LE UTOPIE SULLA SARDEGNA DEL PASSATO: I PORTI E GLI ‘INTERESSI’ DEI BANCHIERI PIEMONTESI SULLO SCALO DI TERRANOVA (OLBIA)

di GIANRAIMONDO FARINA

Il capitolo relativo ai porti si presenta ben strutturato ed argomentato a tal punto che Sanna Sanna, come gia’ sottolineato in precedenza, proprio per le sue lucide prese di posizione, puo’ benissimo essere assurto fra gli antesignani ed i padri della continuita’ territoriale moderna da e per la Sardegna. Il centro del suo pensiero e’, appunto, quella sua precisa affermazione per cui  “(…) Un’ isola non puo’ aspirare ad un Risorgimento stabile e duraturo se agli estranei non se ne facilita l’approdo (…)”. Una constatazione che, subito dopo, lo portava a ribadire la centralita’ dell’isola nel Mediterraneo. Tuttavia, neppure le riforme del 1848, anticipate dalla “fusione perfetta” del 1847, ebbero, in seno al Regno di Sardegna, una maggiore e piu’ concreta attenzione per i porti ed i fari sardi. Ma quali erano le reali condizioni delle “porte sarde” dopo il primo decennio unitario? Le “Utopie” dell’ex deputato anelese ci offrono, in tal senso, se sapientemente lette criticamente, un lucido spaccato delle loro condizioni, peraltro poco conosciuto e studiato. Spaccato che, pero’, sarebbe fondamentale riprendere e ripresentare all’opinione pubblica, sarda e della diaspora, affinche’, veramente, si arrivi ad uno studio e conoscenza seria delle radici della continuita’. Ebbene, tralasciando lo scalo di Porto Torres, l’unico, peraltro, attivo con collegamenti quotidiani gestiti dalla “Rubattino”, almeno fin dagli anni 50 del XIX secolo, il resto degli approdi isolani si presentava in situazioni o di totale abbandono, o di bisogno di una seria implementazione. A partire dallo scalo che, nella mente di Sanna Sanna (ma non solo) sarebbe dovuto diventare, profeticamente, il piu’ importante porto isolano per traffico merci e passeggeri, data anche la propria vicinanza alla penisola: lo scalo di Olbia, allora denominata Terranova. L’interesse per esso aveva accompagnato quasi tutto il finire dell’VIII legislatura (1861-1865), chiusosi, per l’appunto, con la presentazione, da parte del politico goceanino, di un interessantissimo progetto che avrebbe dovuto portare alla riqualificazione dell’intera area con un originale programma di autofinanziamento da parte dei comuni interessati dei due circondari di Ozieri e Tempio. Progetto di cui, purtroppo, non se ne fece nulla, anche a causa della convinta opposizione della giunta comunale di Tempio. Certamente, alla base di quest’interesse, allora vi erano anche le aspirazioni politiche di Sanna Sanna, al momento deputato uscente del collegio elettorale di Ozieri, comprendente le due circoscrizioni di Tempio ed Ozieri. Tuttavia, riprese tali considerazioni a distanza di sei anni (1871) ed inserite nelle “Utopie”, ci offrono, proprio per la storia moderna dello scalo olbiese, un’altra sfumatura di lettura. Che si rifa’, in tal senso, nel ritornare a ribadire per Terranova, a sei anni dalla presentazione del proprio progetto di legge e, soprattutto, del fallimento delle politiche governative in merito. Per un porto che, come scrive Sanna Sanna “(…) sara’ il porto veramente italiano della Sardegna, come lo era al tempo dei romani (…)”. Un porto che diventera’ tale (ed anche qui “l’utopia” si tramuta in “profezia”), “quando verra’ raggiunto da una moderna strada ferrata, “(…) che partendo da Cagliari raggiunga Terranova con diramazione a Sassari, per terminare a Porto Torres, Porto Conte ed Alghero(…)”. Ebbene, nell’arco di 23 anni, dal 1848 al 1871, il porto di Terranova, stando alla documentata denuncia di Sanna Sanna , attendeva una serie azione di riqualificazione. Con l’intervento governativo. Intervento governativo che ci fu soltanto nel 1856, nel pieno delle politiche riformistiche di Cavour e del “decennio di preparazione” . E che, peraltro, si esauri’, e non se ne fece nulla, nel giro di poco tempo. Sanna Sanna, in tal senso, denunciava lo stato deplorevole del porto di Terranova, mancante di un accesso facile all’imboccatura e di una seria azione di pulizia con l’utilizzo di moderni cavafanghi per lo spurgo (per cui nel biennio 1860- 61, si stanziarono circa 80 mile lire sarde). Ma, soprattutto, faceva un chiaro ed esplicito riferimento agli “interessi” governativi e cavouriani nello specifico, sul porto. Il deputato anelese ha avuto la capacita’ di “denudare” l’intreccio e la ragnatela d’interessi finanziari ed economici cavouriani. Legami ben rappresentati da un solo nome: Bolmida, famiglia di imprenditori sericoli e banchieri piemontesi.  Bolmida, piu’, specificamente, vuol dire Luigi (1805- 1856)

