A NEW YORK PER AIUTARE CHI SOFFRE: DA SILANUS IL LUNGO VIAGGIO OLTREOCEANO DI ISABELLA MASALA

Isabella Masala con il marito Angelo Curreli


di Antonio Mannu – Progetto Migrazioni

Questa pagina, già pubblicata sul quotidiano La Nuova Sardegna, nasce dal progetto: “Migrazioni – In viaggio verso i migranti di Sardegna”, un lavoro collettivo di ricerca sulla migrazione sarda. Durante lo sviluppo del progetto sono stati sinora visitati 11 paesi. “Migrazioni” è sostenuto dalla Fondazione Banco di Sardegna, dalla Provincia di Sassari, dalla Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi e dalla Visual E di Sassari. Al progetto è dedicato un sito web: www.deisardinelmondo.it

«A volte mi chiedono cosa fa mio padre. Allora cerco di spiegare che è un poeta improvvisatore, che ha le doti, la capacità di salire su un palco, prendere un tema e cantarlo, tenendo conto della rima e dell’avversario». Isabella Masala è nata a Silanus nel 1967. Dal 2008 vive a New York con il marito Angelo Curreli e i figli Glenn e Marta. Nella metropoli Isabella ed Angelo arrivano nel 1995, restano sino al 2004. Poi fanno la spola per qualche anno tra Londra e gli Usa. Isabella è figlia di Lina Tola e di Mario Masala, cantore a poesia. «Quando ero bambina vedevo mio padre farsi la barba e cantare allo specchio. Avevo 4 o 5 anni e mi chiedevo: Ma cosa fa? Canta con lo specchio? Quando ho iniziato a capire cosa faceva mi son sentita protetta. Pensavo: sa fare una cosa che nessun altro sa fare».

Isabella è la quarta di sei figli. Fa le elementari e le medie a Silanus, frequenta il liceo a Macomer. Poi va a studiare a Pisa, Lingue e letterature straniere. «Avevo intenzione di studiare a Sassari, sono stati i miei genitori a propormi di andare fuori. A loro pareva che la Sardegna mi stesse un poco stretta». Era vero, Isabella un poco si annoiava, forse perché cercava cose che Silanus non offriva. Ama lo sport, le piace nuotare, ma in paese la piscina non c’era. «Però mi sono divertita tanto: uscivo, giocavo con amici e amiche senza bisogno di giocattoli, bastava la compagnia. Ma anche da piccola la vita di paese mi stava un po’ stretta: la disciplina in casa, troppe cose da apprendere. Fare il pane, anche se non ho mai imparato; ma dovevamo aiutare, io e le mie sorelle. Si uccideva il maiale e bisognava fare salsicce e prosciutti. C’era la raccolta delle mandorle per i dolci, la preparazione della conserva di pomodori, il lavaggio del grano per fare la farina. Cose che una brava ragazza doveva fare per forza». E invece le sarebbe piaciuto stare sempre a giocare. Altri ricordi di Isabella: «I racconti di nonna, di mia zia, di mamma. Sedersi fuori a friscurare d’estate. Uscire di casa, stare insieme ai vicini, parlare del più e del meno. Da quando sto qui a New York mi manca l’estate in paese».

Ma non ci sono solo rimpianti, prova rabbia quando pensa alle potenzialità inespresse della Sardegna. «Ogni anno, quando rientro a Silanus, l’isola mi appare sospesa in uno stato vegetativo, anzi regressivo. Penso ci siano responsabilità dei politici, ma non solo. Aspettiamo ancora che qualcuno venga di là dal mare per prendersi i nostri tesori e fare cose che potremmo fare noi altrettanto bene, forse meglio. Perché? Di questo mi piacerebbe chiedere conto alla nostra classe politica». E New York? «Per me è la migliore città al mondo», risponde senza esitare, anche se aggiunge che all’inizio, nel 1995, l’impatto fu duro, soprattutto fu difficile il distacco dalla Sardegna. «Pensavo e dicevo continuamente: da noi ci si conosce tutti, ci si saluta mattina, pomeriggio e sera. Qui uscivamo e non conoscevamo nessuno. Poi ho scoperto una città che offre mille possibilità, qualsiasi cosa vuoi fare puoi farla, puoi essere te stessa, esprimerti, nessun. o ti giudica. E non l’ho mai percepita come una città fredda, come invece mi accadeva a Londra. Qui, se nella metro consulti una mappa, è probabile che qualcuno ti si avvicini e chieda: serve qualcosa? A Londra sono svenuta in autobus, ero incinta di 7 mesi e non mi ha aiutato nessuno. È stato bruttissimo».

