di Fabrizio Alfano – Sardi News
La ricerca scientifica rappresenta un settore strategico fondamentale nello sviluppo economico, culturale e sociale di un Paese. Tutte le più importanti realtà economiche e democratiche dell’occidente, anche nel periodo di crisi che stiamo vivendo, hanno sostenuto e finanziato lo sviluppo della ricerca scientifica come fonte di innovazione e di crescita. Certo, esistono settori di ricerca che non hanno un ritorno economico immediato e che, ai più, possono sembrare vani e inutili, ma spesso i più grandi avanzamenti delle nostre conoscenze sono arrivati in maniera inaspettata da ricerche che potevano sembrare inizialmente prive di interesse. Un esempio di questo fatto può essere rappresentato nella ricerca scientifica sui fenomeni vulcanici. Da un punto di vista prettamente economico, lo studio di questi fenomeni non rappresenta certo un settore redditizio, ma in seguito ai più recenti fenomeni eruttivi che si sono verificati anche in Europa, hanno assunto una crescente importanza e un notevole incremento di interesse. I vulcani e tutti i processi legati alla loro attività costituiscono un fenomeno naturale meraviglioso e mozzafiato, ma allo stesso tempo mortale e devastante. Per chi, come me, ha avuto la fortuna di poter ammirare in prima persona lo spettacolo che questi possono produrre, ovviamente rimanendo a distanza di sicurezza da un cratere in attività, non può che sentirsi ridimensionato, quasi annichilito di fronte alla spaventosa energia che la natura può sviluppare attraverso queste vere e proprie finestre tra il mondo in cui noi viviamo e le profondità del pianeta che stiamo abitando e che spesso, purtroppo, non rispettiamo quanto merita. Fin dalla sua comparsa sulla terra, l’uomo ha convissuto con queste vere e proprie montagne di fuoco, pagandone spesso un prezzo elevato in vite umane. Tutti conoscono la storia di Pompei ed Ercolano raccontata da Plinio il vecchio, e ciò che accadde a quelle città nel 79 dopo Cristo, quando una violenta nube piroclastica prodotta da una eruzione del Vesuvio investì quei centri abitati e le aree circostanti distruggendoli e uccidendo numerosi loro abitanti, e restituendo a noi una testimonianza storica dettagliata di quello che accadde in quei giorni. Fu questa la prima eruzione esplosiva storicamente documentata e ancora oggi da questo evento prendono il nome le più violente eruzioni vulcaniche che è possibile osservare (eruzioni Pliniane). La Sardegna, questa isola situata nel centro del mediterraneo, ha ospitato nell’arco della sua storia geologica numerosi cicli vulcanici che la hanno modellata e le hanno conferito gran parte del suo aspetto selvaggio e affascinante. Per quanto il vulcanismo sardo non si sia sviluppato in epoca storica, e che quindi non esistano documenti che descrivano tali eventi, gli effetti di tali cicli vulcanici possono essere letti facilmente nella natura stessa. Le ossidiane del monte Arci, le potenti ignimbriti di Carloforte, il duomo del monte Arcuentu o le splendide trachiti di Perdasdefogu sono solo alcuni dei prodotti dei più recenti eventi vulcanici che si sono sviluppati fino a circa 150 mila di anni fa. Io stesso ho potuto vedere nascere dentro di me la passione per lo studio di queste tematiche attraverso il contatto con questi luoghi che, in seguito, sono diventati oggetto dei miei studi durante i miei anni all’università di Cagliari. Negli ultimi anni lo studio dei fenomeni vulcanici e del loro impatto sulle attività umane ha assunto una crescente importanza, in particolare in seguito alla eruzione del 2010 del vulcano islandese Ejafjallajökull. L’attività eruttiva, sviluppatasi in maniera altamente esplosiva, ha prodotto una nube di cenere capace di raggiungere gli strati alti dell’atmosfera (fino a oltre 20 chilkometri) venendo poi dispersa verso l’Europa e mettendo in scacco l’intero sistema di aviazione del nostro continente, risultando in un danno notevole per le economie mondiali. Fenomeni come questo, difficilmente prevedibili ed impossibili da controllare, rendono l’idea dell’importanza che al giorno d’oggi ricoprono gli studi scientifici su questo tipo di fenomeni, con l’obiettivo di fornire alle autorità competenti informazioni affidabili e strumenti efficaci per affrontare momenti di crisi legati a questi fenomeni. Difatti, l’eruzione dell’Ejafjallajökull non rappresenta certo un caso isolato. Simili situazioni si sono create nel 2011 con l’eruzione del vulcano cileno Puyehue-Cordón Caulle, o con l’eruzione del vulcano cileno Chaitén avvenuta nel 2008. Lo studio e la comprensione dei processi fisici legati alla produzione di eruzioni esplosive, e i processi di dispersione e deposizione dei prodotti piroclastici sono stati al centro del lavoro di ricerca che negli ultimi anni ho potuto svolgere presso l’università di Ginevra, in Svizzera, sotto la direzione della professoressa Costanza Bonadonna. Il mio progetto di ricerca, sostenuto dal programma Master and Back della Regione Sardegna, mi ha permesso di cimentarmi in un lavoro di ricerca di alto livello che ho recentemente concluso. In diversi anni di lavoro, ho potuto imparare ed esplorare una professione interessante e stimolante, quanto difficile e particolare. La mia attività di ricerca è incentrata sullo studio dei prodotti piroclastici eruttati durante fenomeni esplosivi, in relazione ai processi attraverso i quali tali frammenti vengono generati e la loro distribuzione sulla superficie, investigando sulle relazioni tra le caratteristiche dei depositi vulcanici e dell’eruzione che li ha prodotti e, più in particolare, su come le caratteristiche specifiche dei frammenti eruttati influenzino la loro dispersione e sedimentazione. Tale