A PROPOSITO DELL'ARTICOLO SULLA SARDEGNA PUBBLICATO DAL GIORNALE "ESPRESSO": ESISTERE, NON RESISTERE

Emilio Lussu

Emilio Lussu


di Omar Onnis

Sembra che in Italia ci si interroghi su questo strano mistero rappresentato dai tanti sardi di successo nel mondo. Addirittura un articolo sull’ultimo numero dell’Espresso prova a rendere il panorama di creatività che agli occhi dell’autrice ultimamente starebbe fiorendo dalle nostre parti e invadendo altre sponde. Lascerei stare la forma e il contenuto dell’articolo in questione. Il pezzo è giornalisticamente mediocre, superficiale e vagamente razzista. Partendo da cliché piuttosto grossolani (il richiamo ai tre milioni di pecore è significativo dell’approccio) si stenta a connettere con tali premesse l’evidenza di un impatto culturale e mediatico più che proporzionale rispetto al peso politico e statistico della Sardegna, nonché rispetto alla sua immagine tipizzata e tecnicizzata dai mass media. Non dice nulla di nuovo e si limita a perpetuare, sia pure problematizzandolo, la potente incomprensione cui siamo inevitabilmente condannati, in ambito italiano. Ma a noi cosa dice questo articolo? Ci sentiamo rappresentati? Ci troviamo degli spunti di riflessione sui nostri processi di identificazione? Credo che per molti sardi un pezzo del genere su un grande organo di stampa italiano sia una fonte di orgoglio. Né più né meno della vincita di un concorso canoro da parte del cantante isolano di turno o del successo “nel terribile e vasto mondo” di “fuori” di un sardo qualsiasi (che sia uno scrittore o che sia una soubrette poco cambia). Una reazione figlia di quella sindrome della resistenza ad ogni costo che a sua volta è collegata al complesso di subalternità da cui fatichiamo a liberarci. In questo senso ha ragione Michela Murgia quando dice che in realtà si tratta di un falso problema. In Sardegna non c’è più creatività che in altri posti. Semplicemente, ce n’è e ce n’è magari anche tanta. La questione è perché ci si debba meravigliare. Qualcuno se ne meraviglierebbe se non desse per scontato che la Sardegna non possa esprimere altro che appunto i soliti cliché tipizzati? Ovviamente no. Che noi esportiamo intelligenza e creatività nel mondo, oltre al pessimo pecorino romano, è un dato misconosciuto ma non per questo meno reale e importante. Solo, si tratta di un dato che mal si concilia con il mito di una terra “senza storia”, “isolata”, “povera”, “sottosviluppata”. E naturalmente “costantemente resistente”. Invece qui salta fuori la sorpresa: la Sardegna è totalmente presente nella Storia umana, produce senso, offre creatività. Anziché limitarsi a resistere semplicemente esiste. Perché siamo un popolo dalla lunga e ricca storia, dalla cultura multiforme e dalla identificazione poliedrica e interconnessa con tutto ciò che accade intorno a noi. Da sempre. Perché siamo una collettività storica con una sua profonda ricchezza culturale, con una sua narrazione da offrire al mondo. Una narrazione fatta di visioni, di idee, di profumi e di bellezza. Come tante altre collettività umane sul pianeta. È questa scoperta della normalità, della esistenza storica di un popolo vero, non vincolato a stereotipi regionalistici, a suscitare scandalo. Ma è lo scandalo della verità. Quella stessa verità che noi stessi fatichiamo ad accettare. Perché ne consegue responsabilità, diritto e dovere di scegliere, voce in capitolo. Tutte cose che a lungo, troppo a lungo, abbiamo pensato di non avere e nemmeno meritare. La dimostrazione che la Sardegna e i sardi sanno esistere nel mondo per se stessi, senza bisogno di tutele o sostegni. Senza dipendere da altri. Una scoperta politicamente pericolosa, per i custodi dello status quo.

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