LA VITA DI UN CAMPIONE DEL PUGILATO NELLA SUA AUTOBIOGRAFIA, DENTRO E FUORI DAL RING: SPORTIVAMENTE, MARIO SANNA, MIRELLO

di GIANRAIMONDO FARINA

Già il titolo di emozionante libro è un programma. “Sportivamente, Mario Sanna”, l’autobiografia del grande campione anelese di pugilato, l’indimenticato Mirello (Anela, 1946), uscita da poco nel mese di Dicembre 2022, presso la in System Grafic, con redazione ed impaginazione grafica di Fabrizio Bellanca. Un libro che ti coinvolge fin dalle prime pagine e che racconta, con grande “pathos”, unito, al “minimo comune denominatore” che ha accompagnato da sempre la vita di questo uomo, prima che pugile: la passione sportiva ed il suo viverla nella nobile pratica della “boxe”. Come si legge nella sua breve, ma puntuale, introduzione “Mario Sanna, sardo trapiantato ad Aprilia, è l’emblema della caparbietà, oltre che del talento sportivo”. Una vita sportiva, la sua che si è, da subito, “alternata” , con la vita vissuta, dura, avvincente e coinvolgente. E che ha avuto, sostanzialmente, due “luoghi -simbolo”: Anela, patria di nascita, ed Aprilia, luogo di adozione e di formazione sportiva. La lettura di quest’autobiografia, che ha come sottotitolo “La mia vita sul ring e fuori” è, quindi, sapientemente dipanata e raccontata con un progressivo incedere di forti emozioni, tutte accompagnate da quell’avverbio che, da subito ha contraddistinto Mirello, la sua firma autografa: “Sportivamente, Mario Sanna”. Descriviamola, allora, quest’ emozionante parabola sportiva. Si inizia con i primi cinque capitoli, quelli duri della vita anelese, goceanina e sarda. I titoli sono quanto mai emblematici: Le origini; L’infanzia di Mirello; Responsabilità e sacrificio; Sa strumpa e “Via dalla Sardegna”. Mario nasce ad Anela il 5 ottobre 1945, terzo di una numerosa famiglia, umile, ma dignitosa, con genitori Grissanto Sanna e Maria Giuseppa Ena e fratelli e sorelle Agostina, Antonioandrea, Felicita, Elio, Mariacaterina e Marco. Fra gli zii, per parte materna, è da ricordare l’indimenticato poeta locale Paolo “Paolicu” Ena noto Padrilla, morto nel 1982, i cui versi hanno segnato generazioni e generazioni di anelesi. In questa infanzia vi sono da subito “le basi” dell’uomo: le solide educazioni familiari, il duro lavoro a fianco del padre Grissanto come pastore nell’accudire il bestiame di famiglia a Montes Zosso,i luoghi della memoria storica anelesi che lui stesso descrive in questo modo: “(…) proprio quelli che oggi Anela svende al migliore offerente dei comuni limitrofi. Quei terreni che, per secoli, hanno dato da vivere al nostro paese, rappresentandone la memoria storica (…)”. Osservazione che è anche denuncia ed, allo stesso tempo, atto di amore verso il proprio paese che, purtroppo, sarà costretto, da giovane adolescente a lasciare con tutta la sua famiglia. Eppure, in questi primi capitoli si forma il Mirello del futuro. A partire, dal nomignolo, appunto, affibiatogli da un vicino di casa che, non riuscendo a pronunciarne bene il nome nella sua forma  riduttiva, né uscì con l’appellativo storpiato  Mirello. Per cui Mario Sanna  di Grissanto sarà, per gli anelesi, Mirello. Molto dense e cariche di significati sono le parti in cui si parla certamente della citata grande ed unita famiglia, caratterizzata dall’amore vero fra i genitori e dalla guida sicura del padre. E poi il lavoro, ossia l’aiutare Grissanto in montagna con le bestie e l’accudirle di giorno e di notte. Senza dimenticare la scuola, il mitico avviamento professionale frequentato a Bono, centro e capoluogo del Gocéano il cui viaggio, allora, per chi non aveva il denaro sufficiente, si effettuava a piedi. L’ avviamento professionale, si badi bene, il cui conseguimento del diploma consentirà a Mirello ,nelle sue  successive vicende emigratorie, di avere un primo “pezzo di carta” utile da spendere nel mondo del lavoro. 

