UNA LETTERA D'AMORE: RIFLESSIONI SU PERDASDEFOGU E SUL POLIGONO MILITARE

nella foto, l'autore dell'articolo

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di Bobore Bussa

Quando ci si innamora di un uomo o di una donna, tra le tante cose ci si innamora anche del suo paese, delle sue tradizioni e delle sue innovazioni, delle sue amicizie, dei suoi cari. E’ così che innamorandomi di Milena, una foghesina doc mi sono innamorato subito anche di Foghesu. E’ difficile considerare la compagna della propria vita senza il contesto che l’ha fatta nascere e crescere e non avrebbe senso farlo. I luoghi dove nasciamo e cresciamo in qualche modo ci formano e contribuiscono insieme a tanti altri fattori a formare donne e uomini culturalmente, socialmente, moralmente e anche politicamente. Quando ho iniziato a frequentare Foghesu, meglio noto come Perdasdefogu, l’unico paese della Sardegna che stranamente ha due nomi in sardo, devo ammettere di aver portato con me anche alcuni pregiudizi di quelli tipici che si portano tutti: saranno tutti militaristi, le donne saranno facili con i militari, si vive nel terrore che un aereo ti cada dentro casa, si vive di acquisti fatti dai militari, non ci sono risorse naturali di pregio, tutto è attività militare. Viverci mi ha fatto bene e un pò per merito di Milena e un pò perchè mi sono impegnato a non pensare a questi pregiudizi, ho potuto vedere la realtà da dentro e conoscere tante persone con cui discutere. Mi sono liberato dei pregiudizi. Quando vai a Foghesu senza pregiudizi, sia che passi da Tertenia, da Escalaplano o da Ulassai, vieni conquistato da paesaggi assolutamente unici in Sardegna, i tacchi calcarei si fondono con i boschi di leccio, con la macchia, con gli uliveti, con distese di corbezzolo e mirto, con rocce che hanno un volto. Sarà che sono davvero innamorato, ma a me sembra un luogo unico, secondo solo a Nuoro, e non è poco se si tiene conto che io sono nugoresu-centricu. Se hai tempo da investire, appena fuori dal paese arrivi a Su Perdiargiu, una frana naturale unica in Sardegna e tra le rarità naturali più importanti del continente Europa, può diventare fonte di ispirazione per tante storie fantastiche. I boschi di Santa Barbara, le cascate di Luesu, sa Breca de is Taparas, una frattura della terra lunga più di 400 metri e profonda 30 che racconta la storia geologica di tutta la Sardegna. Quando non ci sono esercitazioni ci si può spingere per chilometri verso su Pranu, un altopiano calcareo nel quale svetta il monte Cardiga. Questi luoghi costituiscono un sistema carsico che nasconde decine di grotte tutte in parte esplorate e conosciute e ricche di emergenze naturali di assoluto pregio. Poi ci sono i foghesini, quelli che hanno tante storie da raccontare, antiche e recenti. Di contadini e pastori e di pastori contadini, di lunghi viaggi a piedi per andare a vendere prodotti della terra agli Jerzesi, per poi beffarli perchè produttori di vino annacquato o perchè troppo presuntuosi e troppo tirchi. Storie di quando a su Pranu si seminava e si mieteva il grano, dei frutteti e degli orti di Frumini. Di quando da Arzana e da Villagrande arrivavano i pastori in transumanza verso Quirra e Villaputzu per passare l’inverno; e Foghesu, che era una tappa obbligata, li accoglieva. Tutti gli anziani conoscono il loro passato di sacrifici e lo raccontano con fierezza ma senza nostalgia, come i giovani parlano del presente e del futuro, di chi è partito per cercare fortuna e l’ha trovata, di chi ha avuto successo nella medicina, nella ricerca e in vari settori in giro per il mondo, come spesso racconta Giacomo Mameli, un vero foghesino-centrico. Nel centro di Foghesu le case quasi tutte nuove e in mattoni, blocchetti e cemento, frutto del benessere transitorio dei posti pubblici militari e non, hanno sostituito le vecchie case in pietra con poche finestre e con le porte basse tipiche della zona. Resistono le rovine di una chiesa dell’anno 1000, dedicata a San Sebastiano all’interno della quale è possibile intravedere delle