Dopo la nascita di Glenn e Marta Isabella smette di lavorare, decide di occuparsi della famiglia. Dal suo punto di vista seguire in maniera adeguata i figli e lavorare non è possibile, e in questo modo riesce anche a coltivare alcuni suoi interessi: lo sport, le mostre d’arte e i musei, il volontariato. Isabella infatti da anni collabora con una associazione per la prevenzione dei suicidi che garantisce un servizio di ascolto telefonico. In passato ha fatto l’operatrice, ora si occupa di lavoro d’ufficio. Racconta che nel 2001, dopo l’attentato alle Twin Towers, ci fu un’impennata nel numero delle richieste di aiuto: «Il telefono squillava continuamente, è andata avanti così per mesi. Una ragazza di 19 anni ha chiamato per 3 settimane, ripeteva sempre la stessa cosa: “Ho visto persone lanciarsi dalla finestra, c’era sangue nei miei piedi”. Durante l’ultima drammatica telefonata – racconta Isabella – si è tolta la vita. È stata dura, ma lo è sempre. Si avvertono sensi di colpa, frustrazione: dall’altra parte del filo c’è chi sta pensando di farla finita; tu puoi solo ascoltare e parlare».

Come hai vissuto l’11 settembre? «Erano le nove meno un quarto, stavo per andare all’Università. Squilla il telefono, mio fratello da Cagliari. Mi chiede cosa stia succedendo, se ho saputo dell’aereo sulle torri, lo ha appena visto in tv. Rispondo: non so nulla, devo chiudere, devo chiamare Angelo, che lavorava nella zona di Wall Street. Accendo il televisore, chiamo e mentre parlo con Angelo vedo schiantarsi il secondo aereo. Cade la comunicazione. Ero disperata. All’epoca abitavamo nel Queens, per raggiungere Manhattan bisognava attraversare i ponti ma erano bloccati. Dopo una lunga mezz’ora mi sono detta: vado, a tutti i costi. In quel momento ha chiamato Angelo. Mi ha detto che, per sicurezza, stavano andando nello scantinato dell’edificio, che non aveva idea di quando sarebbe potuto uscire. Ci siamo salutati così. L’ho risentito alle quattro del pomeriggio. “C’é tantissima polvere, non vedo nulla – mi ha detto –, è impossibile respirare. Ho un asciugamano bagnato intorno alla testa. Cercherò di raggiungere Chinatown.” Dopo un paio d’ore ha chiamato. Mi ha detto che c’erano dei bus che andavano verso i Queens . È arrivato a casa verso le nove. Dodici ore di terrore – dice Isabella –, ma per fortuna per noi è andata bene».

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6 commenti

  1. Emanuela Pacifico (New York)

    Toghi!

  2. Bella storia quella di Isabella,
    figlia di Mario il miglior improvisatore dialettale sardo,
    me la ricordo sempre col sorriso tra i denti , aveva 8 anni, quando si faceva parte del gruppo folk Santu Larettu, Gruppo ancora in attività dopo 40 anni, una delle migliori interpreti del ballo Silanese, (una fozza)(leggera come una foglia).
    Augurio alla famiglia Curreli-Masala lunga vita “a su piaghere insoro” e che siano da esempio per i loro figli come lo sono stati per lei Mario e Lina.

  3. Vale Nate (Pisa)

    bellissima intervista Isa, trovo cio’ che hai detto molto vero, soprattutto per quanto riguarda la situazione in Sardegna. e’ bello sentirti parlare della tua esperienza, anche se gia’ la conosco…ma e’ sempre bello risentirla. Continuo ad essere in disaccordo con te quando dici che Londra e’ fredda…o meglio accetto e capisco che la tua esperienza e’ stata questa e che l’hai vissuta cosi….ma l’episodio della metro e del tuo svenimento e del mancato soccorso e’ stato un caso…magari non unico ma raro. Anche a NY , quando vivevo li e vomitavo nella metro incinta di Giulia nessuno se ne poteva fregare di me e non mi ha mai chiesto se avevo bisogno di aiuto…questo e’ un problema di qualsiasi citta’ grande e frenetica come NY o Londra…NY offre tutto perche’ giustamente e’ una citta’ cosmopolita e ricca di iniziative…e cosi si puo’ dire di Londra a mio parere. Per concludere e non per criticare…voi siete una coppia molto bella, intrprendente e da voi molti dovrebbero prendere spunto e riflessione. un abbraccio forte e …continuate cosi che siete forti!!!!!! <3

  4. la tua intervista trasmette la saggezza di una donna che ama la sua terra nel contempo vi è tanta tristezza nel vedere i sardi privi dell’entusiasmo per migliorare la loro esistenza…
    chiedo scusa sono gino boy, vivo a rieti pero’ torno a villasimius per le vacanze dove tra i colori di un mare meraviglioso mi ricarico per il mio lavoro. sono un pittore scultore ceramista.
    puoi indicarmi una galleria per poter esporre a new york? Grazie per la gentile attenzione ed auguro a te e famiglia il sommo bene. Saludi e trigu gino boy

  5. salve mi chiamo Gino Boy ,sono di origine sarda e vorrei poter aiutare la vostra associazione . sono scultore ,pittore e ceramista se potete e volete si può organizzare una mostra a scopo benefico con le mie opere . Grazie per l’attenzione e auguri sinceri per la vostra iniziativa. Gino Boy

  6. complimenti Isabella, ho letto ora l’articolo , un caro saluto

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