NAPOLITANO E IL DISCORSO CHE VALE TUTTO L'ANNO … ANCHE E SOPRATTUTTO IN SARDEGNA

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di Moreno Pisano

Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica è l’occasione ufficiale per un bilancio dell’anno appena passato, in questo caso del settennato di Giorgio Napolitano, rivolgendosi direttamente a tutta L’Italia. Una tradizione che fa entrare nelle nostre case alle 20:30 del 31 dicembre il Capo dello Stato a reti unificate mentre ci stiamo accingendo a sederci a tavola. Quest’anno ho prestato più attenzione a questo rito laico-repubblicano nel momento in cui ho sentito la parola Sardegna, collegata alla narrazione di una crisi generale che da noi coinvolge tutta la Regione e che è stata constatata da vicino dal Capo dello Stato. Non troppo vicino però se pensiamo all’ultima visita in Sardegna  che risale al 20 febbraio 2012, un’occasione che segna una rottura tra L’isola e lo Stato. Ai provvedimenti presi per garantire la sicurezza si aggiunge la contestazione di operai e cassaintegrati che non hanno avuto la possibilità di parlare col Presidente Napolitano il quale si è sorpreso delle contestazioni. Ha risposto a chi lo ha fischiato sia a Cagliari che a Sassari, affermando che lui non è il “rappresentante delle banche” (quello è Monti…) e che “non si contesta con grida futili”. Andiamo oltre, c’è in questo discorso una profonda analisi della crisi che passa per la realtà economico sociale alle scelte del governo in quest’ultimo anno, presupposti per avere le idee chiare su cosa fare da domattina. E c’è anche il riconoscimento del ruolo dei giovani, del loro coraggio e della speranza, quella che non passa mai di moda, neppure quando sei figlio di un disoccupato del Sulcis e hai deciso di abitare in tenda sotto il consiglio regionale in attesa di risposte mentre tuo padre passa parte del 2012 su una torre o in una miniera per protesta. Ecco perché non c’è più tempo. Perché in un anno nella nostra terra l’occupazione è diminuita di 13 mila unità, nel giro di un trimestre si sono persi 4 mila posti di lavoro, un anno fa la disoccupazione si attestava all’11%, quest’anno è al 14%. Poi c’è il dato sui giovani, la disoccupazione è al 45%. Non c’è più spazio per l’attesa. Il 2013 deve essere l’anno delle risposte da dare alle nuove generazioni, e la prima risposta concreta che ci deve, a noi giovani, il prossimo governo, si chiama ripresa economica, una recessione che deve mutare rotta e realizzare oggi quella che sessant’anni fa abbiamo chiamato “ricostruzione”. Perché questo Paese ha bisogno di uscire da una crisi che ha distrutto le speranze, le industrie, le piccole imprese, le aziende agricole. Per fare ciò il nord deve smetterla di usare il mezzogiorno come un alibi, una scusa per non crescere, mentre il sud deve sganciarsi da logiche assistenziali, deve imparare a essere efficiente, autonomo e creativo. Per tutta Italia i fondi europei devono essere il pane quotidiano con cui rigenerarsi, e il meridione deve ancora di più imparare a gestire questi finanziamenti perché sono l’unica e ultima occasione per salvarsi. Per compiere questi primi passi di rinascita è ovvio che tutti noi, soprattutto i giovani, dobbiamo partire con le stesse condizioni da uno stesso stato che appiattisca finalmente le diseguaglianze sociali. Non si può continuare ad avere una popolazione che è condannata a vivere peggio dei padri e la via sta nello sguardo di chi oggi vive la scuola e l’università e la vorrebbe migliore, per il presente e per il futuro. Non dovremmo più assistere a manovre finanziarie che si dimenticano dei grandi patrimoni e colpiscono l’indicizzazione delle pensioni, che costringano un malato di Sla a fare lo sciopero della fame per mantenere nella Sanità i soldi per i malati gravi non autosufficienti. Non si può continuare a vivere in un Paese da clandestini anche se hai l’accento della regione che ti ha visto nascere e diplomarti solo perché una stupida legge non ti vuole accettare come figlio di questa terra. Non solo è ingiusto ma è anche stupido perché l’Italia ha bisogno di nuove energie, di ragazzi italiani che rifacciano l’Italia anche se hanno la pelle scura o gli occhi a mandorla. Ancora, se non si risolve la lotta alla criminalità e non si riforma la giustizia non andremo da nessuna parte. I processi troppo lunghi, le troppe norme contraddittorie, non permettono la certezza del diritto. Mafie ed evasori fiscali devono essere colpiti duramente, per i secondi va inserita la pena carceraria. Infine la burocrazia. Il peso più subdolo che abbiamo in Italia va estirpato. Se come accennavo all’inizio non abbiamo più tempo e occorrono risposte, velocizzare l’amministrazione è essenziale e vitale. Siamo stanchi e arrabbiati, ma stiamo reagendo a questo periodo terribile con coscienza, quella di cui è intrisa il discorso del Presidente Napolitano, che dovrebbe essere ascoltato per essere messo in pratica ogni giorno. Il mio augurio va a Federico di Iglesias, il primo nato in Sardegna nel 2013, che possa vedere la sua terra senza la crisi e la disperazione di questi anni e che possa essere uno dei tanti sorrisi che popoleranno la Sardegna nei prossimi anni.

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