Luigi Bolmida, infatti, nel 1856, anno della sua morte, sara’ il destinatario, spinto probabilmente dall’amico e socio primo ministro, di una concessione governativa sull’area del porto di Terranova. Un contratto che avrebbe dovuto concedere all’imprenditore piemontese il godimento di 60 mila ettari di terreno da coltivare e colonizzare, cui si sarebbe dovuta aggiungere una somma per la riabilitazione dello scalo marittimo. Ma chi era realmente questo Luigi Bolmida citato da Sanna Sanna in un simile “affaire”? Si tratta, come anticipato, di una delle piu’ importanti figure di imprenditori, banchieri e mediatori finanziari, decisive anche per le fortune cavouriane e del Risorgimento. Figlio del barone Giuseppe Bolmida, imprenditore sericolo, esponente, assieme al fratello Vincenzo (futuro senatore del Regno) della famosa societa’ “Fratelli Bolmida”. Entrava in societa’ con Cavour nel 1845. Svolgeva un ruolo decisivo in campo bancario per la costituzione del primo istituto di credito centrale del Regno, la Banca Centrale degli Stati Sardi (la genitrice della Banca d’Italia, per intenderci), nata nel 1849 dopo due anni di complesse trattative. Sostenitore delle politiche cavouriane, diventava deputato nella IV Legislatura (la prima anche di Sanna Sanna), presentandosi ed accreditandosi come il mediatore tra i progetti governativi e le resistenze ai duri controlli dei banchieri privati. Un altro non meno importante ruolo d’intermediazione era stato quello piu’ attuale con James Mayer de Rothschild, che aveva propositi di espandersi nella penisola italiana. Ebbene, proprio nel 1856, anno della morte improvvisa, Luigi Bolmida sara’ tra i fondatori del Credito Mobiliare, centro di mediazione e di compenetrazione raggiunto in Italia fra le repentine manovre politiche cavouriane (in cerca sempre di nuovi finanziatori alla causa italiana) e gli interessi dei Rotschild. Sanna Sanna, sebbene con posizioni avverse, era uomo di pensiero e di azione realista e, pertanto, aveva appoggiato questa concessione fra il governo e Bolmida per il porto di Terranova che, tuttavia, nel 1856, si trovava bloccata alla Camera nonostante l’approvazione. Nello stesso anno, infatti, come denunciato da Sanna Sanna, sempre per il porto gallurese, veniva presentato al Senato un progetto di tale imprenditore francese Bonald. L’aspetto piu’ incredibile era, come annotava l’ex deputato anelese che “(…) presentato al Senato come una petizione qualunque, ebbe la forza di costringere il Ministero a ritirare il progetto Bolmida”. Alla fine, pero’, non se ne fece nulla di entrambi i progetti ed, ancora al 1871, rimaneva un mistero che cosa avvenne realmente fra Bolmida, Bonald e Cavour.  Probabilmente a bloccare Bolmida, dietro cui, ovviamente, vi era Cavour, era stata la morte improvvisa (forse sfuggita a Sanna Sanna), nonostante l’attivita’ bancaria ed imprenditoriale fosse stata ereditata dal fratello Vincenzo. Per quanto riguarda Bonald, probabilmente, si trattava di un progetto poco concreto e realizzabile viste anche le contingenze economiche del periodo. Fatto sta’ che Sanna Sanna ha avuto il merito di “scoperchiare”, seppur superficialmente, questo intreccio politico-finanziario che, interessando il porto gallurese, avrebbe “lambito” la Sardegna. Ed e’ sicuramente proprio per la disillusione patita proprio dal fallimento di questi due progetti che, sul finire dell’ VIII legislatura, da deputato uscente, si fara’ propugnatore del già ricordato progetto di legge per lo scalo di Olbia, invocando una sorta di “partenariato pubblico privato ante litteram”.

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Un commento

  1. In confronto con i nostri odierni “rappresentanti”…erano di una statura molto…molto più elevata…tant’è che i frutti, degli attuali, si vedono…o meglio, di frutti non se ne vedono proprio.

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