NOTE DI STORIA ECONOMICA E POLITICA IN TEMPO DI GUERRA E PANDEMIA: LA GUERRA IN UCRAINA FRA “ECCESSI” E “CARENZE” DELLA STORIA

di GIANRAIMONDO FARINA

Nel pieno del conflitto ucraino, quel che sembra emergere più di tutti, sarebbe da addebitarsi ad una immodificabilità della politica fiscale, aggravata, ultimamente, da scelte unilaterali militaristiche, che cercheremo di spiegare. Partiamo dal primo punto. La guerra russo-ucraina, “in primis”, svela la debolezza dell’UE, tanto in politica estera che in quella economica. O, meglio, la debolezza della cosiddetta “opzione funzionalistica”, come afferma Giulio Sapelli. l’Europa, quindi, da sempre divisa tra la prospettiva storicamente gollista di un continente unito dall’ Atlantico agli Urali e quella prettamente atlantista, all’origine del secondo dopoguerra. In entrambi i casi l’Europa avrebbe dovuto “trovare se stessa” in una sorta di “cultura riparatrice” dalla ferita data alla civiltà giudaico-cristiana (alla base della cultura europea) dalla persistenza del capitalismo monopolistico di Stato sovietico, poi diventato imperialismo russo. Questa guerra, quindi, letta con oggettività, non sarebbe altro che la realizzazione concreta del potere putiniano, originato dalla fine della stagione riformatrice di Gorbaciov, e dalla crisi innescata, purtroppo, in quelle terre, dall’ affermazione del “capitalismo di rapina” di Eltsin. Putin, quindi, si e’ erto a difensore dell’ identità e delle tradizioni culturali russe, trovando una sorta di legittimazione, tanto da portare alcuni storici obbiettivi, profondi conoscitori di quel mondo, come Adriano Roccucci (purtroppo poco ascoltati ora) a coniare questa calzante immagine di “Putin e Russia che, da un lato, guardano con un eccesso di storia la contemporaneità (troppo eccesso, per la verità) e, dall’ altro, “l’Occidente che, dal canto suo,   guarda la storia dell’oggi con carenza” (troppa carenza, per la verità). Una “carenza” di storia europea ben materializzatasi, peraltro, già nel 1991, quando, per il solo atto unilaterale tedesco di riconoscimento di Croazia e Slovenia, senza alcun accordo preventivo con le altre nazioni europee, si aprì la stagione di sangue balcanica. Errore ripetutosi, inutile ricordarlo, anche in Kosovo, la cui indipendenza violava il principio del diritto internazionale, andando a costituire un rischioso precedente. Scenario molto simile, ancora esistente in Georgia, ma di cui nessuno ne parla, dove Abkhazia ed Ossezia del Sud rivendicano la loro separazione con l’appoggio russo. In questo senso, allora, la trasformazione del potere russo in un “eccesso di storia” ha portato Putin ad assumerne, purtroppo, anche i caratteri non solo di una guerra di espansionismo economico-militare, ma anche etnica, viste le richieste su Donbass e Crimea.  La “carenza” di storia europea, invece, fino ad ora, ha portato ad alcune scelte alquanto discutibili. In primo luogo, a ritenere che si possa affrontare una guerra e, quindi, una nuova emergenza, senza cambiare i regolamenti UE successivi al Trattato di Maastricht ed il “caro energia” è il più emblematico. “In soldoni”, come si puo’ pensare alla creazione di un nuovo esercito UE, integrato con quello della Nato, senza rivedere la politica economica UE? Una prima soluzione ci sarebbe, ma per chi ha una “carenza” storica (come la quasi totalità delle potenze UE), sarebbe cosa difficilmente percorribile. Si tratterebbe, infatti, di andare oltre la cosiddetta “clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita”. In tal senso, infatti, se la guerra dovesse aprire (come, purtroppo, sta’ facendo) ad una nuova era di confronto militare, il debito non dovrà essere più il pilastro della politica economica europea, portando, finalmente, alla creazione di una vera Banca centrale continentale. Proseguendo, quindi, su questo “filone delle carenze storiche” europee, si giunge al recente incontro di Versailles, dove i leaders europei, invece di adoperarsi concretamente per il cessate il fuoco, hanno continuato lungo la scelta della strada sbagliata: ancora più sanzioni alla Russia. Dichiarazione ancor più sconcertante, avvenuta dimenticando (ecco l’ennesima “carenza”) il manifesto pubblicato da alcuni allievi dell’istituto russo di relazioni internazionali contro la guerra in Ucraina. Esempio, questo, dell’esistenza, ancora, di una cultura liberale russa del dissenso. Purtroppo, questi capi attuali dell’UE impediscono, proprio perché “carenti storicamente”, di dare spazio ad una seria manovra diplomatica, per uscirne con questa dichiarazione congiunta, il cui “incipit” risulta essere ben espresso da queste frasi: “La responsabilità di questa guerra ricade interamente su Russia e Bierlorussia sua complice, ed i responsabili saranno chiamati a rispondere dei loro crimini”. Dichiarazioni necessarie ma che, purtroppo, non fanno altro che allontanare la soluzione della tragedia. Tragedia che, purtroppo, è in corso e che sta trasformando lo stesso potere russo (ecco qui, nuovamente, il ritorno all'”eccesso di storia” putiniano) in un complesso di tipo “grande russo”, abbandonando, purtroppo, la Russia dalle sue radici europee. E portando alla fine di quel mondo, l’Eurasia, delicato equilibrio in costante cambiamento tra Europa ed Asia, che aveva sempre caratterizzato la storia zarista prima e quella sovietica dopo. La “carenza” di storia, poi, questa volta nordamericana, ma dopo il 1991 e dopo il 2011, anno d’ingresso della Russia nel WTO, aveva portato alla Russia la minaccia dell’isolamento militare ed economico, non creando gli “Stati cuscinetto” attorno ai suoi confini ed alimentando il revanscismo di Stati e popoli, un tempo facenti parte del sistema. Una UE che, quindi, “carente di storia”, senza economia di mercato e con le sanzioni ricaccia la Russia nel buio dell’isolamento e dell’etnicità. “Carenza” di storia che, infine, si materializza nell’inascoltata profezia kissingeriana di ben otto anni fa, scritta a proposito della situazione ucraina. Profezia da tradursi, semplicemente, in questi tre punti, rimasti inattuati: ingresso ucraino nell’ UE, suo non ingresso nella Nato e sua federalizzazione. “Cercando di capire”- come ha detto l’ormai quasi centenario Kissinger-” che per la Russia l’Ucraina non potrà mai essere per storia, lingua e cultura, solo un Paese straniero”. Per fare ciò, naturalmente, occorrerebbe una seria azione diplomatica che al momento, purtroppo, fatica ad intravedersi all’orizzonte.

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