NELLA TERRA DELLE ANTICHE CONTRADDIZIONI TRA NUORO ED ORGOSOLO, L'AGRICOLTURA SINERGICA DI BOBORE BUSSA

Bobore con la moglie Milena e il piccolo Antoni


di Michela Murgia

 

Bobore Bussa ha gli occhi di un nero liquido e la pelle abbronzata degli uomini in confidenza con il sole. Sua moglie Milena, una bellezza botticelliana tutta chiarori e rossori, non potrebbe essere più diversa da lui. Entrambi hanno meno di quarant’anni e sono agricoltori; in questo non ci sarebbe niente di speciale, se non che fare gli agricoltori puri in Barbagia è un po’ come fare gli sciatori professionisti in Giamaica: si corre il rischio di un’esistenza vissuta costantemente sul filo del paradosso. Il centro Sardegna ha tradizioni culturali di matrice pastorale, ostili per istinto all’approccio agricolo con la terra. È tutta questione di baricentro: la pastorizia ce l’ha nelle esigenze dell’animale allevato; le stagioni seguono la necessità delle bestie di trovare cibo e in qualunque luogo del Mediterraneo in cui le transumanze abbiano regolato gli spostamenti delle greggi, il rapporto con la terra è rimasto fluido, con l’uomo in parte stanziale e in parte nomade, docile al movimento ciclico del clima. I solchi del contadino sul terreno raccontano una relazione con la natura che obbedisce allo spirito opposto: lo spacco dell’aratro sulla zolla afferma con forza che è la terra che deve obbedire all’uomo, non l’inverso. L’allevatore, che raccoglie l’eredità millenaria dei re pastori, al di là delle durezza della sua vita si considera ancora oggi un uomo supremamente libero. Ai suoi occhi il contadino appare come uno schiavo del suo fazzoletto di terra, con la schiena sempre china come quella di un servo. Al contrario, il contadino considera il pastore come un’estensione funzionale dei suoi animali, giacché regola la propria vita in base alle loro esigenze. Su entrambi grava il conflitto di dover gestire il terreno fertile, una risorsa scarsa che dà maggior frutto agricolo proprio nella stessa stagione in cui le pecore hanno bisogno di pascolo fresco e della massima libertà di movimento sul territorio. È qui tra Nuoro e Orgosolo, nel cuore stesso di queste antiche contraddizioni, che Bobore e Milena coltivano il loro terreno di famiglia. Bobore però non è un contadino tradizionale. Laureato in scienze politiche e convinto della necessità della sovranità alimentare del suo territorio, è un fiero assertore dell’efficienza dell’agricoltura sinergica, un approccio di non lavorazione della terra che consente di coltivare tutto basandosi solo sull’associazione tra piante amiche e sul mantenimento delle condizioni biochimiche del terreno. Quando vado a trovarli mi accolgono nella casa di famiglia, una modesta costruzione affacciata sulla vista mozzafiato di Baddemanna, una delle poche valli fertili della Barbagia. Intorno il terreno è completamente coperto di paglie secche. “Mantengono l’umidità di superficie, così innaffio molto meno”, mi dice lui orgoglioso. Nel suo orto tutto sembra disposto a caso. Aglio e fragole, ceci e carciofi, cipolle, lattughe e persino fiori sono vicini di casa, senza nessuna apparente organizzazione. Mi spiega invece che le piante sono combinate con attenzione affinché si tolgano i parassiti a vicenda e non competano per i nutrienti. Con lo stesso principio lui e Milena non concimano e non fanno niente di chimico contro i parassiti; ciò nonostante le verdure appaiono in splendida forma. Oltre alla coltivazione Bobore cura la ricerca dei semi rustici delle varietà autoctone, quasi perse per le esigenze dell’agricoltura avanzata, ma le più adatte per questi territori poco generosi. Mi mostra le cicerchie, i semi robusti della varietà di grano Cappelli e almeno dieci varietà di fagioli, tra cui ne spicca uno nero con la pancia bianchissima che si chiama coloritamente brent’e monza, pancia di suora. Quella di Bobore è una fattoria didattica meta di scolaresche e emuli curiosi, ma soprattutto è un luogo in cui si produce e si vende. Bobore non si appoggia alla grande distribuzione, che lo sottopagherebbe e sprecherebbe il suo prodotto. Ha preferito rivolgersi direttamente ai nuoresi con una formula di consegna settimanale a domicilio che ha trovato subito risposta: le famiglie disposte ad acquistare le loro cassette di verdure sono state così tante che Bobore e Milena da soli non ce la fanno a soddisfare tutta la domanda. Così, se prima i vicini di campo hanno guardato con un po’ di diffidenza a questo contadino che produce senza spezzarsi la schiena con la zappa, adesso molti di loro hanno cominciato a imitarne l’azione; quando la protesta dei forconi ha bloccato i trasporti merci dal continente desertificando gli scaffali dei supermarket, gli unici a continuare a mangiare verdura fresca sono stati i loro clienti. Per Bobore l’agricoltura sinergica è una scelta politica. Mi parla di sovranità alimentare, di chilometro zero, ma soprattutto della necessità di una nuova cultura agricola. “Per molti anni ai figli lenti a scuola la vita agricola veniva proposta come minaccia: Se non hai voglia di studiare finirai nei campi”. Per lui invece è importante dimostrare che esiste un legame stretto tra la scuola e il campo, perché è la cultura che ti permette di scoprire che ci sono modi per lavorare bene la terra senza lasciarsi divorare dai solchi. “Oggi il contadino è la sintesi tra un filosofo e un tecnico” – mi dice serio – “Senza conoscenza ti consegni in mano alla chimica, ma senza filosofia non capirai mai di avere in mano in ogni zolla la responsabilità del futuro di tutti”. Mentre parliamo suo figlio di due anni gioca per terra con i semi dei fagioli antichi. Quando vado via me ne regalano una manciata. Piantali, mi dice Milena. Vedrai cosa può crescerne.

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