LA NUOVA EMIGRAZIONE SARDA E' RAPPRESENTATA DAI GIOVANI "UNDER 40": SONO PIU' DI TRECENTOMILA NEGLI ULTIMI DIECI ANNI

Claudia Loi originaria di Elmas, vive a Barcellona


di Luigi Barnaba Frigoli – Unione Sarda

Crisi, disoccupazione, mancanza di possibilità. Oppure, semplice voglia di viaggiare e conoscere il mondo. Sono tanti, e complessi, i motivi che spingono i giovani italiani a fare le valigie per trasferirsi all’estero. Ma qualunque sia la spinta, il fenomeno sta ormai assumendo le proporzioni dell’esodo. Eloquenti i numeri: secondo l’Aire (Anagrafe Italiani Residenti Estero), dal 2000, i connazionali espatriati di età compresa tra i 20 e i 40 anni hanno registrato un incremento pari a 316mila unità, mentre solo lo scorso anno, il numero di under 40 che hanno preso il volo ha sfiorato quota 30mila. E qualcuno parla già di “nuova emigrazione”. Luca Trotta ha 35 anni ed è ricercatore. Da qualche settimana, da Milano, è sbarcato in Finlandia. A Helsinki. Qui vive la sua ragazza. Ma l’amore è stato solamente la scintilla decisiva. «L’idea di emigrare l’avevo da un po’», racconta. «Poi, negli ultimi mesi, il mancato rinnovo del contratto e le difficoltà economiche l’hanno resa una necessità». Cosa ha lasciato nel Belpaese è presto detto: «In Italia ho lavorato come biologo per 7 anni, borsista, con stipendi molto magri e ogni anno tanta incertezza sul rinnovo. Ho anche dovuto prendere un diploma di specializzazione che mi è costato quasi mille euro, ma che non è servito granché. Mi è andata pure bene rispetto a tanti colleghi perché non ho mai dovuto lavorare gratis». Poi la goccia che ha fatto traboccare il vaso. «Quest’anno ad aprile sono rimasto a piedi, con un mutuo e pochi soldi da parte». Ed ecco il bivio: continuare a navigare a vista o prendere il largo? Dopo tante delusioni e disillusioni, la seconda opzione ha vinto a mani basse. E le differenze si vedono. «Sono qui da un mese – continua Luca – e lavoro in università, per la prima volta con un contratto che può essere definito tale e mi sento più tutelato per quel che riguarda ferie, malattie e assistenza sanitaria». Piccole cose, forse, ma che danno dignità e speranza a chi si mette in gioco in società. Altro esempio? «La semplicità», prosegue Trotta. «La burocrazia qui è meno limitante e in poche ore ho potuto richiedere tutti i documenti che mi servivano, mentre nella situazione inversa, quando la mia ragazza ha richiesto gli stessi documenti a Milano, ci abbiamo messo tre mesi, svariati permessi al lavoro e l’intervento di un amico che lavora in Comune. Inoltre, qui, col mio contratto, ho potuto avere una carta che mi permette di avere un sacco di agevolazioni, dai trasporti allo sport. E c’è anche un vero sistema di sussidi di disoccupazione». In soldoni, «in Finlandia si può veramente parlare di welfare». Ovviamente, tra i nuovi giovani emigranti, non mancano i sardi. Ragazzi cui non pesa lasciare l’Isola per studiare o lavorare fuori. In continente, ad esempio, come Antonella Piras, Massimo Cossu, Maurizio Mura e Marina Desogus, universitari a Bologna. Pur lontani, però, non hanno certo dimenticato la propria terra, tanto da essersi subito aggregati al Gruppo giovani della Federazione dei circoli sardi in Italia, guidato da Giancarlo Palermo. Claudia Loi, 34enne di Elmas, Cagliari, invece, ha scelto l’estero. Ma, ci tiene a dirlo, «non perché a casa stessi male». Ha studiato lettere antiche e tramite l’Erasmus ha vissuto un’esperienza a Barcellona. Però, anziché tornare, ha deciso di restare. Ora gestisce un bar ed è contenta della sua vita. «Qui sto benone. E sono orgogliosa della scelta. Fatta all’insegna della libertà e del desiderio di trovare la mia dimensione». In