EL DOTORCITO GRINGO: LA STORIA DI SOCRATES VITTORIO BACCHIDDU, ORIGINARIO DI MANDAS, IN ARGENTINA


di Teresa Fantasia

Socrates nacque a Mandas, in provincia di Cagliari, il 7 aprile 1925, da Raffaele Bacchiddu, originario di Sedini, e da Maria Marras, di Onifai. Sua madre era insegnante e, a causa del suo lavoro, quando Socrates aveva appena due anni, la famiglia si trasferì prima ad Alghero, poi a Bono, a Nuoro, in altri paesi del Nuorese, ritornando infine nel capoluogo. A soli 24 anni si laureò in Medicina e chirurgia all’Università di Sassari, ma appena scoppiò la guerra, fu chiamato alle armi e trasferito a Oristano, poi a Frosinone, e infine a Napoli dove visse esperienze tristissime.  Ritornato alla casa paterna, era così dimagrito che la mamma non lo riconobbe. Ma le sofferenze che la vita gli aveva riservato, lo resero un grande uomo: intelligente, forte e solidale con gli altri. La seconda guerra mondiale aveva distrutto l’Italia, e la Sardegna soffriva la piaga della disoccupazione. Il Ministero della Sanità offrì al giovane medico un impiego come supervisore nella lotta contro la malaria. Ma Socrates si trovava a disagio perché voleva esercitare la professione di medico. «Non ho studiato per stare seduto tutto il giorno in ufficio – diceva –. Voglio stare in un ospedale accanto ai malati». Deluso e addolorato, rinunciò all’incarico comunicando alla madre di voler emigrare nel Congo Belga o in America. «Vai in Argentina» gli consigliò sua madre. Socrates arrivò a Buenos Aires nel luglio del 1951 «in un giorno grigio, freddo, tristissimo al punto che se avessi potuto, sarei ritornato indietro». Sbarcò, ma solo il suo corpo era sceso dalla nave: il suo cuore era rimasto a bordo della nave. Ebbe un presentimento che diventò presto una cruda realtà: il contratto di lavoro come medico non valeva ed egli non poteva lavorare come medico senza che il titolo di studio fosse prima riconosciuto. Viaggiò così di città in città: Mar del Plata, Cordoba, Rosario. Ovunque esigevano la residenza e la cittadinanza argentina. Finalmente il Ministero della Sanità della Provincia di Santa Fé gli offrì la possibilità di lavorare come medico straniero, con l’incarico di direttore di un ospedale di campagna che da anni era senza medico. Era Puerto Gaboto, una località storica che ricordava il navigatore veneziano che il 9 luglio 1527, alla confluenza dei fiumi Parana’ e Carcaragna’, aveva fondato il primo villaggio spagnolo del Virreinato del Rio de la Plata, e seminato per la prima volta il grano portato dalla Spagna. Nella stessa località fu celebrata la prima messa con le ostie ricavate dal primo frumento. La futura moglie di Socrates, Clotilde, lavorava proprio a Puerto Gaboto come insegnante: conobbe Socrates nel 1952, e quattro anni dopo si sposarono. A Puerto Gaboto non c’erano industrie, e i circa 4 mila abitanti che vivevano lungo il fiume, in casupole di fango e paglia, si nutrivano pescando e cacciando. Socrates si dedicò alla sua professione di medico con tutte le sue forze. All’ospedale c’era un piccolo appartamento per il medico: per Socrates e Clotilde fu la prima abitazione e lì nacquero i loro due figli Rafael Mario e Juan Carlos. Il Ministero non pagava. Eppure in quella povertà si sentivano ricchi, condividendo le stesse necessità della popolazione: la mancanza di strade, di energia elettrica e di cibo. Per necessità, coltivarono un piccolo orto, allevando alcuni animali. Giovane e instancabile, Socrates lavorava senza sosta poiché i pazienti erano sempre numerosi. Aiutava i bambini a nascere, lottando contro i pregiudizi e le tradizioni degli indigeni. Provava compassione per le sofferenze delle donne che partorivano in condizioni disumane; e loro impararono a rispettarlo così che, per gratitudine, molti bimbi furono battezzati con il nome di Socrates. El Doctorcito non tralasciò mai di visitare i malati che venivano a cercarlo dalle isole. Il fiume era la sua passione: gli piaceva andare in barca e pescare. Spesso diceva a Clotilde: «Domani parto per le isole per mettere un po’ d’ordine nella mia mente». Nonostante lavorasse molto, trovava il tempo di studiare per ottenere il riconoscimento del suo titolo di studio. Scriveva e parlava perfettamente la lingua spagnola avendola già studiata in Italia. Nel 1963, quando si presentò all’Università di Rosario per il riconoscimento della sua laurea in Medicina, accompagnato dal prestigioso chirurgo di Maciel, Carlos Pedro Stelzer, Socrates ebbe un grande riconoscimento. I professori gli domandarono con ammirazione dove avesse studiato Medicina e da quale regione italiana provenisse, meravigliati dalla sua professionalità e competenza. I professori dissero a Bacchiddu di lasciare l’ospedale di Puerto Gaboto e di trasferirsi a Rosario dove c’erano ospedali privati importanti, e dove avrebbe guadagnato molti soldi. Ma Socrates rispose seccamente: «Non penso al denaro, amo la mia libertà». Nel 1964, i Bacchiddu si trasferirono a Maciel e i loro figli frequentarono la scuola media. Socrates si alzava alle 6 di mattina per raggiungere l’ospedale di Puerto Gaboto, mentre Clotilde lavorava come direttrice della scuola elementare. Al consultorio privato di Maciel, i pazienti lo amavano per il suo instancabile lavoro e lo rispettavano per le sue capacità e per la sua umiltà. Era indignato per il comportamento di alcuni governatori dell’Argentina. Non capiva come in un Paese con un territorio immenso, ricco e con pochi abitanti, si vivesse in una tale povertà, con la piaga della disoccupazione, con stipendi miserabili e senza alcuna attenzione verso gli anziani, condannati a vivere con pensioni da fame. Non sopportava la corruzione, l’indifferenza, la malizia. L’Argentina era per lui un Paese privilegiato e ricco, ma con un popolo povero. «Condividevamo tutte e due la stessa ideologia – ricorda la moglie Clotilde –. Eravamo socialisti, e sognavamo un mondo più giusto per tutti. Ma forse era un’utopia». Socrates spesso le diceva: «Noi dobbiamo compiere tutto il bene che possiamo. Solo così ci sentiremo bene e saremo felici». «Penso che ci siamo riusciti – commenta Clotilde – anche se tutto finisce in questa vita, anche i nostri sogni». Socrates aveva 76 anni, una mente lucida e brillante, un cuore sano. Lavorò fino al mese di settembre del 2000 quando, senza accertamenti e solo con le sue mani, scoprì quella terribile malattia che l’avrebbe consumato. Un giorno salì da solo sulla sua barca per dare l’ultimo addio alle isole che aveva imparato ad amare. La malattia fu per lui un calvario fatto di sofferenze fisiche e psichiche enormi. Un giorno, sotto l’effetto della morfina, disse: «Mamma, portami alla vigna»: ricordava ancora la sua amata Sardegna. Quasi con pudore diceva di vergognarsi di non aver più visto il paese di nascita, Mandas, da quando aveva visitato con Clotilde la Sardegna. Avrebbe voluto rientrare ma quando aveva visto che la sua amata isola era risorta, che aveva recuperato la gioia, la serenità, la pace, la voglia di vivere, si era chiesto se sarebbe stato giusto sradicare sua moglie e i suoi figli dal loro Paese, e far loro soffrire quello che lui aveva patito emigrando la prima volta. No, non era possibile. Il sacerdote di Maciel, che era suo paziente, gli faceva visita ogni giorno confortandolo con i sacramenti. El Doctorcito è morto il 7 luglio 2001. Lo ha pianto l’intera popolazione di Puerto Gaboto, di Maciel, e delle isole del Paraná. Socrates amava anche gli animali, specialmente i cani. Li raccoglieva malati lungo la strada e li portava a casa per curarli. Clotilde ricorda ancora la storia di un cane vagabondo. I ragazzi gli avevano ferito la coda e Socrates l’aveva portato da un veterinario. Da quel giorno, quando Socrates passava davanti al supermercato, il cane usciva dal suo rifugio e accompagnava Socrates fino al consultorio; lo aspettava fino al termine del lavoro, lo riaccompagnava a casa, e solo dopo ritornava al supermercato. Quando Socrates morì, il cane, pur non conoscendo la strada, riuscì a raggiungere da solo la cella mortuaria, e vi rimase accanto tutta la notte. Al mattino seguente accompagnò la bara fino alla c
hiesa, rimanendo lì fino al termine della cerimonia, quando il corteo delle automobili partì alla volta del cimitero.

