L'IMPEGNO SOCIALE A MILANO DEL SARDO VALERIO ONIDA, GIA' PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

in primo piano, Valerio Onida


di Sergio Portas

Quando al mattino ti svegli in un paese, il tuo paese, dove il massimo organo rappresentativo (il Parlamento) si è ridotto al punto, come scrive Furio Colombo nel suo blog: “… da dichiarare con voto di fiducia che una prostituta minorenne accasata ad Arcore era la nipote di un capo di Stato arabo”, ti viene da guardarti in torno alla ricerca di figure rappresentative di una morale alta, non fosse altro che per non cadere nella tentazione del qualunquismo più becero che recita il mantra del: “sono tutti della stessa pasta”. E allora sono andato a fare due chiacchiere con Valerio Onida, già presidente della Corte Costituzionale ( da ex pare che si guadagni il titolo di “emerito”). L’ultima volta che sono stato nel suo studio milanese ero in compagnia di un folto gruppo di cittadini comuni che si erano messi in testa che potesse diventare il nuovo sindaco di Milano, al posto della nefanda signora Moratti, e in spregio ai partiti cosiddetti tradizionali di sinistra che proponevano altre candidature. E’ andata diversamente, anche se il neo eletto sta dando quei segnali di discontinuità dalla precedente amministrazione, in cui militavano numerosi membri di quel Parlamento che dicevo prima, gli amici di Ruby rubacuori. Come facente parte del Comitato Etico dell’associazione  “Bambinisenzasbarre Onlus” oggi è  all’acquario civico di Milano dove si svolge un incontro pubblico per presentare il modello di accoglienza dei bambini nel Carcere di Bollate, già sperimentato a San Vittore e previsto a Opera. Detta così parrebbe che questi istituti di pena si stiano attrezzando anche per ospitare nelle loro celle dei bimbi ma, per quanto la terra di Padania ci stia abituando a discriminazioni di ogni tipo verso i minori, specie se figli di extracomunitari, le cose stanno diversamente. Gli è che in Lombardia i figli dei detenuti qui reclusi sono il bel numero di cinquemila, centomila in tutto il Bel Paese, oltre un milione nell’Unione Europea. Questi dell’associazione presentano una ricerca che titola: “Il carcere alla prova dei bambini. La prima ricerca europea sull’impatto della detenzione sui minori”. La detenzione che si intende è quella patita da uno o anche dai due genitori contemporaneamente. Non occorre ribadire l’effetto nefasto che ha per tutti il varcare i portoni blindati delle nostre carceri  ( anche per una semplice visita) che, vale la pena di sottolinearlo, stipano più di sessantottomila detenuti in spazi che ne conterrebbero stretti quarantacinquemila. Cosa che non può non contribuire ad elevare il numero dei suicidi, già alto di per sé che la gabbia non si addice alle scimmie nude che in fondo siamo, né ai custodi di dette gabbie: il numero di suicidi è anormalmente alto anche presso gli agenti di custodia. Ecco i figli dei detenuti scontano sulla loro pelle di innocenti le conseguenze dei reati dei padri, e delle madri che anche esse delinquono. Naturalmente non smettono di volere bene ai loro genitori e altrettanto naturalmente sono ansiosi di andarli a trovare anche in galera, almeno un paio di volte alla settimana. Finora venivano trattati come i grandi, perquisiti che non fosse mai si mettessero in tasca una qualche caramella alla menta per mamma, fatti annusare da cani anti droga tipo Rintintin, pastori tedeschi col vizio di abbaiare forte tanto che i più piccini il più delle volte sbottavano in pianti dirotti. E attese di ore, a ritmi di burocrazia carceraria, cugina prima della ordinaria che ognuno di noi (che non sia parlamentare) può sperimentare quando deve rivolgersi a una della istituzioni della penisola che ci ospita. E anche le isole che la circondano non mostrano differenze significative. Questi padani di “bimbisenzasbarre”, proprio per smentire il luogo comune che li vuole tutti figli di Borghezio e Calderoli, si sono inventati uno “spazio giallo” (cosiddetto perchè le pareti sono di un bel giallo brillante) dove i figli dei detenuti accompagnati da parenti possano passare quel lasso di tempo, così carico di tensioni emotive, che li separa dalla visita del loro caro. Uno spazio dove incontrano personale di sorveglianza che ha fatto un corso di accoglienza, che ha insegnato loro a sorridere primariamente, che li instrada verso