figure nelle nicchie, forse un albero deradicato di memoria pre medievale. Potrei scrivere tante pagine ancora per raccontare Foghesu ed è curioso che quando mi vanto con i foghesini, che ormai considero anche miei compaesani, di conoscere queste cose, mi dicono sempre che quello che ho visto è niente. Quasi ci fossero cose che, come si dice “noi umani non possiamo neanche immaginare”. Sono barrosi i foghesini, ma non sono pazosos-pagiosos, espressione difficile tra tradurre in italiano. Leggere i giornali questi giorni, vedere la televisione, sentire il nome Perdas=poligono un pò mi rattrista. Lungi da me affermare che non sia normale questa associazione e lungi da me poter pensare che i media e le persone medie che in Sardegna li ascoltano possano farsi un’idea diversa da quella che viene proposta, soprattutto dopo che una procura apre un’inchiesta sacrosanta, addirittura per omicidio plurimo. Ma cosa è successo e succede a Perdas? Niente di diverso da altre comunità sarde nelle quali fino agli anni 50-60 si viveva di un certo tipo di economia e di rapporti sociali e ad un tratto, per scelte politiche ben precise che venivano fatte passare come le uniche soluzione soluzioni possibili alla vita di torpore e di sacrifici che i sardi stavano portando avanti, si è passati ad un’altra economia. Si diceva allora e spesso si dice ancora oggi che se non ci fosse stato il poligono che altro si sarebbe potuto fare nell’altipiano roccioso, a su Pranu? Solo quello si poteva fare. Quì non c’era nulla. Il concetto del nulla che si aveva allora è ancora un pò quello che molti sardi hanno ancora oggi, ovvero, nel mio paese non c’è nulla, che sarebbe come dire che neanche io esisto, perciò ben venga chi spara missili o chi trasforma acciaio contaminato in nuovo acciaio come a Portovesme o chi trasforma il petrolio in tanti oggetti utili alla nostra società. Allora si ragionava così, e con questo senso di solitudine e scoraggiamento collettivo si è accettata un’economia che ne ha sostituito un’altra. Negli anni 60 e 70, ma anche dopo, non si ragionava in termini di sostenibilità ambientale, di valorizzazione delle risorse naturali. Era necessario emanciparsi industrialmente e poco serviva mettersi il problema se una bomba poteva lasciare residui nella terra e nell’acqua, tanto quella terra non produceva più, il grano lo si poteva comprare, così come l’acqua. Ma l’inganno c’è stato, uno in particolare, ovvero, dire che non si poteva investire in altro in quei luoghi. Sa di presa in giro perchè se si potevano investire miliardi in infrastrutture militari, lo stesso si sarebbe potuto fare in infrastrutture civili, strade, scuole, rete elettrica, idrica ecc.. Dunque la scelta di chi governava è stata precisa, serviva un luogo per gli esperimenti militari, quì c’era poca gente e molta terra, semplice no? Ma torniamo ad oggi. Il paese è ovviamente diviso. Da una parte ci sono quelli che in qualche modo lavorano direttamente o indirettamente nelle attività militari o sono militari e percepiscono che lo Stato da tempo non esiste più in Sardegna, tantomeno a Foghesu, se non per riscuotere tasse. E questi si sentono come quei mariti traditi che sanno di essere traditi, ma fanno finta di non vedere. Dall’altra ci sono quelli, non pochi, che da sempre e per svariati motivi non devono nulla o quasi alle attività militari ma anzi le hanno sempre considerate un impedimento ad una crescita diversa per la comunità, sia dal punto di vista sociale sia economico. Tra questi due tipi di foghesini ne esiste una terzo nel quale si ritrovano coloro che stanno un pò fuori e un pò a foghesu, che hanno avuto a che fare temporaneamente con le attività militari, che non le condividono, ma non le sentono come un problema, e che vorrebbero creare alternative a questo modello economico senza necessariamente creare contrapposizioni con quelli del primo gruppo. Insomma esiste, come è giusto che sia, un’opinione pubblica con pareri e idee variegate. Tutti o quasi però sono accumunati da un fatto, ovvero che per oltre 50 anni il poligono e le sue attività annesse e connesse hanno interessato e condizionato culturalmente almeno 3 generazioni di foghesini e forse ne condizioneranno una
