TRA GLI EMIGRATI DEI CIRCOLI DI PARABIAGO E CINISELLO BALSAMO PER LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI VALENTINA USALA

al circolo "Su Nuraghe" di Parabiago, da sinistra: Jonathan Della Marianna, Mariella Cortès, Sergio Portas, Maria Francesca Pitzalis, Valentina Usala, Piero Ledda


di Sergio Portas

 

Andar per circoli sardi a presentare libri di sapore isolano è correre dietro a sentieri lastricati di esperienze dettate dal distacco, invariabilmente rivolte a sensazioni di vite che avrebbero potuto essere, più felici senza ogni dubbio, visto l’assenza di termini di vero paragone, imbelliti questi sì dai ricordi, di cose e di case e di gente che  è rimasta in un altrove, per sempre fissata in una foto scolorita e pure nitidissima, che il più delle volte a riportarla a memoria ti fa venire le lacrime agli occhi. Vado assieme a Mariella Cortès, giornalista free-lance dell’asse Milano-Desulo, a parlare del libro di Valentina Usala: “Passo a quattro mori”, Arkadia editore. Nata in continente Valentina (nell’87 a Tortona), il babbo di Escalaplano, i due leoni rampanti dello stemma comunale che reggono la “scala che vi farà salire fino all’altopiano”(Scalapranu) sono quelli della nobiliare famiglia Carros. Gente che combatteva contro Arborea per il controllo del castello di Quirra. Poco più di duemila abitanti, tra i cento e cento e cento e settantasette paesini di Sardegna, pochi chilometri per arrivare a Perdasdefogu, nome tristemente noto ai più a causa del famigerato poligono militare che fa di fuoco le pietre del suo circondario. Debbo stare attento a non presentarmi al ristorante di Salvatore Usala nella piemontese Tortona (cucina sarda naturalmente) che, nel leggere con quanta leggerezza  vado dicendo del suo paese, del suo paradiso perduto, non mi perdonerebbe se non dopo essermi cosparso il capo di cenere. Nel ’58, anno della sua nascita,  per riscaldare le case del paese c’era il caminetto, i miei maestri di impianti chimici mi dicevano che  il calore vi si sviluppa per irraggiamento, che vuol dire stare caldi solo nelle immediate vicinanze, eppure benessere era avere legna abbondante per alimentarlo, “una pera raccolta da un albero a Fossada, una fetta de “pani de saba” rubato nella credenza di casa (pag.13). Valentina si fa portavoce di questo papà-ragazzino che racconta il suo ultimo anno scolastico a Escalaplano, finita la quinta elementare avrebbe avuto l’opportunità, premio speciale per figli d’immigrati, di studiare in un collegio a Riano, provincia di Roma. Che il babbo suo, come uno dei suoi quattro tra fratelli e sorelle, doveva andare in continente per sfangare la vita. Il fratello maggiore in Germania come zio Giuseppe. La sorella grande a Cagliari. Mamma a casa coi due più piccoli. La vita scandita dai ritmi della campana di San Sebastiano, che avvisa di morti improvvise e di feste comandate da sempre. E in “pratza ‘e cresia” a giocare con sa bardunfula (leggi trottola) e a “mammacua”, ammirare a occhi spalancati il grande fuoco di san’Antonio abate “su fugadoni”, rimpinzarsi di “tzipulas” a carnevale, andare a chiedere “sa painiscedda” senza aspettare l’halloween dei tempi nostri. E che festa quando babbo arriva per Natale: “Poi lo vidi. La sua sagoma inconfondibile, in lontananza, con la valigia tra le mani. Gli corsi incontro e lo abbracciai forte. Lui mi prese in braccio  ed io da dietro le spalle gridai:”Oh mà, babu est arribau!” (pag.59). Che naturalmente in casa e in paese si parlava in sardo, l’italiano era per la scuola, si veniva su bilingui perfetti. Cancellare tutta questa vita dall’oggi al domani per barattarla con un’altra in cui si è gettati “da grande”, con tutti i tuoi punti di riferimento culturali, amicali, familiari che sai essere alle tue spalle, al di là del grande mare che pur hai dovuto attraversare, è cosa impossibile a farsi. E se pure Salvatore, Tore, Torixeddu Usala al suo paese farà ritorno, per lasciarlo una volta ancora sedicenne alla ricerca di un lavoro in continente, niente sarà mai più come quell’ultimo anno scolastico. Descritto in questo libro, Valentina a mettere in bella calligrafia i ricordi di babbo, troppo intensi per non averle attaccato la febbre di questa terra mitica, dove tutto aveva un senso mirante al benessere delle persone e, fino i morti, se ne andavano all’al di là seguiti da un motto di spirito di tzia Ogénia : al dottore che consigliava i presenti di coprire il cadavere: “Su Dottò, abarrit chietu. Non podet tennèri frius!”