 L’autore ha, inoltre, nonostante la lontananza ed il tempo, saputo fornire, in poche pagine, una precisa descrizione storico-economica di una piccola comunità dell’entroterra sardo, Anela che, nonostante, la vivacità di una maggiore popolazione (in quegli anni quaranta e cinquanta del XX secolo il paese aveva raggiunto i 1500 abitanti), già iniziava a vedersi acuire i sintomi dell’arretratezza economica e del disagio sociale ad essa connesso, nonostante si fosse agli albori del secondo “boom” economico e già in Regione Sardegna si stesse parlando di progetti per un futuro “Piano Rinascita” che, purtroppo, solo in parte, e con risultati contrastanti, avrebbe coinvolto le zone interne dell’isola. Questa situazione nel libro risulta essere ben descritta ed argomentata, da un lato, dalla quasi totale assenza di macchinari agricoli per o tradizionali lavori nei campi e, dall’altro, da un’economia fondata ancora sulla “monocultura della pecora e del romano” e totalmente dipendente da capitali ed interessi esterni, comprovati dall’esistenza, anche ad Anela, di caciare gestite in nome e per conto di aziende non sarde come la Galbani.

 Anela, infine, per “Mirello” voleva dire “sacrificio”, ma anche responsabilità. Una responsabilità “forgiata” nelle sfide tra amici che, con la pratica dell’antica lotta nuragica de s’istrumpa , rappresenteranno il vero “tesoro tecnico” di cui il campione si servirà negli undici anni d’intensa carriera pugilistica. Era chiaro che, però, quel mondo, sebbene magico e “culla” della propria infanzia, non avrebbe potuto più garantire alcun futuro per Grissanto e la sua famiglia. E giunge l’amara decisione di emigrare. Un momento che, per i Sanna, diventa di svolta. Siamo nel 1962 e “Mirello” ha 17 anni. Una “svolta” per cambiare il proprio futuro. E la meta diventa Aprilia, nel Lazio, allora città di recente edificazione e con grandi potenzialità. Diventerà la “seconda patria” di  “Mirello”.  Vi giungeranno definitivamente nel luglio 1964. Città giovane, aperta e multiculturale, ben collegata con Roma, il mare ed i Castelli. Che, però, in quegli anni aveva appena 20 mila abitanti. Ecco che, proprio qua, riprende vigore la parabola sportiva ed umana di Mario Sanna. Se Anela è la “base”, Aprilia è tutto il resto. Con una grande particolarità da rimarcare, ben evidente nel libro.

