RACCONTARE LA TERRA DEI PADRI: LA GRANDE AVVENTURA DEI FIGLI DEGLI EMIGRATI IN GIRO PER LA SARDEGNA CON UN CAMPER


di Umberto Aime *

Com’è difficile raccontare la terra dei padri. Soprattutto se la Sardegna è solo un’impronta di Dio sulle carte geografiche e il resto del mondo continua a confonderla con altre isole del Mediterraneo, dalla Sicilia alla Corsica. Ma chi è nipote o figlio di emigrati dall’altra parte del pianeta, Stati Uniti e America del Sud, ha la testa dura quanto quella degli avi. «Non è possibile – dice Magalì Misses, madre di Tresnuraghes e casa a San Miguel de Tucumàn, in Argentina – che della nostra isola si parli così poco. È ancora un paradiso per pochi, dovrebbe essere invece una cartolina da far girare dovunque, di quelle che confermano la generosità del Creatore». È romantico e passionale il racconto di chi due anni fa ha visto per la prima volta la casa da cui, nel 1952, il nonno si lasciò alle spalle, destinazione Buenos Aires. Quel giorno ha pianto e non lo nasconde: «È stata un’emozione così forte – racconta – che mi fa ancora battere il cuore. Scoprire le proprie radici è stato esaltante e mi farà crescere meglio». In Sardegna è ritornata all’inizio di ottobre, ingaggiata per il progetto europeo dell’assessorato regionale al Lavoro sulla “Mobilità giovanile”. All’inizio, nel 2008, era insieme ad altri quindici ragazzi, tutti figli di sardi emigrati in Argentina, Belgio, Germania, Stati Uniti e Svizzera. Alla fine sono rimasti in cinque, per dar vita a un’avventura: i “ragazzi del camper”. Da metà ottobre ai primi di novembre con un motor-home sono andati in giro da una provincia all’altra, per indagare sul fenomeno migrantes. Sostenuti dalla Federazione italiana lavoratori emigranti e famiglie, la Filef, sono stati a Loculi, Lula, Allai, Serri, Mandas e Dolianova, per intervistare chi è ritornato a casa dopo gli anni vissuti in terra straniera, gli emigrati di ritorno, oppure chi è partito dalle sponde arabe del Mediterraneo verso un’immaginaria America in Europa, gli extracomunitari. Hanno intervistato anche una quarantina di coetanei, per capire meglio l’attualità dell’emigrazione e dell’immigrazione. Il loro è stato un lavoro di indagine che ha preso due strade: una sociologica, i risultati saranno raccolti in una pubblicazione, l’altra goliardica, raccontata con ironia sul sito www.ildiariodelcamper.blogspot.com. Seguito, cliccato migliaia di volte, e con cui hanno tenuto i contatti con i parenti all’estero e centinaia di giovani. Queste sono le storie dei ragazzi del camper, emigrati di seconda e terza generazione. Francesca Bandino ha 24 anni. Nata a Cagliari, era ancora bambina quando i genitori andarono via, destinazione Stati Uniti. Oggi il padre lavora nel New Jersy, dirige un’azienda toscana che vende piastrelle. Lei lì si è laureata, ha lavorato nell’amministrazione pubblica, sempre con la Sardegna nel cuore. «Dalla mia terra – svela – non mi sono staccata mai del tutto. Anzi, è il mio argomento preferito con gli americani, che appena comincio a descrivere l’isola, per prima cosa mi chiedono Sardinia, where is?. Dov’è la Sardegna?». Con il suo italiano inquinato dallo slang a stelle-e-strisce e con le mani che raccontano, eccola imitarsi. S’immagina prendere una cartina dell’Italia, «Ce l’ho sempre nello zainetto», puntare il dito al centro del Mediterraneo, per poi dire orgogliosa This is my land, questa è la mia terra. Ma che terra è? «Bella, stupenda da vivere – dice di slancio – ma mi rendo conto che senza lavoro qui non c’è futuro. Peccato. Ma ancor oggi non riesco a capire come mai, noi sardi non riusciamo a essere ricchi con le bellezze che abbiamo. Non parlo delle coste, sono le zone interne il vero patrimonio della Sardegna. L’identità da queste parti è così forte che il turista non solo rimane estasiato dalla storia millenaria: pretende di conoscerla, scoprirla, vuole