I SOPRANNOMI SARDI: CAPOLAVORI DI INVENTIVA DELLA FANTASIA POPOLARE

foto di gruppo degli amici del circolo "Amedeo Nazzari" di Bareggio durante la loro "Festa Sarda"

foto di gruppo degli amici del circolo "Amedeo Nazzari" di Bareggio durante la loro "Festa Sarda"


di Paolo Pillonca

 

Antefatto: una recente delibera del Comune di Chioggia ha dato rilievo anagrafico ufficiale anche ai soprannomi. Scopo: scongiurare il pericolo delle troppe omonimie (il cognome Boscolo, da solo, occupa 40 pagine dell’elenco telefonico). I Boscolo in eccesso rischiavano di far precipitare nel caos la compilazione delle tessere sanitarie. Ricordiamo che il primo tra i grandi a dare risalto letterario ai soprannomi è stato nientemeno che Omero, con il celebre nomignolo ideato per l’eroe Achille: pie’ veloce. Nel solco del poeta sovrano, molti altri scrittori hanno privilegiato i soprannomi, creandone di splendidi: Alessandro Manzoni creò “Azzeccagarbugli” per definire l’avvocatucolo di don Rodrigo. Detto questo, ossia lo stretto indispensabile, occorre rimarcare che in Sardegna l’uso dei nomignoli è una pratica antica e tuttora viva, anzi in via di sviluppo sulle ali di una fantasia popolare che talvolta crea veri capolavori di inventiva, in termini reali e nel linguaggio figurato. Ispantamìseros (spaventa-poveri) è il soprannome dato da Michelangelo Pira in “sos sinnos” a un burocrate del Comune di Bitti che rendeva complicate le cose semplici. E sotto il velame di Tassone (bicchiere enorme) si nasconde un uomo basso e grosso che Pira disprezzava, pur appartenendo al suo stesso partito ma che ebbe un rilievo politico sproporzionato: nonostante le capacità scadenti, Tassone arrivò fino al Parlamento Europeo. Per contro, Babbu Mannu è l’appellativo affettuoso che i soldati sardi della prima guerra mondiale diedero al generale Sanna. Molto conosciuti anche i soprannomi dei compagni d’armi di Francesco Masala descritti in “Quelli dalle labbra bianche”: Mamuthone, Sciarlò, Pestamuso, Peppe Brinca, Animamea, Culobianco. Lo stesso titolo dell’opera masaliana rievoca un altro nomignolo usato dai ricchi per definire i diseredati: “laribiancos”, con le labbra bianche per anemia da scarsa alimentazione. Ma la vena creativa del popolo sardo si è sbizzarrita nel corso dei secoli a crearne di curiosi e in molti casi di originali. L’argomento meriterebbe un trattato. Qui, al di là dei luoghi comuni, siamo vincolati a un florilegio in cui l’ironia e talvolta l’antifrasi la fanno da padroni. Come per Graziano Mesina, da sempre noto a Orgosolo come “Deledda”: il nome della scrittrice nuorese per un ragazzo che non amava i libri. A Urzulei esiste un “Cajasoru’” (cagliasiero) che ipotizza un’azione impossibile perché il siero è di per sé già frutto di un’altra cagliata, quella del latte: qui la parola indica un avaro al massimo grado. Altrettanto avviene a Seui per “Crastamuscas” (castratore di mosche), operazione difficilissima che richiederebbe una precisione sovrumana: in origine indicava un pignolo di prima grandezza. Non scherza neppure “S’ierru” (l’inverno), presente in molti paesi ad indicare personaggi scorbutici o dall’umore ballerino come il tempo nella stagione fredda. In alcuni centri caratterizzati da pochi cognomi come a Chioggia si ricorre a svariati stratagemmi per non incappare nella mala fortuna di ritrovarsi addosso un soprannome poco gradito. A Seulo – cognomi dominanti Murgia e Ghiani – già dalla seconda metà del secolo scorso non era raro il caso che a soprannominare i bambini appena nati fossero gli stessi genitori, con naturale benevolenza. Qualità assente nei nomignoli che hanno come punto di riferimento le parti del corpo. Prendiamo la più nobile, la testa: si va da “Conca de mazu” (testa di maglio) a “Conca de anzone” (testa d’agnello) fino a “Conca de pardula” (testa di formaggella) e “Conca de porcu” (testa di maiale). Uno di questi ultimi, in un villaggio barbaricino, si adirava molto quando lo si chiamava con il soprannome ma non batteva ciglio se qualcuno glielo girava in italiano, attenuandolo in “testa di cassetta”. In tema di volatili, invece, ha avuto grande fortuna “Su stori” (il falco), da San Basilio a Sadali e in molti altri paesi dell’area linguistica campidanese, ma non solo. Non mancano i calciatori: il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Franco Siddi a Samassi rimane sempre “Rivereddu” (piccolo Rivera), appellativo giovanile nato dalla passione calcistica per il Milan. Un capitolo a parte meriterebbero i cavalieri dell’Ardia di Sedilo, titolari di bei nomignoli. I più giovani ne hanno uno italiano, come Salvatore Meloni, prima bandiera del 2006, noto “Gattino” e Michele Carboni, protagonista del film di Mereu “Ballo a tre passi”, noto “Cavallino”. Ma la tradizione del soprannome sardo continua a prevalere: la prima bandiera del 2008, Giambattista Carta, è “Cazau” (cagliato). Costantino Chessa, capocorsa del 1995, è “Tilla” (frammentino, bruscolo), forse per indicare la sua magrezza. Per chi lo porta, il soprannome può essere una croce o una delizia: c’è chi si arrabbia e chi se ne gloria. Come Antonio Deplano di Seui, noto “Zero”, che per evitare equivoci si firmava utilizzando il nomignolo al posto del cognome e una volta si dice abbia chiamato da lontano il suo compaesano “Su tresi” (il tre) dicendogli: “Vienimi vicino: da solo non conto nulla, con te davanti faccio trenta. Conviene a me, ma anche tu sei moltiplicato per dieci”. In ambiti accademici cagliaritani furoreggia “Coniglio mannaro”, inventato da un docente per un suo collega che vorrebbe fare il lupo ma non ne ha gli strumenti indispensabili. E si accontenta di fare la volpe.

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