Mario Sanna, inizierà a fare sul serio con il pugilato ad Aprilia nell’estate 1964 presso quello che diventerà il suo “regno” e la sua seconda “casa”, il C.R.A.L., acronimo di “Circolo Ricreativo Aziendale Lavoratori” della Simmenthal.  E qua, la storia dell’anelese Mirello, emigrato con la sua famiglia nel Lazio, s’intreccia con quella lombarda e brianzola del grande imprenditore milanese Gino Alfonso Sada (1888- 1964). Ed è interessante percepire come la microstoria di provincia si colleghi con la grande storia, soprattutto quella economica, di cui questa splendida ed affascinante autobiografia ne è testimonianza. Perché parliamo di “Simmenthal” e del cavaliere del lavoro brianzolo Gino Alfonso Sada? Perché siamo dentro il secondo, più importante, “boom” economico italiano e perché se non ci fossero stati la “Simmenthal” e Sada, con le sue illuminate visioni industriali, sportive e dopolavoristiche, molto probabilmente non ci sarebbero stati il nostro Mirello e la sua epopea pugilistica. La “Simmenthal”, allora ormai affermata azienda di carni in scatola, con sede e testa fra Milano e Monza, e “braccio operativo” anche nel Lazio, proprio ad Aprilia, di cui ne diventerà “azienda madre” con più di mille dipendenti. E Giulio Alfonso Sada che “Mirello” solo incrocerà, perché morirà nel 1964, insigne figura di magnate ed amante dello sport. Figura che, guarda caso, accomuna Monza ad Aprilia.  Già, perché se fu proprio l’imprenditore brianzolo ad ideare in persona l’immenso progetto apriliano del “C.R.A.L.” in cui il nostro campione stabilirà la sua seconda casa, a Monza, invece, la locale squadra di calcio, con il cavalier Sada presidente, nel 1956-57 aveva sfiorato la Serie A per poi attestarsi stabilmente in B. Erano gli anni della “Simmenthal Monza” o della “Simmonza” i cui ricordi sportivi rimangono ancora vivi nel capoluogo brianzolo con l’intitolazione del vecchio e mitico stadio cittadino a “Gino Alfonso Sada”. Stadio che, per decenni, prima del Brianteo, sarà la sede del Monza calcio. Ebbene è importante rilevare questo sottile, ma vivido, legame storico- economico fra due realtà apparentemente diverse come Aprilia e Monza e che, invece, un’attenta lettura di “Sportivamente” fa emergere in filigrana. Questo passaggio è importante anche per farci capire chi è stato veramente il Mario Sanna uomo. Non solo pugile, ma anche lavoratore. E, soprattutto, lavoratore sardo emigrato. La lettura, quindi, dell’autobiografia, accanto alla parabola sportiva (certamente centrale nell’economia del racconto), mette in relazione altre due “parabole” di “Mirello”, non meno importanti e decisive: quella lavorativa e quella umana- familiare.  La prima a trovare il suo compimento, dopo il durissimo periodo dell’emigrazione, sarà, la vicenda lavorativa. Dal 1962, anno dell’amaro, ma doveroso, distacco da Anela e dalla Sardegna, al 1964, “Mirello” lavorerà dapprima come servo- pastore assieme al padre Grissanto e, poi, come muratore. Dal 1964 al 1966, con le prime affermazioni pugilistiche (Campione italiano allievi nel 1965), “Mirello” veniva assunto alla “Olearia Tirrena” come manutentore meccanico. Per poi approdare, dopo il servizio militare, nell’agognata e ricordata “Simmenthal”, l’azienda- madre degli apriliani in cui il nostro, sempre con la specializzazione di manutentore meccanico, verrà impiegato in tutti i reparti. Un lavoro finalmente stabile, sicuro e motivante anche per il proseguo dell’attività agonistica e che si concluderà nel 1997 con l’agognata pensione. 

