MARIANTONIA URRU, LA TESSITRICE D’ARTE: UNA PASSIONE DIVENTATA AZIENDA GLOBALE CHE TESSE A MANO TAPPETI UNICI AL MONDO

Mariantonia Urru (foto di Barbara Pau)

di ANNA MARIA TURRA

Filosofia dell’azienda di tessitura Mariantonia Urru di Samugheo, Oristano, è legare design e artigianato. Volano nel mondo i tappeti di questa impresa 100% made in Italy, dalla materia prima alla lavorazione: la tradizione del fare per Mariantonia Urru, che esegue la sua prima creazione a 14 anni, più che artigianato sardo è uno stato mentale.

Il Laboratorio aperto nel 1981 è oggi una grande realtà imprenditoriale gestita dai figli Gian Bachisio, Antonello, Giuseppe e Graziano il più giovane. Giuseppe Demelas, AD, della madre dice: «La chiamiamo maestro perché non ha esitato ad aprire le porte a collaborazioni internazionali, ad affiancarle nella ricerca di soluzioni tecniche facendo sempre il tifo per ogni nuovo risultato formale. Per noi un grande esempio di mentalità globale.» Eppure per Mariantonia Urru, 77 anni, nata in un contesto in cui le donne tessono e gli uomini si occupano dell’agricoltura, tutto sembra perfettamente normale e ricorda che molte delle aziende sarde sono state fondate da donne.

«Scherzando mi chiamano maestro tessitore, – spiega Mariantonia Urru – ma c’è ancora così tanto da imparare. Eppure, molte delle novità apportate dai miei ragazzi, certo hanno contribuito le loro lauree in ingegneria e la loro sensibilità per i cambiamenti, devo dire che mi hanno molto emozionato.»

L’azienda è impegnata costantemente nella formazione per raggiungere un livello di esperienza necessario allo stand qualitativo, affinando la manualità in due tecniche di tessitura, pibiones e piana, mediante trame di lana grezza su una base costituita da un intreccio regolare di fili sottili di cotone. Tra ordito e trama è la composizione dei campi di texture, punteggiati o lineari, a consentire l’infinita varietà degli effetti visivi caratterizzanti ogni pezzo e ogni collezione.

Moltissimi tra i resort in Sardegna sono corredati dai pezzi iconici di Mariantonia Urru. Presente in diverse gallerie d’arte questo prodotto ha il valore simbolico di un’opera che racconta se stessa per piccoli punti. L’artigianato si combina con la tecnologia, l’innovazione non è in contrasto con la pratica manuale di produzione del tappeto, anzi: oggi le creazioni dei designer vengono digitalizzate nella fase che precede la tessitura, consentendo di accedere a disegni sempre più complessi. Sui 25 telai esistenti, di cui molti manuali, l’ausilio di touch screen permette di gestire tecniche e materiali a elevati livelli di programmazione.

La questione non sembra incuriosire l’imprenditrice che sa perfettamente quanto, per realizzare a mano un tappeto di 5 metri quadrati, servano almeno 15 giorni. Mentre basta meno di un’ora per la produzione industriale ma non esistono macchine in grado di riprodurre determinate tecniche, materiali e colori. «Ogni nostro tappeto viene realizzato a mano – precisa Mariantonia Urru – si diventa esperti solo dopo un apprendistato di almeno due anni.»

Nessuna scorciatoia, solo una grande ipotesi di operosità, l’idea che tessere sia la pratica che coincide con la propria storia: si stratifica e si perfeziona tra generazioni.

«Abbiamo puntato dritto al collegamento col territorio, – precisa Giuseppe Demelas – un po’ come l’evoluzione delle cantine in Sardegna, la strategia seguita è la stessa: inserire professionalità esterne per cui il tradizionale ha costituito un linguaggio internazionale.»

E tra mostre d’arte, work shop o summer school che diventano importanti fasi di confronto, il marchio Mariantonia Urru nel tempo si è trasformato in un incubatore di risorse che parla l’internazionale linguaggio dell’arte nel mercato. Appare nel prestigio di pubblicazioni come la rivista Niche e raggiunge il Giappone. Annoda reputazioni a collaborazioni come Paulina Herrera Letelier, ricercatrice cilena che vive a Cagliari e sviluppa progetti tra architettura, design e fotografia, Angelika Rosner, Pretziada cioè Kyre e Ivano, doppia faccia di una moneta di scambio tra contenuti e un modo non convenzionale di imprendere la Sardegna, Anna Godeassi l’illustratrice di Pordenone che a Milano sbarca nell’editoria. E poi ancora intreccia fili a vite come quella del sardo Antonio Forteleoni i cui lavori, dal laboratorio di tessitura in una galleria a Cagliari, sono arrivati a New York, quella di Virgilio Colombo che da Nuoro trasmette geniali congiungimenti tra origine e contemporaneità, fino a Caterina Quaranta o a Mariposa, il laboratorio di ispirazioni di Banjo e Francesca.

Nel distretto tessile di Samugheo, come una regina antica, Mariantonia Urru spiega uno sguardo: per resistere ogni generazione ha bisogno di scambiare informazioni e restare accanto alla tradizione significa non temere di affrancarsi ad un aspetto di assoluta utilità. Rendere la tradizione attuale non è altrimenti possibile. Le cose si muovono. Ciò che non si continua a sperimentare si perde. Come se ogni passaggio di una trama coincidesse con la visione del singolo che si fa gruppo e poi comunità intera, su di una sola Terra.

#costasmeralda.it

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