studio è stato effettuato considerando prodotti provenienti da diverse eruzioni, tra le quali le ceneri prodotte dal vulcano Soufriere Hills (Montserrat, Antille minori), i prodotti del vulcano Chaitén (Cile) e anche i prodotti del vulcano Ejafjallajökull (Islanda). I risultati ottenuti sono stati presentati a congressi scientifici internazionali suscitando vivo interesse, e anche pubblicati su riviste scientifiche di settore di importanza internazionale. Nella mia esperienza di ricerca ho potuto entrare in contatto con un ambiente molto stimolante nel quale ogni singola persona svolge un suo ruolo nell’ambito di un contesto di ricerca più ampio. Ognuno, dallo studente di Master (equivalente alla nostra laurea specialistica), al dottorando, al post-doc, fino al docente che supervisiona il lavoro, ognuno è responsabile della propria attività e, nei limiti del possibile, la gestisce sulla base delle proprie idee, convinzioni e competenze. Un ambiente altamente stimolante per tutti, in quanto le discussioni che ne derivano, prive di qualsiasi preconcetto riguardante la loro provenienza, entrano in un contesto più ampio e generale che permette una crescita scientifica e intellettuale per tutti i membri di un gruppo di ricerca. In aggiunta, il lavoro che ho potuto svolgere ha assunto uno spessore e una rilevanza internazionale grazie soprattutto alle preziose collaborazioni che ho potuto sviluppare con ricercatori internazionali di diverse importanti realtà universitarie (University of South Florida, University of Oxford, University of York, University of Clairmont Ferrand). Gli anni che ho passato all’estero mi hanno convinto giorno dopo giorno della correttezza della mia scelta, nell’ottica della mia personale ambizione di occupare la mia vita lavorando nel settore della ricerca scientifica. Infatti, dopo questa esperienza presso l’università di Ginevra, avrò la possibilità di proseguire nella mia attività di ricerca negli Stati Uniti. Per tutti coloro che decidono di intraprendere questa strada, questo tipo di esperienza risulta imprescindibile, in quanto permette di avere la possibilità di entrare in contatto con la comunità scientifica internazionale, e di allargare in maniera determinante la propria visione delle problematiche che ci si appresta a studiare. Un fattore questo determinante per “forgiare” un buon ricercator
e, grazie alla possibilità di conoscere ricerche e metodologie sviluppate da altri gruppi di ricerca ma, soprattutto, di sottoporre il proprio lavoro ad una audience ampia e variegata, ottenendo spesso interessanti suggerimenti e potendo rivalutare le proprie convinzioni secondo altri punti di vista.
L’Italia in generale non è un Paese che investe sulla ricerca, il che implica che nel territorio nazionale in generale, e quindi anche all’interno del contesto isolano, le possibilità di un reimpiego di coloro che affrontano un percorso formativo fuori dalla Sardegna possono risultare scarse o inadeguate, soprattutto per coloro che, come il sottoscritto, si apprestano ad affrontare un percorso orientato verso la ricerca scientifica pura piuttosto che verso settori professionali più applicativi e più direttamente legati al tessuto economico produttivo della regione. Da questo punto di vista in Sardegna, ma vale per tutta l’Italia, manca a mio modesto parere un generale interesse verso le problematiche della ricerca scientifica che può vivere unicamente delle poche e sempre più limitate risorse messe a disposizione dallo stato. Quello che manca, e che fa la differenza in molto stati esteri, è la presenza di istituti, enti e fondazioni che, come veri e propri moderni mecenate, sostengono la ricerca, favorendo la formazione di giovani ricercatori attraverso il finanziamento di progetti di ricerca o coprendo le spese richieste per la partecipazione a congressi internazionali. Sotto questo punto di vista il programma Master and Back della Regione Sardegna, nonostante i limiti e i difetti di cui può essere affetto, rappresenta una iniziativa importante permettendo a giovani neolaureati sardi di poter avere la possibilità di approfondire i propri studi in altre realtà al di fuori della nostra isola. Questo incoraggiamento a lasciare la propria terra va visto come una preziosa opportunità in relazione al ritorno formativo che può determinare. Tuttavia, rimane purtroppo la grande incognita della fase di ritorno. Il risultato di questa situazione rischia di trasformarsi in un paradosso per il quale la regione Sardegna investe per formare giovani ricercatori e professionisti ma riesce poi a recuperare solo parzialmente tale investimento, non offrendo adeguate possibilità affinché le conoscenze e le professionalità acquisite possano andare ad arricchire il patrimonio scientifico, culturale e professionale della Sardegna. Questo aspetto si riflette anche in una scarsa attrattività verso ricercatori provenienti dall’estero inibendo la possibilità di sviluppare un vero e proprio meccanismo di interscambio scientifico-culturale che è alla base della ricerca scientifica. Sulla base di queste considerazioni, la politica attuata con il Master and Back rappresenta una grande opportunità per i giovani sardi e per la Sardegna. Tuttavia andrebbe affiancata da una serie di politiche a sostegno della ricerca che possano, nel lungo periodo, permettere di recuperare l’investimento formativo effettuato. Questo può essere fatto attraverso il finanziamento di progetti di ricerca e la realizzazione di strutture e laboratori di alto livello, al fine di attrarre ricercatori di alto livello presso i centri di ricerca sardi, con conseguente incremento della produttività scientifica da un punto di vista sia quantitativo che qualitativo.