“Parabola” centrale nella vita di “Mirello” fu, indubbiamente, l’attività pugilistica.  Grazie al suo maestro e mentore Otello Donati (Roma,1923- Aprilia, 2018) ed alle strutture messe a disposizione dal ricordato C.R.A.L.  “Simmenthal”, Mirello, in pochi anni, undici per la precisione, dal   1964 al 1975 arriverà a descrivere una parabola affascinante e, per certi versi, unica ed originale all’interno del movimento pugilistico italiano. Parabola fatta, a sua, volta di momenti alti ed importanti e di passaggi o sconfitte. Che, comunque, va raccontata e descritta, per sommi capi e, sempre, sportivamente. Ad iniziare da quel primo incontro del marzo 1965 presso la palestra dei Vigili del Fuoco di S. Giovanni in Laterano a Roma contro il trasteverino Rossi. Poi sarà un biennio in continua ascesa: campione italiano allievi nel novembre 1965, avendo avuto la meglio sul ligure Giannoni. Dopo la durissima prova del servizio militare, in cui, peraltro, il pugile anelese, facente parte dell’apposita squadra pugilistica, non si darà mai per vinto, registrando alcune vittorie ma anche le prime, dolorose, sconfitte, inizia il ” periodo d’oro” di Mirello. Prima tappa, la conquista del prestigioso “Guanto d’oro” nel 1967 a Genova contro l’emiliano Dal Monte. Seconda tappa, ancora più prestigiosa, la “drammatica” vittoria di Cecina contro l’idolo locale Argenti. E qua vi è la prima data da non dimenticare: 16 marzo 1968, campione nazionale dilettanti dei pesi leggeri, seguito da ben due autobus di apriliani in trasferta. Tanta strada per l’emigrato di Anela era stata fatta. Nel mezzo anche la “presunta” rivalità con l’amico- campione Enzo Petriglia ed il bel giudizio che un grande ed affermato giornalista come il compianto Pino Scaccia darà di Mirello: “(…) Uno di quei tipi che, appena li tocchi, ti bruci”. Giudizio di chiara stima che “fa il paio” con quell’ancora più calzante definizione, coniata dallo zio poeta Paolicu Ena ad Anela e che il nostro, si porterà dietro per tutta la sua carriera. Per la sua tecnica di combattere era stato definito espe chi punghet et fuet, vespa che punge e fugge. Ebbene, forte di queste definizioni e ben motivato, Mirello affrontava l’ultimo gradino-scoglio per la convocazione alle grandi Olimpiadi di Città del Messico del 1968: il torneo di Rimini. Il pugile anelese- apriliano vi giungeva dopo un’inaspettata sconfitta maturata in quel di Annecy. Tuttavia la sua prestazione contro avversari di rango, come il già menzionato Petriglia, fu talmente positiva da meritarsi la straordinaria convocazione presso le Olimpiadi di Città del Messico. Un ulteriore “tassello” per l’ex servo pastore, emigrato, si aggiungeva. Questa volta il più prezioso, che inorgoglisce qualsiasi atleta: la partecipazione all’Olimpiade.  E non da comprimario, ma da titolare, per la categoria superleggeri.  Da Montes Zosso a Città del Messico: una scalata da incorniciare.  Ulteriore “tappa” della parabola ascendente di Mirello, l’entrata nel professionismo. Una scalata entusiasmante nel biennio 1969- 1971, iniziata con la vittoria ad Aprilia il 25 gennaio 1969 contro Ottorino Dilda per ko tecnico alla quinta ripresa e culminata nello storico 18 agosto 1971 in quel di Castrovillari (CS) con la vittoria ai punti su Ugo Poli ed il conseguimento del titolo italiano professionisti dei superpiuma, il quarto in assoluto per la categoria. L’apoteosi. Il coronamento di tutti quei sacrifici affrontati in precedenza. Una giornata incredibile ed indelebile per generazioni di anelesi ed apriliani.  Tutta da raccontare. Siamo alle pendici della Sila calabrese e l’evento è trasmesso in diretta TV alle 22.30 su Rai 1. Due piazze seguono con grande trepidazione: Anela, nei locali prospicienti la centralissima piazzetta Roma ed Aprilia presso il Cral della Simmenthal. Dopo dodici tiratissimi round e’ il trionfo: un anelese sul tetto dell’Italia pugilistica. Questo, come affermerà Mirello, nonostante le scorrettezze di Poli. La vittoria del suo campione emigrato sarà seguita con tanto coinvolgimento ed enfasi ad Anela ed in tutto il Goceano. Quel caldo agosto di cinquant’ anni fa, a Castrovillari, con lui, diventava Campione d’Italia un paese intero che, ancora fra i comuni viciniori del Goceano, del Monte Acuto, del Mejlogu, del Marghine e della Barbagia, e’ uno dei pochi a potersi fregiare, a buon diritto, di aver dato i natali ad un campione italiano simile, nel deserto culturale, politico e sportivo in cui, purtroppo, ancor oggi, continua a vegetare una buona parte dell’entroterra sardo. Quella vittoria di Mirello rappresentò per il comune di Anela una “ventata” di felicità e di gioia irrefrenabile, che ancora non aveva smaltito l’euforia della cavalcata vincente di un anno prima del Cagliari degli “immortali”. Le pagine di cronaca raccontano di balli e feste per le strade del paese e di quelli vicini che si protrassero fino all’indomani. Lo stesso suo rientro ad Anela, nel settembre successivo, in occasione della festa patronale dei Ss. Cosma e Damiano fu arricchito dal conferimento, da parte dell’allora amministrazione, guidata dall’avv. Salvatore Sanna, di un premio speciale. Gli stessi tributi gli venivano conferiti ad Aprilia essendo diventato il primo cittadino di quell’allora giovane città ad avere avuto un risalto mediatico nazionale. Il successivo periodo, 1971-1975, purtroppo, per cause e motivi anche esterni e per scelte sbagliate dei manager, andava a coincidere con la fase calante della “parabola” : dall’assurda “detronizzazione” del 26 gennaio 1972 a Cascina (Pi) per infortunio tecnico contro l’aretino Mario Redi . Prima di questo match si ricorda lo “strano” incontro di Novara del 17 dicembre 1971, con Mirello ancora detentore ma senza titolo in palio, perso per ko tecnico contro Giorgio Merlin, alla presenza di una nutrita rappresentanza di emigrati anelesi accorsi per festeggiare il loro campione. Per 

