DOVE IL CAMPIDANESE E IL LOGUDORESE SI INCROCIANO: “ADDIA”, TRABAGLIU LETTERARIU NOU. LO SPETTACOLO TEATRALE A MILANO CON MARIA VIRGINIA SIRIU E GAVINO MURGIA

Gavino Murgia e Maria Virginia Siriu

di SERGIO PORTAS

Tutto è partito dall’amore per la lingua sarda che Paola Alcioni, cagliaritana, e Antonimaria Pala, di Torpè, estrinsecano nello scrivere poesie “in limba”, vincendo premi (soprattutto lei: Ozieri, Romangia), facendo opera di traduzione in sardo, sempre lei; lui cultore ed esecutore di musica di tradizione orale, unisce questa passione all’impegno militante per la tutela della lingua sarda e all’attività letteraria. Ha curato una raccolta di racconti in lingua sarda: “Sos Contos de Torpenet” per Edizioni Condaghes e numerosi altri interventi in riviste, radio e tv. A quattro mani (batoro manos) hanno scritto un libro tutto particolare dove il campidanese e il logudorese si incrociano mirabilmente dando luogo ad un’opera tanto originale quanto intrigante nella ricercata musicalità del testo. “Addia” si chiama questo “trabagliu letterariu nou” ed è ambientato nella Sardegna del 1537 (millechimbichentostrintasette), anni di dominio catalano quando anche nell’isola il ragno della Santa Inquisizione tesseva la sua tela per ogni dove, onde preservare la cattolica religione da ogni malefico influsso che potesse arrivare, tra le mercanzie stivate nelle navi, dal continente oramai appestato dalla eresia luterana e calvinista. Per la verità in quel periodo di “religione cattolica” vera e propria non è il caso di dire, le genti sarde essendo ignorantissime in merito, grazie anche al clero isolano che era ignorantissimo lui pure, si potevano contare sulle dita di una mano i preti che sapessero di latino, con due quelli che riuscivano a far apprendere l’ave maria e il padre nostro ai fedeli. Gli inquisitori, tutti catalani che i sardi erano considerati “sospetti”, erano attenti a quelli che consideravano “indizi di eresia”: bestemmie in varie forme, le predizioni e le fatture, l’invocazione del diavolo e delle streghe, la pratica delle arti magiche, come pure l’astrologia e la chiromanzia, la bigamia (molto diffusa), ma finanche la trasgressione delle norme previste per la celebrazione della Pasqua. Vedete bene quanto sottile fosse la linea che bisogna stare attenti a non calpestare se non si voleva incorrere in guai grossi, e ancora di più diventava pericoloso se, come in tutte le comunità, in tutti i paesi una qualche donna si prendeva cura di aiutare le partorienti, di assistere i moribondi, di tramandare la antica consuetudine di dar sollievo alle malattie più frequenti con le erbe raccolte nei campi. Da una relazione dell’attivissimo Alonso de Lorca, sommo inquisitore in Sassari del 1571 sappiamo di una condanna a tale Giovanna Sardo, sassarese, accusata di varie colpe di competenza inquisitoriale; essendo ancora vivo suo marito, si era unita carnalmente con il genero; poi, rimasta vedova, e desiderando continuare la relazione, si era rivolta alle fattucchiere per provocare la morte della figlia. Le furono inflitti trecento colpi di frusta e l’obbligo di trascorrere tutta la vita nell’ospedale di Sassari per assistere gli ammalati poveri, fu inoltre diffidata da incontrarsi ulteriormente con il genero. Ma torniamo ad Addia (con cui i due autori hanno vinto il premio Deledda per la letteratura in lingua sarda nel 2008) : la protagonista è maista de partu, bruxia, accabadora, colei che aiuta ad entrare e uscire dalla vita, guidata da un sentimento di pietà. Per questo è accusata di stregoneria, carcerata dall’Inquisizione e liberata dai suoi conterranei. Questo in estrema sintesi. Ebbene Maria Virginia Siriu, insieme a Gavino Murgia e la sua musica, ne hanno fatto uno spettacolo teatrale e l’hanno presentato al “Teatro Blu” di Milano, sponsor il Circolo culturale sardo che si sta riprendendo, come ogni associazione culturale, dalla forzata inattività decretata dal covid che sapete. Maria Virginia, fedele al libro, ha recitato in sardo logudorese-campidanese. Davanti a un pubblico che, ancora terrorizzato dai ferrei dettami che impongono il “distanziamento sociale”, non si è affrettato a riempire le sedie della platea. Un vero peccato perché, come dice Giovanni Cervo presidente il circolo milanese di Maria Virginia Siriu si può parlare per ore, direttrice artistica, regista, attrice,