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6 commenti

  1. Da farci un libro! Un vero piccolo grande uomo, di Sardegna. Che ci fa onore nel mondo.

  2. Teresa Fantasia

    UN GRANDE UOMO ,certo che ci fa onore ! sono onorata di averlo conosciuto anche se solo telefonicamente e per posta ,la registrazione della conversazione e le lettere sue e di sua mogli la signora Clotilde le conservo come un prezioso tesoro.
    da Mandas la sua Città il Sindaco Umberto Opus mi ha chiesto di informare i figli che Vittorio Socrates Bacchiddu lo ha nominato cittadino illustre di Mandas e li sarà dedicata una targa nel luogo in in cui nacque.
    Cari saluti a grazie per la pubblicazione
    http://www.youtube.com/watch?v=rKR_VyKYvqA&NR=1
    http://www.youtube.com/watch?v=bnCVYqRHGe4&feature=related

  3. Teresa Fantasia

    Saluti da Mandas. Dalla patria di Vittorio Soctares Bacchiddu nominato cittadino illustre di mandas ed a cui sarà dedicata una targa nel luogo in cui nacque
    Umberto Oppus

  4. Teresa Fantasia

    chiedo scusa per l’errore di tipeo :
    il Sindaco Umberto Opus mi ha chiesto di informare ai figli del Dott Vittorio Socrates Bacchiddu,
    che loro padre è stato nominato Cittadino Illustre di Mandas e che verrà messa una una targa nel luogo in qui nacque .
    grazie Teresa Fantasia

  5. Grazie a te Teresa
    per averci fatto conoscere l’umanità di un grande sardo, leggendo la sua vita ho pensato questo è un SANTO!
    Cari saluti Giusy

  6. Gabriella Suella

    La grande umanità fatta persona. un vero orgoglio per i Sardi e per gli Italiani.

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