 arrivare all’amaro ritiro annunciato dopo l’incredibile incontro di Milano del 27 giugno 1975 contro Dominick Monaco, in cui Mirello annunciava di “combattere per perdere perché poco protetto”. Nel mezzo, comunque, una buona e prestigiosa serie di altri incontri internazionali che, sebbene non gli avessero dato la possibilità di battersi per i titoli europeo e mondiale, gli diedero, comunque, ulteriore prestigio e notorietà. Parliamo, in particolare, dei match contro il franco-algerino Ould Makloufi a Marsiglia del 6 ottobre 1972, vinto per ko tecnico alla quinta ripresa, e dell’incontro del 15 ottobre 1973 di Helsinki contro il finlandese Erik Nikkinen, perso ai punti.

Ed il caso della privazione del titolo italiano non sul ring ma a tavolino rimane una ferita ancora aperta, difficile da rimarginare. Neppure a quasi cinquant’anni di distanza. Eppure, di questa “parabola” ci sono almeno due cose da poter evidenziare. La prima sono i numeri che, per Mirello, sono semplicemente eccezionali: 25 incontri di boxe nel professionismo in sette anni con 18 vittorie (9 per ko), tre pareggi e quattro sconfitte. L’altro dato non irrilevante su cui poter riflettere è quello relativo al fatto di come Mario Sanna non sia ascrivibile per formazione ad alcuna grande scuola pugilistica sarda di Cagliari, Porto Torres o Alghero (che allora la facevano da padroni). La sua è stata una storia diversa, nata ad Anela, fra duro lavoro e istrumpe con gli amici, e maturata ad Aprilia sotto la sapiente guida del maestro Otello Donati che, poi, per lui, diventerà un secondo padre. 