tempi di vacche magre, ripetono gli esperti, è imperativa una decisa “attitudine alla flessibilità”. Ma per molti la linea guida sembra essere piuttosto “fare buon viso a cattivo gioco”. Anche a costo di stravolgere anni di studi ed esperienze. Lo sa bene Viviana Greco, 31 anni. Un diploma all’Istituto Europeo di Design di Milano e una laurea triennale in Storia dell’Arte. In mezzo, una miriade di lavori. «Grafica, curatrice, cameriera, ufficio stampa, case editrici. Tutte esperienze iniziate con lo snervante invio dei curricola e terminate perché legate a stage, fallimenti, mancati pagamenti o esaurimenti miei». Poi la decisione di fare tabula rasa e ricominciare daccapo, dagli antipodi, con un master in cooperazione internazionale. Suggellato, anche in questo caso, da un biglietto aereo. «L’anno scorso – ricorda – dopo l’ennesimo periodo di stallo, ho iniziato a interessarmi a diverse Ong locali, trovandone infine una tramite amici. Sostanzialmente è un centro educativo per bambini dai 3 ai 14 anni. Figli di famiglie indigene sulle sperdute montagne del Chiapas a cui durante gli anni sono state espropriate le terre e che sono state perseguitate per motivi politici o religiosi». Mica male per chi ha passato anni tra i banchi a smanettare in Photoshop. Ora, completato il master, una nuova avventura, ancora in Messico. «A contatto con piccole comunità nelle montagne, per aiutarle a costruire i loro diritti, specie delle donne e dei bambini». Un modo per lasciarsi alle spalle l’opaco mondo italiano (e occidentale), dove molto spesso lauree e altri pezzi di carta «non servono a nulla». Lucio e Fiorenza da quattro anni hanno messo radici a Perth, Australia. Dove sono nate le loro bimbe. Una scelta, quella di stabilirsi all’altro capo del mondo, non dettata dalla necessità, visto che, allora, la crisi non era ancora galoppante. In ogni caso, i semi del loro talento (nel settore grafico lei, nella ricerca sociale lui) hanno trovato terreno fertile per esprimersi e germogliare. «In generale qui è molto più facile fare la maggior parte delle cose, dall’acquisto di un’auto al rinnovo della patente, e tutta la burocrazia si sbriga in fretta», spiegano. «Gli ambienti professionali sono altamente meritocratici, l’organizzazione del lavoro è più sistematica e funzionale, infine c’è un’incredibile attenzione al “work life balance”, vale a dire che i tuoi datori di lavoro sono perfettamente consapevoli del fatto che hai una vita al di fuori dell’ufficio e sono i primi a rispettarla. Ovviamente si lavora tanto, però ci si viene incontro. Ad esempio, entrambi abbiamo contratti part time e i nostri giorni sono flessibili, in base alle nostre esigenze (bambine malate o altro), oppure alle loro (consegne da rispettare ecc.). Chiariamo: per trovare lavoro qualificato è indispensabile possedere una solida esperienza. Un titolo di studio da solo non è sufficiente se non accompagnato da rilevante esperienza sul campo. È molto più facile invece trovare lavori occasionali, anche se è indispensabile una buona dose di intraprendenza». Conclusione? «Qui si sta davvero bene, il posto è incantevole e siamo sicuri che quando lo lasceremo, lo rimpiangeremo. Ma ci piace pensare che un giorno torneremo a casa, perché anche l’Italia è bellissima, e gli italiani, specialmente all’estero, sono stupendi. Devi stare lontano per un po’ per rendertene davvero conto». Altro caso topico è quello dei talenti “coltivati” in Italia, ma giocoforza destinati a “sbocciare” altrove. Alessandro Achilli ha 30 anni ed un promettente dottorando in lingue slave. Conosce, oltre a inglese, francese e tedesco, anche il russo, l’ucraino e svariati idiomi degli Stati ex sovietici. Traduce Dostojevski