armadietti a muro dove possono mettere le loro cose, sicuri di ritrovarle alla fine della visita, che li segue nei giochi di fanciulli di cui è piena la stanza, coi colori e i pastelli e il pongo per fare torte e figure d’ogni tipo. Un qualche cosa che assomiglia fortemente alla “scuola giochi” dell’ABIO (associazione bambini in ospedale, per maggiori dettagli vedi la mia cronaca settimanale in sergioantonioportas.it). Tanto che con una tizia del “Telefono azzurro” che farà per me la domanda di rito, spero di andare a visitare presto la “giocheria” di San Vittore, una volta ottenuti i regolari permessi. Che forse sarà la volta buone che riuscirò a visitare la cella in cui era finito anche il nostro Antonio, Nino, Gramsci, ma questa è un’altra storia, di sardi. Sardo era il babbo di Valerio Onida, di Villanova Monteleone, Biddanoa, è comune in provincia di Sassari da cui dista 36 chilometri e ventiquattro bastano per essere ad Alghero, pur essendo a 600 metri sul mare ha una sua spiaggia a 16 chilometri dal paese, a ricordare le sue origini rivierasche prima che ne venisse cacciato dai soliti mori mussulmani in cerca di schiavi. Altro che se ha una relazione particolare con la Sardegna, mi dice Onida sorridendo, intanto: “Ho insegnato a Sassari, all’università, per due anni (ora è docente di Giustizia Costituzionale alla Statale di Milano) e le mie origini sono lì: mio nonno era calzolaio itinerante e poi è riuscito a mettere su una sua bottega. Tre figli, mio padre a Venezia già a 18 anni e un altro zio a Torino. L’ultimo è rimasto a Sassari, impiegato in banca, anzi in banco, quello di Sardegna. Si può dire che io abbia conosciuto l’isola da grande, ma lì ho ancora i parenti di babbo (la madre è siciliana) e lì ho spesso portato i miei figli ( ne ha cinque, si è sposato a 26 anni). Adesso quelli di Villanova Monteleone si sono messi in testa di conferirmi non so bene che cittadinanza onoraria…”. Premi e onori Valerio Onida ne ha accumulati in numero straordinario, fino ad arrivare alla massima carica della magistratura: presidente della Corte Costituzionale. Ma se voi lo incontrate sulle rampe della metropolitana milanese, come può accadere visto che si vanta di girare solo coi mezzi pubblici, e gli tendete la mano facendo mostra di averlo riconosciuto, siate certi che ve la stringerà con un sorriso e si sottoporrà con garbo all’onere della fama che si porta dietro. E’ per davvero una persona speciale, con un “corsum honorum” mostruoso, e una serenità che gli viene dall’aver intraprese tante battaglie per cause giuste avendo a faro orientante la Carta Costituzionale Italiana. La somma Legge di questo Stato i cui cittadini sembrano, talvolta, neanche meritarsela. Anche nel suo intervento di oggi Onida  non può che partire da quegli articoli in cui si dice della risocializzazione che il carcere deve avere come scopo. E in questa opera la famiglia gioca un ruolo enorme. Che la relazione genitoriale ovviamente non si interrompe mai e passa come rondine di primavera tra le bocche di lupo di qualsiasi carcere. Sulla carta i diritti dei bambini sono chiari, resta il paradosso che è l’istituzione pubblica, lo Stato, a privarli dei genitori che vengono condannati a una pena detentiva. E’ lo Stato che li rende “orfani” se a finire dentro sono tutti e due i genitori ( capita nelle famiglie mafiose). E che la cosa incida in modo indelebile sulla personalità del bimbo è troppo ovvio per sottolinearlo ancora. E’ in questo ambito che va considerato lo scontro inevitabile tra il diritto del bimbo a crescere coi due genitori e il diritto della società a difendersi dai “malavitosi”. Fino ad ora, tranne che nel caso del Sud Africa, in tutti i paesi del mondo è il diritto della società ad essere considerato preminente. Ma anche le società sono organismi che evolvono, del res
to l’istituzione carceraria è relativamente recente, seconda metà dell’ottocento, e come è esistito un mondo che non conosceva il carcere come lo intendiamo ora, è possibile che in un futuro non lontano gli umani sapiens sapiens riusciranno a vivere insieme senza di esso. Hanno chiesto a un agente di custodia di San Vittore a cosa servisse lo “spazio giallo” d’accoglienza per i figli dei detenuti. “Adesso i bambini non piangono più”. Speriamo presto, uno spazio giallo in tutte le carceri d’Italia.

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