essere coinvolto. Ecco, proprio sul passato io costruirei il futuro della Sardegna. Allora sì che sarebbe vincente». A Tucumàn Edoardo Toro Pinna della Sardegna aveva una visione in equilibrio fra favola e realtà fra i tetti di Chiaramonti. Ventisette anni, telefonista in un call center («Anche da noi ci sono i precari», dice con un sorriso amaro), quello che conosceva, era frutto della memoria di un nonno paterno: lui sapeva raccontare le fiabe. «Erano storie fantastiche. Viste dall’alto tra le nuvole, poi dal basso: personaggi, giochi, tradizioni, lingua, profumi e suoni. Mio nonno viveva anche la nostalgia del piacere di stare insieme. Per fortuna, la mia famiglia ha continuato a credere in questi valori. Così, quando sono stato per la prima volta nel suo, nel mio, paese, conoscevo già quel luogo incantato, con la differenza che, in quel momento, potevo vedere, toccare e sentire». Ma allora perché i giovani sardi fuggono? «Perché da che mondo e mondo non si vive di sola fantasia, conta anche la realtà e se non hai prospettive, le vai per forza a cercare altrove. Lo ha fatto mio nonno: è emigrato con le sue radici che ti avvolgono tra ricordi, sogni e malinconia». Nata in Argentina da madre di Tresnuraghes, Magalì Misses addirittura si è licenziata, lavorava in un sito web, pur di partecipare alla «missione Sardegna». Un atto d’amore: vuol dire che è pronta anche per il possibile viaggio di ritorno? «È una domanda difficile. Non ci ho pensato mai veramente. Certo, in queste settimane mi sono fatta un’idea». Qual è? «Che mancano i luoghi di aggregazione per i giovani. A dircelo sono stati gli stessi giovani che non vorrebbero andar via da questo paradiso, eppure sono obbligati a farlo: manca il lavoro. Anche miei nonni quando sono emigrati, avevano la morte nel cuore, ma hanno dovuto farlo per campare. Spero che nessuno sia più costretto a fuggire». Fabiana Steri Ponce: anche lei vive a Tucumàn, ai piedi di una montagna che tiene a bada la Pampa argentina. Occhi grandi, carattere frizzante e parlantina sciolta, racconta che nella sua città c’è un circolo di sardi dove la parola d’ordine è: imparare a essere cittadini del mondo. «Le origini sono importanti, indimenticabili e immortali. Ma devi saper pensare oltre i confini conosciuti. Ho una convinzione: sono gli scambi culturali a tenere insieme la gente e i luoghi. Mi piacerebbe molto lavorare a un progetto comune destinato a legare il paese di mia madre, Pabillonis, con Tucuman. Questa ricerca mi è servita per scoprire di persona la storia della Sardegna e vorrei tanto che i miei coetanei sardi conoscessero quella dell’Argentina». È il progetto su cui Fabiana, consulente della municipalità di San Miguel, vuole impegnarsi: «I giovani devono essere aiutati a crescere. Il nostro viaggio è stato possibile grazie all’Unione Europea e alla Regione, ma senza l’ospitalità dei comuni e la partecipazione affettuosa delle comunità sarebbe rimasto solo un esperimento. Invece quest’avventura deve trasformarsi in un percorso virtuoso, per far maturare ognuno di noi, da un continente all’altro, perché siamo e dobbiamo essere i nuovi cittadini del mondo». Laureato in relazioni internazionali, Santiago Trapani, 28 anni, bisnonno emigrato da Santa Teresa di Gallura fino in Argentina, è un ambasciatore perfetto. Quando, nel giorno dei saluti, l’assessore al Lavoro Franco Manca, ha detto ai ragazzi del camper “mi raccomando, parlate bene della Sardegna in Argentina e negli Stati Uniti”, Santiago si è illuminato, per poi dire tutto d’un fiato: «Dopo questo viaggio, porterò sempre l’isola dentro di me. È stato bello: ho avuto la possibilità di scoprire il territorio, la cultura e le origini della mia famiglia. Ogni persona conosciuta, è impressa nella mia mente per sempre». Meglio di così c’è solo la devozione.

* La Nuova Sardegna

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