LA SERVITU' COME DESTINO (LA POLEMICA SUI GRANDI RADAR CHE DOVREBBERO DISSEMINARE LA SARDEGNA)


di Omar Onnis

Negli stessi giorni in cui molti sardi si illudevano di avere detto una parola forse definitiva su centrali atomiche e depositi di scorie, il governo italiano predispone una nuova corvè militare per la Sardegna. La costa ovest dell’Isola, da Sant’Antioco all’Argentiera, dovrebbe essere disseminata di grandi radar a microonde, con un raggio operativo di 50 chilometri, pare destinati a scongiurare l’arrivo dei pericolosissimi “clandestini” o stroncare il continuo traffico di stupefacenti contrabbandati proprio a partire dalla nostra sponda occidentale.

Effettivamente si tratta di due vere emergenze per la Sardegna. I continui sbarchi di africani da tempo frustrano le aspirazioni turistiche delle nostre località balneari, con disagi e pericoli per tutta la cittadinanza. Il continuo andirivieni di contrabbandieri e spacciatori, poi, infesta quel braccio di mare in tutte le stagioni dell’anno. Era veramente il caso di intervenire drasticamente.

Eppure, guarda che malfidati che siamo, sembra che le popolazioni interessate dal posizionamento e dalla messa in funzione di questi benedetti radar non la stiano prendendo così bene. Per una volta che l’Italia si prende cura di noi, ecco che scatta la diffidenza. Veramente, non ci meritiamo nulla. Quasi quasi lo stato italiano farebbe bene a chiudere tutte le aree militari dislocate in Sardegna, tenersi tutti i soldi delle nostre imposte, compresi quelli che ci spetterebbero di diritto, e lasciarci crepare di inedia, privati di ogni sostentamento, condannati all’isolamento, di nuovo fuori dalla storia.

Lo stesso vale per i trasporti marittimi. I padroni delle flotte private che già a costo di grandi sacrifici garantiscono il diritto alla mobilità dei sardi in tutte le stagioni e a prezzi agevolati adesso vorrebbero rilevare il carrozzone sfasciato della Tirrenia, sempre in nome dei nostri interessi e dei nostri diritti. E noi cosa combiniamo? Mettiamo su una mini flotta tutta nostra, per coprire ben due rotte due, a prezzi stracciati. Se non è meschina ingratitudine pure questa, cosa mai lo è? Poi ci meravigliamo che i nostri benefattori se ne adontino e minaccino di lavarsi le mani di tutto. Cos’altro possono fare, davanti a tanta ingiustificabile ostilità?

Non abbiamo capito nulla. Sempre lì a protestare, ad accampare diritti, a pretendere di dire la nostra sui fatti nostri. Non ci bastava aver fatto scappare un gentiluomo del calibro di Flavio Briatore. Ecco l’ennesima figuraccia. Da dove ci deriva questa protervia? Com’è che non ci è entrato ancora in testa che siamo un popolo minorato, mero oggetto della storia, destinato – per la propria stessa salvezza – a dover dipendere da un padrone?

Coraggio, rassegnamoci definitivamente. Perché continuare a soffrire? Fra cinquant’anni saremo un quarto della popolazione in meno, con una media anagrafica tendente alla senescenza, poveri e emarginati dal mondo. Perché prolungare tanto l’agonia? Consegniamoci mani e piedi al primo acquirente ben disposto e buonanotte: finite le preoccupazioni, finite le farse, la retorica, le inutili spese per tenere in piedi il teatrino sempre più noioso della finta rappresentanza democratica. Non sarebbe l’esito più coerente e consolatorio della situazione in cui ci troviamo?

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