Scrivere di Donati ci porta ad affrontare la terza ed ultima “parabola” su cui è sapientemente strutturata l’autobiografia. È la parte più umana, più familiare ed intimistica del libro. Quella che può essere sintetizzata come ” parte degli addii”. Dall’ addio, morte del padre Grissanto, avvenuta nel 1970, con cui persisteva una profonda intesa e che non aveva mai ostacolato la carriera del figlio, a quella della madre Giuseppina, grande donna di fede, avvenuta nel 1988. Per arrivare all’addio del maestro Donati, avvenuta nel 2018. Donati, che per Mirello era più che un semplice maestro, era un amico. Il grande maestro, scomparso a 94 anni compiuti il 24 marzo 2018, a suo tempo, é stato ricordato in questo modo dal pugile anelese, suo allievo prediletto: “Avevo poco più di 18 anni quando ho conosciuto Otello Donati. La mia carriera è durata una decina d’anni. Con lui ho perso solo un paio d’incontri. Vi é stato fra noi un rapporto di fiducia importante. Una conoscenza che ha valicato i confini del ring”. Già, perché “valicare i confini del ring”, sportivamente, ha aiutato Mirello a costruirsi una solida ed amata famiglia, con la moglie Teresa e la figlia Pamela, di cui va orgoglioso, ed a mantenere i rapporti con gli antichi amici ed i familiari. Senza dimenticare le origini anelesi. Scrive infatti: “(…) Sarò per sempre grato e riconoscente ad Aprilia, ma non mi scordo mica di essere Mirello, di essere prima di tutto anelese. Vado orgogliosissimo delle mie origini sarde. Il mio paese natio lo porterò sempre nel cuore pur vivendo a qualche migliaio di km di distanza e non ritornandoci più da anni (…)”. Infine, quasi come un paradosso, il grande insegnamento che la lettura di questo bellissimo libro può dare è che “valicare i confini del ring” come, tra l’altro, ha ribadito spesso “Mirello” ti porta nel “ring della vita”. La vita, la nostra vita, non è che un succedersi di round che si vincono e si perdono. Motivo per cui il pugilato, nobile arte, nonostante la crisi che l’attanaglia attualmente (si veda l’assurda esclusione fai giochi olimpici di Los Angeles 2028) andrebbe insegnata nelle scuole, perché “dà sicurezza, sveglia i timidi, acquieta gli esuberanti, porta al rispetto del prossimo ed insegna a sorridere”. Un po’ quanto avvenuto nella parabola di vita di Mirello, Mario Sanna. Sportivamente.

P.S.: La vicenda sportiva ed umana di Mario Sanna sarà ricordata prossimamente, fra febbraio e marzo 2023, dal Circolo Culturale Sardegna di Monza con due eventi: uno a distanza, per gli amici anelesi e non, e l’altro, in presenza, proprio a Monza, con l’autore stesso.

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4 commenti

  1. Salvatorica Camboni

    Bravissimo😊 Complimenti!👋

  2. Ho letto non senza pose, per la vista che mi manca, il “corposo” pezzo sulla vicenda di un uomo, un pugile e un sardo di Anela. Il suo nome Mario Sanna, per gli amici “Mirello”.
    Mi dolgo di non aver incontrato, ad Anela negli anni ’70/ ’80 ero di casa e però la “fama” del pugile Mario Sanna traboccava da ogni casa del paese, e fuori fra gli sportivi del Goceano, di Sardegna.
    Ho letto, a tratti riletto, il suo racconto “corposo”, ripeto, ma per me toccante!
    Forse anche io mi sono specchiato nella umana vicenda del Campione di Anela, in una vita che è stata una scommessa, e “mutatatis mutandis” non pochi sardi, ed io mi unisco, si son fatti un nome, e sognano, come Mario Sanna, di lasciare anche un Testamento e un messaggio, che è un libro!
    Rallegramenti, prof., e bravo, grande Mirello: un Uomo e un Libro che mi toccano, e m’incantano davvero. Grazie ancora !

  3. Adriana Valenti Sabouret

    Non conoscevo “Mirello”: grazie, Gianraimondo Farina, per questo articolo e complimenti all’autore.

  4. La mia vicenda personale è sportiva da me descritta. E bella ma è una storia di sudore e grandi sacrifici e rinunce per arrivare in alto nell’olimpo dello sport. Di qui. Giàn raimondo. Farina mi descrive. Lo ringrazio per le belle parole che mi hai dedicato

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