(pag.97). Sia a Cinisello Balsamo che a Parabiago, i due circoli sardi dove l’abbiamo presentato ha destato la commozione che è capace di suscitare. Valentina poi si porta dietro un “video” con le immagini del paese di cui si favoleggia. A Parabiago persino un paesano di babbo suo, giovanissimo suonatore di launeddas, che fa piombare la sala piena di gente, alle pareti una serie di coloratissimi arazzi di Isili (la presidente Francesca Maria Pitzalis viene da lì), come energia d’astronave presso il nuraghe “Is Paras”, diceva Lilliu “la più vasta e armonica delle thòloi sarde”. Con Mariella Cortes che sa fare le domande giuste, non come me che mi arrampico sui vetri e per accattivarmi l’uditorio mi tocca di raccontare di quella volta che in quel di Parabiago andai a sposalizio con una ragazza del posto, rione San Lorenzo in verità, ma era il ’79, una vita e mezzo fa. Debbo dire che che si fanno in questi casi incontri assolutamente improbabili. Il Sandro Usai di Guspini non è parente dei miei cugini che tennero il macello di nonno Pasqualino Portas per più di trent’anni. A Cinisello Balsamo in compenso, facendo il gioco:” Sardo ma da dove?” a un tale che mi dice essere di Dualchi non posso non ribattere che da lì veniva anche il mio nonno materno, Domenico Cherchi. Ma anche io mi chiamo Cherchi fa lo sconosciuto. Considerando che in Dualchi non arrivano a essere in mille ci è voluto poco a riconoscere in lui il nipote di quello che per me era tziu Battista, uno dei  fratelli di nonno Domenico. Gli stessi occhi celeste chiaro, Angelo, Angelino Cherchi, mio cugino di secondo grado. Con alle spalle dieci anni di Germania. Le probabilità che ci incontrassimo qui a Cinisello per la prima volta debbono essere le medesime di quelle occorrenti a vincere la lotteria di capodanno ogni volta che compri il biglietto. Qui a Cinisello, fuori la porta due piante di mirto con le bacche becchettate dai merli come neanche a Montevecchio, comandano i “sardi di ritorno”: Carla Cividini, bergamasca che di sardo ne ha sposato uno e in un solo colpo si è presa due amanti: lui e la Sardegna. Amore che ha trasmesso ai figli, nati qui ma, il maschio,è rientrato a Elmas dove ha trovato lavoro. La vice è Maria Mura, di Terralba, anche lei sposa a un padano ma il figliolo Massimiliano Parlato ha messo su il blog di “Tottus in pari”, che tutto dice di quale sia la terra dove batte il cuore quando si dice “casa”. E anche per Valentina Usala il demone che l’ha spinta a scrivere questo suo primo libro parla una lingua altra dal piemontese delle parti dove vive e studia, balla “ su ballu tundu”, a “Pasca manna” si mette in testa la brillantina e veste la camicia più bianca per “S’Incontru”, il giorno dei morti “a campusantu” orna le tombe con “s’arrosa de monti”, di cui è piena l’Ogliastra. Ma che fine avrà fatto il paese che Torixeddu Usala si è lasciato alle spalle , viene voglia leggendo il libro di farci un salto per vedere se è sopravvissuto alla “modernità”, ancora oggi è usatissimo l’olio di lentischio, olio povero, le cui bacche si colgono in inverno quando da rosse diventano nere, vengono spremute pestandole coi piedi, quasi fossero uva da mosto. In primavera c’è una sagra famosa che ne esalta potenzialità culinarie ( con esso si unge il formaggio di pecora “axridda” che poi viene coperto di argilla) e curative ( pare che non abbia concorrenti come lenitivo se ci si fa macerare un geco). Ancora oggi sono molti gli escalaplanesi che partono in cerca di lavoro, quando toccò a Torixeddu di partire:” Caricammo i bagagli, o meglio una sola valigia, con i miei pochi vestiti. Solo quelli potei portare… anche se avrei preferito portarmi dietro rami di mirto, un pugno di terra, l’acqua delle fonti e del rio, un pezzo di cielo, i rintocchi de
lle campane, le note dell’organetto, il profumo dei cibi, il suono del vociare delle persone, tutto insomma. Tutto. Ma in quel caso cento valige non sarebbero state sufficienti” (pag.115).

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2 commenti

  1. Anna Maria Aloi (Cagliari)

    Dear Partners, Colleagues and Friends,
    We would like to wish you a Merry Christmas and a Happy New Year.
    We will be out of the office between December 22nd, 2012 and January 6th, 2013.
    Please send any inquiries to erasmus@unica.it and we will answer during the second week of January.
    Best regards.

  2. Piero Ledda (Parabiago)

    Una bella giornata in buona compagnia

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