e Tolstoj. E ha ottenuto con facilità dottorati e borse di studio dalle università italiane. Avanti e indietro da Mosca e dal Caucaso, sta ora completando la sua tesi di dottorato, sovvenzionato (mille euro al mese) dalla scuola pubblica italiana. Ma fino al 2015. E dopo? Che succederà? «Per ora posso ritenermi fortunato, visto che sono sostanzialmente pagato per studiare e fare ricerca nel mio ambito. Ma la visione che posso avere è a scadenza. Massimo tre anni, senza alcuna certezza per il futuro. Nessuno, i miei stessi professori me lo ripetono, mi garantirà un posto fisso o un contratto da docente o da ricercatore». In tre anni, però, possono cambiare tante cose. «Non in Italia. Visto l’andazzo della scuola nostrana è praticamente impossibile che qualcosa cambi». Soluzione? «Se qui non troverò nulla, dovrò necessariam
ente andarmene. Se no per cosa avrei studiato tutti questi anni?». In pratica, il talento italiano che si è formato grazie alla nostra scuola pubblica andrà, causa mancanza di prospettive, a mettere il suo sapere al servizio di altre scuole. Di altri Stati, europei e non. Che raccoglieranno i frutti seminati da altri. Un autogol mica male. Tra il partire per bisogno e il partire per piacere, esistono, in ogni caso, le vie di mezzo. E, si sa, molto spesso, è proprio nel mezzo che sta la virtù. FrancescoLa Rosaè nato nel 1978. Per anni ha cercato la sua strada giocando in casa, adeguandosi, provando e riprovando. «Educatore, cameriere e chi più ne ha più ne metta. Sempre e comunque precario». Poi è partito per un viaggio in Australia. Dall’Australia è passato alla Malesia. Quindi è salito a bordo di una barca a vela e ha attraversato l’Oceano Indiano fino al Sudafrica. Non contento, ha proseguito, destinazione Brasile. Ora è ritornato all’ovile. «Per ritrovare un po’ di stabilità, ciò che quando sei lontano ti manca di più». Ma chi lo conosce da una vita sa che non si fermerà a lungo. Da giramondo vero, forse, lui sì, ha capito tutto: «Bisogna farsene una ragione: il posto fisso al giorno d’oggi è un miraggio. La precarietà regna sovrana. Ma se proprio devo essere precario, preferisco esserlo su un’isola tropicale che in una grigia città. In questo modo posso mantenermi e tirare avanti e allo stesso tempo vedere il mondo». E dell’Italia, che opinione ha un globetrotter come lui? «Se ci vivi, ti incazzi a morte di fronte a ciò che non va. Ma è proprio girando e vedendo con i tuoi occhi altri Paesi che comprendi quanto sia, nonostante tutto, una grande nazione. Basterebbe così poco per valorizzarla a dovere e condurla ad eccellere». Tirando le somme, assai variegata è la gamma di motivazioni che spingono i giovani a salire su un aereo verso lidi lontani. Che sia per bisogno o per diletto, una certezza c’è: sela Repubblica(tra l’altro, fino a prova contraria, fondata sul lavoro) non si dà una svegliata, rischia di perdere la sua “meglio gioventù”. Nonostante molti facciano finta di nulla, infatti, il via vai sta diventando cronico. E gli argini che vengono posti (come il milione di euro messo a disposizione recentemente dalla Regione Piemonte per i talenti che decidono di tornare) sono tutt’altro che sufficienti per contrastare la marea. Una marea popolata di ragazzi con il trolley sempre a portata di mano che, check in dopo check in, costano al nostro Pil un miliardo di euro ogni anno. Eppure, per restare, le nuove generazioni non chiedono la luna. Ma solo di poter essere messe nelle condizioni di esprimersi al massimo. Avere un’occasione, unica magari, ma buona, da quest’Italia. Il Paese del Sole. Purtroppo, molto spesso, solo e soltanto dal punto di vista meteorologico.

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