laureata in Filosofia all’Università degli studi di Cagliari, debutta come attrice nello spettacolo Don Cristobal e Donna Rosita tratto da Federico Garcia Lorca per la regia di Guglielmo Ferraiola. Dal 1997 al 2000 approfondisce la formazione teatrale studiando con diversi membri del C.I.C.T. di Parigi diretto da Peter Brook. Nel 1997 frequenta un laboratorio del Living Theatre in cui conosce Judith Malina con cui collaborerà come direttrice di scena e assistente di regia fino al 2003 presso il Living Europa. Nel 2001 fonda assieme all’attore del Living Theatre Gary Brackett la compagnia Theandric. Dal 2003 cura le regie degli spettacoli della compagnia per bambini, “Armonia”, “Kirikù e la strega Karabà”, “La città di Smeraldo”, e per adulti, “Giovanna D’Arco”, “Masses Man”, “Antigone on Antigone”, “Tessiduras de paghe”, “La vedova scalza”, che hanno spesso debuttato nei festival internazionali, su cui spicca il Fringe Festival di Edimburgo. E così pure di Gavino Murgia : musicista, sassofonista, cantante.

La Sardegna con le sue profonde radici musicali è costantemente presente nel suo percorso sonoro. Il canto a Tenore nel ruolo di Bassu, praticato già in adolescenza e lo studio tradizionale delle Launeddas, si fondono nel tempo con la musica afroamericana trovando un percorso inedito e originale. Al sax Soprano e Tenore affianca anche il sax Baritono, Flauti e Duduk. Ha suonato e registrato con artisti di fama internazionale: Rabih Abou Kalil, Bobby McFerrin, Michel Godard, G.Trovesi, Mino Cinelu, Nguyen Le, Antonello Salis, Mal Waldron, Djivan Gasparian, Araik Bakhtckian, Salvatore Bonafede, Pietro Tonolo, Paolo Fresu. E altri cento. L’hanno intitolalo “Duennas”, storia di una donna tra magia e musica, una performance multimediale con interventi di arte visiva e costume di Batash. Ne risulta una una messa in scena immersiva in cui prende vita la partitura di “physical theatre” con la musica eseguita dal vivo di Gavino Murgia, che si contraddistingue per la ricerca tra tradizione e innovazione. L’elemento teatrale e musicale è esaltato dal video in cui vengono proposte le immagini della Sardegna medievale con le sue architetture e la bellezza dei paesaggi naturalistici. La ricerca linguistica si fa estetica e porta in scena il sardo, con una funzione non solo poetica: la lingua madre è difesa e salvaguardia della cultura indigena rispetto all’omologazione allo straniero conquistatore, nel Medioevo così come oggi di fronte al fenomeno della globalizzazione. Non nego che il recitato in logudorese mi abbia creato più di un problema di comprensione (immaginate cosa deve essere stato per il pubblico di non sardi) anche se la musicalità alla fine l’ha fatta da padrona, suonava un po’ così: “Sos protagonistas sunt Addìa e Nenaldu. Issa, de origine Basca, est una fèmina sola e abbandonada in terra de Sardigna dae unu maridu ispagnolu chi no at mai connòschidu, e chi lìat cojuada pro procura, chene l’aere mai bida, pro aere su tìtulu nobiliare. E s’àteru protagonista, Nenaldu, chi cantat in unu coro de Cheja, at aere importu meda in totu su contu”. Gavino sottolineava lo scorrere della storia, alternando strumento a strumento, con aree di struggente melodia. Dietro la protagonista che si prendeva la scena tutta del palco, le immagini di una Sardegna ricca di castelli diroccati incombenti sulle campagne sconfinate, il suo cielo con le stelle che  puoi contare una a una, tanto è terso e pulito. I paesaggi che pur essendo d’oggi non devono essere cambiati di molto da quel millecinquecento in cui anche parlare in dialetto era considerato sospetto. Così è che mediante la finzione letteraria mutata a spettacolo teatrale, magico di per sé, una volta che ogni luce è spenta in sala e il palco diventa l’unica realtà sperimentata da spettatori e recitanti uniti in vincolo di favola, si viene ad apprendere che: “isboidende dae sos pabiros antigos su frundaghe de una cunfraria dues istudiosos agatant una partidura pro coru iscrita in su 1500…”. Nenaldu canta in un coro, dopo il Concilio di Trento la Chiesa cattolica aveva molto investito nella formazione di cori e del canto gregoriano che aiutassero a diffondere la “vera fede” e in Sardegna aveva trovato autostrade aperte, che i cori a tenore, a differenza delle altre regioni italiane, c’erano già. Non ne vuole sapere Addia di seguire direttive che non siano conformi ai sentimenti che prova, irriducibile, come i cori sardi che si moltiplicano paese per paese, a cantare melodie che sanno d’antico grazie a una lingua che “ cun tzertas paraulas espressat cuntzetos chi in ateras limbas no si podent nàrrere”.

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