senso che quello che si spara – munizionamento di artiglieria, o aereo o navale- rimane lì e non è soggetto a rastrellamento, compreso l’inesploso), e la restante parte, in cui il territorio deve essere bonificato (ovvero, l’inesploso va fatto brillare ed il bossolame recuperato). I monitoraggi ambientali hanno segnalato la presenza di torio nella zona, conseguenza dell’uso di una partita di munizioni che avevano una capsula fatta di questo metallo. L’autorità giudiziaria ha disposto il sequestro probatorio di parti di armamenti nel poligono, dove è stata rilevata la presenza di torio, le cui tracce peraltro si ritrovano in molti insediamenti industriali e in quantità maggiori, come ad esempio nel sito di interesse nazionale “Aree industriali di Porto Torres”, come sottolineato nel rapporto di Legambiente dello scorso anno.

Ma sull’area militarizzata di Teulada e, in generale, sulle servitù e il demanio militari del territorio isolano si incrociano una serie di tematiche di interesse generale che riguardano l’intera popolazione sarda e l’interlocuzione Stato-Regione: non solo ambiente, ma anche salute pubblica e beni culturali, che mettono in discussione la presenza dell’Esercito e, quindi, della Brigata Sassari sul nostro territorio. Nelle aspre polemiche di quest’ultimo mese, è stato più volte rimarcato che la battaglia politica contro l’eccessiva militarizzazione della Sardegna non intende rappresentare “fuoco amico” contro la nostra Brigata: riferendo in Consiglio regionale, il Presidente Pigliaru ha affermato: “Abbiamo grande rispetto per il ruolo delle Forze Armate e per il loro compito istituzionale, rispetto rafforzato dal legame dei Sardi con la gloriosa Brigata Sassari”, e così anche l’On. Pili nella sua interpellanza urgente alla camera: “La Brigata Sassari non è merce di scambio con nessuno. E’ la storia della Brigata Sassari che ci insegna a rispettare quelli che hanno difeso i confini della Patria”. Tanto clamore ha comunque innalzato la tensione tra popolazione civile e residenti con le stellette, facendo venire meno la serenità di quanti operano sul territorio (vogliamo forse dimenticare, per citarne solo due, l’intervento della Brigata Sassari nell’alluvione di Olbia o nelle attività di prevenzione e contrasto agli incendi?) e dei 650 uomini e donne oggi in Afghanistan, a cui arriva l’eco fastidioso di quanto sta accadendo nell’Isola.

Il malessere dei Sassarini è stato espresso in un comunicato ufficiale dal rappresentante COCER Esercito che ha rilevato “la forte apprensione dei militari per l’incertezza circa il proprio futuro lavorativo; tutto ciò motivato da un bombardamento mediatico inneggiante alla chiusura dei poligoni militari e alla riduzione della presenza degli stessi all’interno della Regione Sardegna”, sottolineando inoltre che “oggi il poligono militare di Capo Teulada risulta essere la prima realtà economica del Sulcis. Al suo interno risultano impiegati permanentemente circa 900-1.000 dipendenti del ministero della Difesa e le relative famiglie che risiedono nei comuni limitrofi”. Al comunicato del COCER si è unito quello delle “mogli con le stellette” preoccupate il clima di tensione in cui sono costrette a vivere le loro famiglie, e per gli sviluppi futuri che, qualora vi fosse una riduzione o una chiusura del poligono, prospetterebbero come unica soluzione una ulteriore emigrazione dei loro mariti per motivi di servizio, e un ulteriore spopolamento e impoverimento del Sulcis.

Il Presidente Pigliaru, che durante la Conferenza nazionale sulle servitù militari non ha sottoscritto l’intesa tra Ministero della Difesa e Regione Sardegna, ha esposto le richieste del governo regionale allo Stato: tutela ambientale e della salute, tempi certi per attivare i processi di riequilibrio, avvio di processi di riconversione delle attività tramite programmi di ricerca tecnologica, innovazione e sviluppo; un percorso condiviso per la valutazione dei costi da mancati sviluppi alternativi dei Comuni nei quali insistono i poligoni; la fluidificazione dei processi di dismissione e acquisizione al patrimonio regionale dei beni immobili demaniali non più necessari alla Difesa; l’immediata estensione del periodo di sospensione delle esercitazioni, che non dovranno più svolgersi dal primo giugno al 30 settembre; l’immediata esclusione degli indennizzi dal calcolo degli spazi finanziari definiti dal patto di stabilità interno e l’istituzione, presso i Poligoni, di Osservatori ambientali indipendenti.

In una situazione di crisi economica e sociale, in cui i Sardi sempre più si sentono preda della morsa sfruttatrice di uno stato coloniale, va rilevato come il generalizzato disinteresse delle istituzioni nazionali nei confronti dell’Isola venga ancor più amplificato in questo caso dalla carenza di una comunicazione efficace tra Ministero della Difesa e opinione pubblica. Le Forze Armate hanno un ruolo fondamentale per lo Stato e questo non può essere opacizzato o minimizzato per tenere a bada i diversi orientamenti pacifisti o ambientalisti. In questo senso, l’assenza di dialogo e la mancata costruzione di consenso intorno a specifiche tematiche che riguardano la sicurezza di popolazione e territorio servono solo ad amplificare la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni anche laddove, come in Sardegna, già esiste una osmosi virtuosa tra Brigata Sassari e società civile, realizzata grazie a forme di collaborazione civile e militare di cui hanno beneficiato entrambe le sfere.

Sulle legittime richieste del governo regionale (anche se non è chiaro quali siano le proposte alternative per ridurre la presenza dell’Esercito senza perdere l’indotto che essa produce) ci sarà sicuramente da discutere al tavolo ministeriale, ma è un fatto che qualsiasi decisione politica futura non potrà non tenere conto che ad oggi il Ministero della Difesa è, probabilmente, il primo datore di lavoro nell’Isola, e che qualsiasi decisione si ripercuoterà sull’esistenza in vita della Brigata Sassari. Questa è la preoccupazione espressa sottovoce dai militari sardi, ed esplicitata pubblicamente dal Gen. Giangabriele Carta, 30° Comandante della Brigata Sassari: “Come potrebbe la Brigata Sassari continuare ad esistere senza un’area addestrativa adeguata ad una Unità di altissima prontezza operativa? Le altre Brigate dell’Esercito dispongono di aree addestrative vicine alle sedi stanziali, mentre i Reggimenti della SASSARI dispongono solo di Capo Teulada; infatti, come è noto, Sassari, Macomer e Cagliari hanno solo caserme. È quindi impensabile che un Battaglione della Brigata, a turno, venga trasferito ogni 15 giorni per esercitazioni; il costo di mandare diverse centinaia di uomini e decine di mezzi operativi sarebbe impossibile da sostenere per i poveri contribuenti italiani. Da qui la logica conclusione: anche la Sassari sarebbe destinata alla chiusura, in verità con grande soddisfazione di qualche Generale “romano” che vedrebbe con l’occasione la possibilità di poter rimpolpare le Brigate Alpine con i nostri soldati”.

La Brigata Sassari appartiene alla memoria sociale dei Sardi, dal momento che ha rappresentato, e continua a rappresentare, un elemento distintivo dei nostri valori, della nostra cultura e della nostra storia di popolo, con buona pace di chi la identifica con un mito eteroimposto dalla cultura italiana dominante. Non resta che augurarci che tra le istanze di tutela ambientali, di salute pubblica venga tenuta in debita considerazione anche la tutela di un simbolo identitario la cui presenza significa ancora molto per i Sardi di ieri e di oggi, e non solo in una prospettiva economica.

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