CENTO BARCHETTE DI CARTA: NINO DEMURTAS, DALLA SUA TONARA, ALL’ADOTTIVA MILANO. ERA SOCIO DEL C.S.C.S.

Nino Demurtas

di MATTEO PORRU

A Milano il sole tramonta veloce ma nel nuorese ha altri colori.

Nino lo sa e gli mancano tanto.

Gli manca tutto, della sua terra, e non l’avrebbe mai lasciata se il lavoro, in città, fosse stato buono o almeno costante. Gli ha fatto un male cane andare via, da ragazzo, dalla Tonara in cui è nato nel 1933 e dal piccolo mondo che lo ha visto crescere mentre diventavano grandi il corpo e i pensieri, veri e grandi, che fanno disordine e tanto rumore.

Ma ha dovuto.

E non gli è andata male, anzi: Nino Demurtas si fa strada fra le cooperative, poi passa ai consorzi bancari, poi arriva in quella Sport Italia Società a Responsabilità Limitata che lascia soltanto per andare in pensione.

La scommessa della vita gli dà stabilità, sicurezze, fiducia. Ma non radici. Perchè le sue sono oltre quel mare scuro e mosso che lui neanche vede.

C’è un solo modo, uno, per avvicinarle.

Scrivere.

In versi, come ha iniziato a fare da ragazzo. In rima, per dare ritmo e suono ai pensieri. E in sardo, per ritornare a casa.

Demurtas usa ottave, versi liberi, endecasillabi. Ama il sonetto e lo usa in tutto il suo potenziale. Concorre al Premio Ozieri per quattro volte.

Nel 1990, partecipa con “Chentu naves de papiru”, che ci fa attraversare il Tirreno come fosse un gioco di barchette di carta, una per ogni città dell’isola, “per fare incetta di sole”, e vince la coppa Messaggero sardo. “Chin sa matessi moneda”, “Fizolu meu migrante” e “Unu punzu” le presenta, rispettivamente, nel 1991, nel 1992 e nel 1994.

Qualche anno prima, al Centro Sociale Culturale Sardo di Milano, col quale collabora assiduamente, ha fondato un concorso di poesia in lingua sarda dal respiro internazionale. Non l’aveva mai fatto nessuno.
Ogni tanto, collabora con “S’ischiglia”. Molto spesso, torna a Nuoro, e sono nella memoria collettiva i suoi versi improvvisati con altri fuoriclasse della poesia isolana come Cosseddu e Zizi, pensati e recitati con metrica perfetta nei bar locali.

Pubblica la prima raccolta nel 2000. Si intitola “Rughes e consolos” e fa quasi da opera omnia. Contiene le liriche più belle di una vita, con temi noti ma mai triti: ricordi, famiglia, distacco, malattia, perfino moralità. Trattati con “freschezza e modernità” (Poddie: 2014) anche nel raccontare la Sardegna a cavallo fra la prima e la seconda metà del Novecento. La seconda, di raccolta, esce postuma.

Si intitola “Amiga Poesia” e viene stampata nel 2014, a dieci anni dalla morte di Demurtas, scomparso nella Milano che lo ha accolto a braccia aperte tanti anni prima.

E lascia un segno, profondo, di una storia vissuta a fondo e tenuta per mano.

La vita tramonta veloce. Ma nel nuorese ha altri colori.

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2 commenti

  1. Lo conobbi quando vinsi il primo premio nel concorso da lui organizzato. Diventammo amici. In seguito lo
    rincontrai pure.

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