quarta e una quinta. Il “sistema poligono” ha creato un sistema culturale oltre che economico, esattamente come succede in un luogo dove si cresce con una qualsiasi attività economica predominante sulle altre. É lo stesso ragionamento che si potrebbe fare intorno all’allevamento della pecora: in alcuni paesi è l’economia predominante, ma non lo è sempre stata. L’allevamento delle pecore nel Campidano, che prima si dedicava alla cerealicoltura, è un fenomeno abbastanza recente e ha indubbiamente modificato la cultura sociale ed economica di quei luoghi. La chiusura delle miniere del Sulcis, dopo generazioni cresciute in miniera sta necessariamente modificando il paesaggio, così come lo modifica il turismo, così come le industrie a Ottana. L’altro fatto sul quale tutti o quasi i foghesini possono concordare o almeno non negare è che nessuno può credere o immaginare che le attività di questo poligono, o di un poligono in generale, (essendo un’attività industriale), possano avere effetti benefici per l’ambiente e per le persone che ci lavorano o che vivono nelle immediate vicinanze. Tutti possono concordare sul fatto che questo tipo di attività portano problemi, come li portano le industrie, gli allevamenti intensivi di animali, gli scarichi fognari non depurati, le trasmissioni radio. Bisogna però tener conto che diversamente dalle industrie diciamo “civili”, dove spesso si denunciano fatti di inquinamento e c’è più libertà di fare analisi, controlli e infliggere sanzioni, nelle attività militari vige un tipo di giurisprudenza diversa, spesso impenetrabile, che si trincera abilmente dietro il segreto. L’attività militare da sempre, nasce e vive basandosi sulla poca trasparenza e sulle omissioni, sulla gerarchia, sul privilegio, sull’intimidazione, sul nascondere continuamente la verità. Insomma tutti concetti antitetici alle società che pretendono di essere democratiche. Quando la politica non riesce a governare ciò che crea per difendere se stessa, la possibilità di passare da uno stato democratico a uno militare è sempre in agguato. Non voglio dire che si sia sull’orlo di una dittatura militare, ma semplicemente sottolineare che la politica, in Sardegna in particolare per questioni di subalternità che conosciamo bene, non è stata in grado di prevalere sui metodi militari. Ma gli intrecci sono tali che lo stesso Stato italiano è quasi incapace di governare questo sistema dove i militari hanno necessità continua di armi. Finmeccanica, Vitrociset e altre aziende private e pubblico-private costruiscono armi e hanno necessità di sperimentarle, dunque il ministero della difesa mette a disposizione i poligoni, chi sperimenta paga, molti soldi, anche 50.000 euro a ora che vanno allo Stato che a sua volta finanzia altre armi. Se non bastano i soldi, per via degli accordi internazionali, si mette a disposizione il poligono per altri Stati e altre aziende che sperimentano e pagano. Poi c’è la logistica, gli appalti, le pulizie. L’intreccio tra la politica civile e quella militare è continuo. Militari collegati ad aziende fornitrici, aziende fornitrici che ricevono commesse di stato e così via in un turbine mortale di alta finanza e becero capitalismo armato. Gli ultimi chi sono? Sempre loro, i militari che fanno la parte sporca del lavoro, gli operai delle ditte d’appalto e delle pulizie, i controllori dei radar, i meccanici dei mezzi e i loro familiari che si sono illusi che l’economia della guerra sia benessere, lavoro purchè sia. Da poco più di una decina d’anni, gli affari della guerra non producono più abbastanza profitti e i conti dello Stato vanno in rosso, perciò i signori della guerra sbaraccano e vanno via, verso altri stati dove c’è meno ambientalismo e dove il lavoro costa meno e gli ultimi, sono costretti a fare i loro scioperi occupando le istituzioni civili dei loro paesi, con il sindaco in testa.

