MOBY PRINCE, UMANITA’ CANCELLATA: NIENTE RISARCIMENTO PER I FAMILIARI DELLE 140 VITTIME DEL DISASTRO DEL 1991

di LUCA ROJCH

Non c’è nulla di più gelido e lontano dalla verità di una sentenza. Una sentenza che dopo 29 anni decide che 140 anime non hanno un peso. 140 vite non contano. 140 uomini, donne e bambini che il 10 aprile 1991 sono morte dentro un traghetto non hanno diritto a un risarcimento. Erano a bordo della Moby Prince e in un attimo hanno visto trasformarsi le loro cabine in lamiere roventi, fiamme, fumo. Le loro vite volare, un soffio, finire. Dopo quasi 30 anni il tribunale di Firenze ha deciso che ai familiari delle vittime di questa strage senza colpevoli non spetta un centesimo.

Una sentenza che applica il diritto, non l’umanità. E non perché all’anima si possa dare un prezzo e alle vite umane un valore economico. Ma perché lo Stato deve riconoscere in qualche modo la sua incapacità. Dopo 30 anni non c’è un colpevole, un responsabile, una dinamica certa di cosa accadde quella notte. E non c’è neanche un risarcimento per le famiglie delle vittime. Lo Stato ha perso e nei tribunali è andata in scena l’incertezza del diritto. Una costante della scostante giustizia italiana.

Tre gradi di giudizio, processi paralleli, tutti finiti senza individuare un responsabile. Anzi l’unico trovato, la nebbia, è stato dissolto dal lavoro dell’ultima commissione parlamentare di inchiesta presieduta da Silvio Lai. Quel giorno la nebbia non c’era e la collisione tra la Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo rimane ancora senza una reale spiegazione. Ma a rendere ancora meno comprensibile la decisione del tribunale sono le motivazioni. Per il giudice la commissione parlamentare di inchiesta “non ha disvelato verità e certezze nuove, ma è un atto politico che non supera quanto è stato già accertato a livello penale”.

Il diritto sembra non tenere conto dei diritti. Nel rogo del traghetto morirono 30 sardi in modo atroce e quasi beffardo. I passeggeri vennero radunati dall’equipaggio nel salone De Luxe, il più sicuro di tutta la nave. Tutti con il giubbotto di salvataggio addosso. L’equipaggio era certo che sarebbero arrivati in breve tempo i soccorsi. Morirono tutti carbonizzati mentre attendevano invano che qualcuno li aiutasse. Ma era stato salvato l’equipaggio dell’Agip Abruzzo.

La prua del traghetto della Moby era rimasta incagliata nella cisterna della petroliera. Il traghetto era stato inondato da una quantità di petrolio greggio. Si stima dalle 100 alle 300 tonnellate. La nave si era trasformata in un inferno. Il fumo denso sprigionato dalla combustione del petrolio aveva avvelenato una parte dei passeggeri. La conferma arriva anche dalle elevate quantità di monossido di carbonio trovate nel sangue delle vittime. Segno che per diverse ore i passeggeri erano rimasti vivi in attesa dei soccorsi. L’impianto di aria condizionata è rimasto in funzione e ha contribuito a inondare di fumo anche le parti della nave che erano lontane dall’incendio.

Tutti dati che smentiscono la tesi di una morte immediata e inevitabile dei passeggeri. Dettagli tragici che da soli bastano a spiegare perché la fine drammatica di 140 persone meriti da parte dello Stato molto più di un risarcimento. Forse il riconoscimento della propria incapacità a non rendere vuote le parole verità e giustizia.

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