IL SACRIFICIO NELLE MINIERE DEL BELGIO: RICORDO DI GIOVANNI ANTONIO CORRIAS MORTO A SOLI 49 ANNI A LA LOUVIERE

Antonio Corrias a destra

di LUCIA BECCHERE

Nel centro baroniese la povertà e la disoccupazione cadenzavano la vita delle famiglie, qualche cantiere forestale al Montalbo o a Capo Comino, l’agricoltura e la pastorizia di sussistenza non garantivano certo una sicurezza economica. Giovanni Antonio Corrias detto Antoninu (Siniscola 1912), che di mestiere faceva il pastore e dissodava la terra, nel ’52 raggiunse la miniera della “Société des Charbonnages du Centre” presso La Louvière città della Vallonia, lasciando moglie e quattro bambini.

Le condizioni di vita degli emigrati erano pessime: non potevano essere raggiunti dai familiari prima di due anni, gli alloggi erano baracche/cantine di legno o lamiera un tempo destinate ai prigionieri di guerra, concesse al costo di 100 franchi a settimana trattenuti in busta paga e il cibo era scarso e insufficiente.

I nostri connazionali erano invisi alla popolazione locale, i ragazzi discriminati nelle scuole e nei vari bar era “proibito entrare ai cani a agli italiani”.

Molti fecero ritorno nell’immediato, per la maggior parte l’imperativo era resistere al duro lavoro e all’ambiente ostile, guadagnare 5.600 franchi a settimana garantiva un certo benessere economico alla famiglia.

Il prezzo pagato in vite umane è stato alto, dal 1946 al ‘63 a cadere furono 853 italiani. L’incidente più grave si verificò l’8 agosto 1956 a Marcinelle quando a morire furono 262 minatori su 275, 136 italiani.

Sorsero molte associazioni culturali “i circoli sardi”, i missionari italiani e il Patronato Acli in collaborazione col Patronato Cristiano belga crearono una rete di solidarietà attorno ai minatori ottenendo importanti conquiste: assistenza sanitaria, assegni familiari, parità di retribuzione fra belgi e italiani, alloggi decenti e perfino il riconoscimento delle malattie professionali.

Ad Antoninu venne assegnata la baracca San Felice che di felice non aveva proprio niente, situata in rue de la Déportation, nome che evocava dolorosi trascorsi.

Era rientrato l’ultima volta in famiglia nel Natale del ’58 e durante quell’ultimo viaggio di ritorno era stata concepita l’ultima figlia che lui non conoscerà mai perché l’8 dicembre del 1961 trovò la morte a seguito del crollo di una trave che andò a conficcarsi nel torace. A soli 49 anni lasciava moglie e 4 figli.

«La sua è stata una morte annunciata – ricorda la figlia Pina, laureata in matematica –, per noi 10 anni di solo pianto.

Quando mio padre emigrò avevo solo 6 anni, qualsiasi cosa succedesse in Belgio metteva il paese in fibrillazione. Mia madre apprese la notizia del disastro di Marcinelle mentre lavava i panni al fiume di Frunche ‘e oche e col cesto carico d’indumenti bagnati si precipitò da don Diego Calvisi – l’unico ad avere contatti con missionari belgi. Nel sagrato della chiesa si era radunata una folla enorme, il parroco rincuorò tutti perché nessun compaesano risultava caduto in quell’incendio».

Nel 2006 i figli e i nipoti hanno voluto visitare i luoghi dove il loro caro aveva vissuto e lavorato.

Nei pressi della sua abitazione di Saint-Pierre, in seguito era stato eretto un ponte e della miniera rimaneva soltanto un cumulo di detriti e di carbonella. Proprio in quei luoghi hanno voluto deporre un mazzo di fiori e mettere a dimora una pianta simbolo di vita e speranza. Oggi Antoninu riposa nel cimitero del centro baroniese accanto alla sua amata Anna Maria scomparsa nel 1977 a 57 anni.

Rimasta vedova aveva lasciato Siniscola prima per Nuoro e poi per Cagliari dove i figli avrebbero proseguito gli studi universitari – Mario è oggi un affermato gastroenterologo – per realizzare il grande desiderio del padre che sperava tanto nel riscatto sociale e culturale della sua famiglia.

per gentile concessione de https://www.ortobene.net/

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Un commento

  1. Il signore a sinistra è la buon’anima di zio Tonino Uselli?

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