Riflessioni dalla lontana Finlandia, osservando in tv il film "Padre Padrone"

di Mario Sconamila

La televisione nazionale finlandese, in tema di "cinema classico", ha proiettato "Isäni, herrani" (Padre padrone), il film che un trentennio fa fu l’emblema, in positivo e negativo, della condizione civile e morale della Sardegna. La recensione iniziava con un pragmatico "Sardinialaispoika ja hänen sortajansa" (Il ragazzo sardo e il suo oppressore). Ero curioso di verificare il giudizio e la reazione di un popolo assai diverso dal nostro, specialmente nel rapporto genitori-figli. Contemporaneamente, nella cittadina dove risiedo, fra i pochissimi italiani sono l’unico sardo, per cui, il giorno successivo, sono stato invitato ad uno scambio di idee, chiamiamolo pure un piccolo dibattito, da parte di un’associazione. Iniziamo a dire che i fratelli Paolo e Vittorio Taviani fecero davvero un bel lavoro di ambientazione della pellicola. Ebbero la felicissima idea di assumere nei due ruoli principali due veri attori teatrali, peraltro poco conosciuti dal grande pubblico: Omero Antonutti e Saverio Marconi. Descrissero ed evidenziarono un paesaggio duro, aspro, difficile, pericoloso; concentrarono alla perfezione l’intera famiglia sulle figure del padre e del figlio, tenendo all’oscuro e con funzioni di comparse gli altri componenti; anche la colonna sonora si allineò al dramma famigliare, risultando piena di suoni gravi e cadenzati. A mio parere, esaltarono il concetto che, per spezzare la triste realtà, l’unica prospettiva per l’abitante del luogo fosse costituita dall’abbandono dell’Isola col relativo viaggio nell’agognato "continente". Diciamo la verità: il conseguimento della laurea e la conseguente notorietà del protagonista Gavino Ledda erano un qualcosa di più, un corollario, un traguardo simbolico che nulla però avevano a che vedere con le modalità precipue della storia, appunto rappresentate dalla rivalità e dall’odio reciproco instauratosi fra i due componenti della famiglia. Aggiungiamo anche un’altra notizia che servì ad esaltare il successo e la fama internazionale del film: l’inaspettata conquista della Palma d’oro al festival di Cannes. La giuria era presieduta da Roberto Rossellini. Lui, che in coppia con Vittorio De Sica inventò il neorealismo, affermò che il film dei Taviani rappresentava simbolicamente un repentino ritorno di quel filone in terra sarda.
Come reagì la Sardegna del tempo all’uscita del film? Si registrarono larghi consensi? Fummo investiti dall’onda lunga della soddisfazione? Sapere di un corregionale che, come suol dirsi, partendo dal nulla riesce a conquistare con la volontà e l’abnegazione un traguardo importante, ci fece realmente sentire orgogliosi del nostro sentirsi sardi? Ahimé, ho paura di dover deludere i sostenitori di questa tesi trionfalistica. La vera essenza del film, prescindendo dal caso personale del protagonista, era invece la rappresentazione nuda e cruda della Sardegna selvaggia nei panorami e specialmente nel territorio, e di riflesso delle persone che la abitavano. Una terra dove era tremendamente difficoltoso il transito fra viottoli, rivoli, pietre, fossati che simbolicamente erano la sintesi del rapporto delle persone coi propri simili. Ed ancora: quella del pastore Gavino era da considerarsi un caso limite, estremo, che sfugge alla normalità, e come tale eccezionale? Questo quesito alimentò le discussioni del tempo, e devo ammettere che nessuna risposta fu data al proposito: tanti giri di parole, tante generalizzazioni, ma nessuno cercò di affrontare di petto la questione in tutta la sua interezza. Insomma, i "padri-padroni" erano una raffigurazione fantasiosa o realmente esistevano in grandissimo numero? A ben pensarci, il successo di Gavino Ledda contribuì, paradossalmente, a tenerci lontani da queste tematiche, da queste risposte. Non affrontammo, allora, lo spinoso quesito, forse per non dover ammettere pubblicamente una triste verità, che fingevamo di scambiare per un luogo comune, o peggio ancora per una irriguardosa diceria. Facemmo bene a comportarci così, a stendere un velo pietoso e fingere di non vedere? Nella discussione con gli amici finlandesi, tutti attentissimi a capire e conoscere le particolarità della nostra terra, ho dovuto usare anche la cosiddetta diplomazia. C’è da premettere un particolare importante: la Sardegna, a differenza della Sicilia, non è molto conosciuta all’estero, e questo per tutta una serie di considerazioni, prima fra tutte la difficoltà di essere raggiunta e poi, a detta delle persone che ci sono state, il prezzo esorbitante di alberghi e punti di ristorazione. Mi è stata fatta l’inevitabile domanda: la Sardegna di oggi è assai differente da quella descritta dai fratelli Taviani? Il tenore di vita è migliorato in modo consistente? Per arrivare al quesito cruciale: è possibile che nella tua Sardegna possano ancora esistere casi come quelli rappresentati dal film? Sono ancora in circolazione dei padri di siffatta specie? Sarebbe troppo facile da parte mia replicare così: "Cosa avreste risposto voi, cari corregionali?". Naturalmente questa è solo una mia battuta estemporanea. Ho affrontato il problema partendo alla lontana fino ad arrivare ai giorni odierni, facendo insomma una cronistoria dei passi in avanti compiuti dalla popolazione sarda nell’ultimo trentennio. Non ho potuto e soprattutto non ho voluto, vorrei aggiungere, prendere le difese d’ufficio della mia Isola, soprattutto per quanto riguarda la nostra atavica rassegnazione dell’accettare senza reagire quella che possiamo definire l’avversità del destino ed il piegarsi al volere degli altri, come ci insegnò Grazia Deledda. Ho spiegato che noi sardi avremo sempre meno i padri-padroni allorché potremo disporre dell’autonomia personale che possa finalmente indurci a disporre realmente di noi stessi e seguire il viaggio, ma soprattutto la mentalità interiore, della propria coscienza di appartenere ad un’Isola con le sue tradizioni e specificità facente però parte del domani della vita, ossia l’appartenenza alla grande famiglia dell’Unione Europea. Tanto prima lo capiremo, tanto meglio sarà per tutti. La mia vera paura consiste nel fatto che ancora molti corregionali, intrisi di vecchie idee non ancora sopite del tutto, vedano ancora con paura e sospetto la realtà esistente oltre il Tirreno e specialmente fuori dei nostri confini naziona
li.

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