Se non bastasse tutto questo turbinio di non senso, ecco che si presenta il peggiore dei fantasmi, l’ombra del sospetto che quelle attività oltre che produrre diseconomie o economie virtuali, producano anche morte fisica. E allora, siccome quell’aspetto è quello che più preoccupa le gerarchie militari e politiche, parte la controffensiva mediatica, la frase mitica da memorizzare è: “non è dimostrato che esiste una correlazione tra i tumori e le sostanze prodotte dalle esplosioni nelle esercitazioni”. La imparano tutti, tutti la devono conoscere, la conosco anche io che non ho nessun interesse a cercare questa correlazione. Nelle esercitazioni si usano proiettili di cemento o di gesso. Sì, ma non nelle sperimentazioni, altrimenti sarebbe come dire che devo sperimentare un aereo, ma provo una macchina, perchè l’aereo costa troppo spostarlo. Come hanno detto i vertici militari nel documentario andato in onda su Current tv, “questo è un poligono sperimentale, dunque si sperimentano armi e proiettili veri”. Dunque perchè noi, foghesini e non, dovremo negare ciò che dicono i militari stessi? Ci hanno fatto anche il favore di dire loro la verità perchè dobbiamo mentire noi a noi stessi? La situazione è intricata e il momento che si sta attraversando è molto delicato. Per usare un’immagine utilizzata da Franciscu Sedda in un altro contesto, è come essere diventati grandi e dover ammettere di aver subito una violenza domestica. Non avremo mai voluto dirlo ma qualcuno lo ha fatto, lo sta mettendo in piazza da anni ma non abbiamo voluto ascoltare. Oggi sul clamore mediatico possiamo intervenire poco, al resto della Sardegna purtroppo importa poco che alcune comunità siano state totalmente violentate nella loro cultura, nella loro terra, nella loro economia. Alla massa rimane l’indignazione, la voglia di ribellione che finisce dopo una manifestazione di protesta, la rabbia che avevo anche io quando non capivo perchè i foghesini non convenivano sul fatto che per i 50 anni del poligono non c’era niente da festeggiare. In quell’occasione avevamo organizzato con amici indipendentisti, una manifestazione pacifica che aveva lo stesso scopo che vorrebbe avere questa mia lettera di oggi, ovvero focalizzare l’attenzione su un concetto semplice: ma è questa l’economia che desideriamo per noi e per i nostri figli? Pensiamo che la Sardegna debba vivere di attività di guerra? Per quanto tempo ancora pensiamo di avere il diritto di violentare la terra che ci è stata donata in prestito dai nostri antenati? Ecco, credo sia arrivato il momento che le comunità di Foghesu, di Villaputzu, di Quirra, di Teulada ecc inizino a darsi risposte a quelle domande. Non è necessario seguire il ritmo dei media o dei tribunali o delle inchieste. Serve molta serenità, riprendere a guardarsi in faccia, provare a dirsi anche le cose che non ci piace sentire, dette magari dalle persone che non ci piacciono. Non importa se domani o tra un anno si saprà se c’è quella famosa correlazione per sapere di cosa morire domani: oggi serve sapere di cosa vogliamo vivere domani. E io domani vorrei vedere mio figlio e tanti altri figli di Sardegna crescere in paesi dove le menti e le braccia migliori si sono messe insieme per progettare e realizzare un futuro fatto di attività tecnologicamente avanzate frutto della ricoversione delle attività militari in attività civili, di bonifiche e risanamenti ambientali, di energie rinnovabili, di agricoltura e allevamento moderni, di turismo ambientale e culturale, di tanti posti di lavoro sani con storie da scrivere e raccontare. Dove c’è una crisi ci sono sempre delle opportunità, dunque Foghesu non è nè il primo nè l’ultimo posto al mondo dove si perde qualche posto di lavoro o dove fallisce un sistema industriale-militare. E’arrivato il momento di armarsi di buona volontà e agire per il bene del nostro territorio, senza aspettare che arrivi qualcuno a farlo per noi, magari male come è stato fino ad ora. Dunque, animu Foghesu!

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2 commenti

  1. Caro Salvatore Bussa, esprimo tutti i miei apprezzamenti per la tua intelligente e accurata riflessione che condivido pienamente. Mi piacerebbe incontrarti di persona e discutere di questo annoso problema nel nostro circolo di Magenta. Auspico che tutti i sardi residenti e non, prendano finalmente coscienza dell’importanza di preservare il territorio e incomincino a lottare per difendere le bellezze della Sardegna e sostenere gli amministratori locali nei programmi mirati a progetti di salvaguardia delle acque, della terra e dell’aria, per uno sviluppo alternativo ed ecosostenibile del territorio.

  2. Buona Sera.
    Mi fa piacere che avete apprezzato la riflessione.
    Sono a disposizione per venire a visitarvi e parlare di Sardegna.
    Il mio numero è 3286513398.
    In ogni caso potete contattare Omar Onnis e pensare insieme a come strutturare l’incontro.
    A presto e grazie.
    PS
    Vi chiedo solo se è possibile di mettere Bobore anzichè Salvatore per non creare confuzioni dato che come Salvatore mi conoscono solo mia madre e mio padre in quanto allora li costrinsero a chiamarmi così.
    Saluti e grazie

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